Della presenza del cibo in testi letterari tra Medioevo e tarda cultura dei Lumi

di Pasquale Guaragnella


Pieter Bruegel, Matrimonio contadino, 1568.

Nel giorni scorsi, a cura di docenti della Università di Bari, si è tenuto un interessante Convegno sul cibo, cui hanno partecipato autorevoli scienziati, studiosi, uomini di cultura (CiBari. Il cibo della salute, 20-22 ottobre 2025). Tra questi ultimi, in una sessione dedicata alla presenza del cibo nella storia del cinema, il regista Alessandro Piva ha proposto un suggestivo documentario, composto da brani di pellicole celebri nelle quali è al centro per l’appunto il tema del cibo. Tra le rappresentazioni più frequenti del docufilm di Piva è stata quella della ossessiva assunzione di cibo così come il suo rifiuto, nonché il rapporto del cibo con la dimensione del Potere, inteso nelle sue accezioni più diverse.

 Ora, in tali ambiti, verrebbe fatto di pensare pure a campioni testuali, noti o meno noti, e altresì a vicende della Letteratura italiana. Si pensi, per esempio, al tema dell’anoressia. È oggi intesa, con tutta evidenza, come una malattia neurodegenerativa assai grave, ma in un tempo lontano da noi, nel Medioevo, dentro le maglie di una cultura assai diversa, i sintomi del rifiuto del cibo potevano essere considerati segno di santità e di purezza. Significativamente, Caterina da Siena, a un certo punto della sua vita, smise di assumere cibo, traendo il suo nutrimento prevalentemente dall’ostia consacrata. Era accaduto che il digiuno, inizialmente intrapreso nel segno di una ispirazione religiosa, era sfuggito al pieno controllo della coscienza: e tuttavia, quando Caterina rigetterà ogni minima briciola inghiottita, il suo confessore scriverà che quella perdita di appetito s’imponeva come un deciso modello di santità, da imitare.

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