Della presenza del cibo in testi letterari tra Medioevo e tarda cultura dei Lumi

  «Santa anoressia», dunque. Senonché, alcuni secoli dopo, a un polo opposto, potremmo riconoscere, nelle maglie di una socialità ormai moderna, la rappresentazione di una parabola religiosa scandalosamente «altra» e del tutto discendente. È il caso della scena che inquadra la bulimia dei monaci Benedettini del Monastero di san Nicola a Catania, ne I Vicerè di Federico De Roberto, scrittore razionalista e, per così dire, d’ispirazione decisamente tardo-illuministica, il quale denunciava i maneggi di potere delle classi ancora strenuamente legate alla civiltà di Antico Regime, come l’aristocrazia e l’alto clero nella Sicilia ottocentesca. Si legge infatti nel romanzo che «In città, la cucina dei Benedettini era passata in proverbio», con pietanze che «nessun altro cuoco sapeva lavorare»; e «di tutta quella roba se ne faceva poi tanta che i servi, rivendendo gli avanzi ci guadagnavano» giornalmente.

  Intanto, di non minore rilievo appare in letteratura il tema della «disposizione a tavola» dei convitati: di certo, tale disposizione, insieme con la qualità e quantità del cibo consumato, si rivela la segreta metafora di una gerarchica scala sociale. Esemplarmente , ne La cena de le ceneri di Giordano Bruno, svolgendosi la vicenda in Inghilterra, Teofilo, il porta-parola del filosofo Nolano, informando della disposizione a tavola della brigata italiana invitata da un aristocratico  londinese nella sua  dimora, narra che «ad un de nostri essendo presentato» il posto di minor prestigio, ovvero «la coda de la tavola», ma  pensando l’ospite italiano «che là fusse il capo-tavola», questi, equivocando,  «per umiltà voleva andar a seder» dove si sarebbe invece seduto il convitato di maggior prestigio: e qui trascorse un bel po’ di tempo «tra quelli che per cortesia lo volevano far sedere ultimo» – si noti il sarcasmo di Giordano Bruno, tramite il suo porta-parola Teofilo, sulla cattiva ospitalità inglese – «e colui che per umiltà voleva seder il primo». Come si può intuire, tra le risorse intellettuali dell’autore della Cena agiva una spiccata attitudine al comico e alla teatralità.

Analoga attitudine comica e teatrale rivela Alessandro Manzoni, scrittore di decisa ispirazione illuministica, nella celebre scena de I promessi sposi nella quale Padre Cristoforo si reca nel palazzotto di Don Rodrigo al fine di intercedere per Lucia: ma nell’ora in cui il signorotto è a pranzo attorniato da una brigata di convitati. La disposizione a tavola doveva far intendere agevolmente a padre Cristoforo l’ordine e la gerarchia dei poteri: don Rodrigo «era lì in capo di tavola, nel suo regno, circondato d’amici, d’omaggi, di tanti segni della sua potenza »; «alla sua destra quel conte Attilio suo cugino e […] suo collega di libertinaggio e di soperchieria»; «a sinistra, a una altro lato della tavola, stava con gran rispetto temperato però d’una certa sicurezza, e d’una certa saccenteria, il signor podestà, quel medesimo a cui, in teoria, sarebbe toccato a far giustizia a Renzo Tramaglino»; «in faccia al podestà, in atto d’un rispetto il più puro, il più sviscerato, sedeva il nostro dottor Azzecca-garbugli, in cappa nera, e col naso più rubicondo del solito»; in faccia ai due cugini – dunque in coda alla tavola – «due convitati oscuri, de’ quali la nostra storia dice soltanto che non facevano altro che mangiare, chinare il capo, sorridere e approvare ogni cosa che dicesse un commensale, a cui altro non contraddicesse». Come si vede, agisce qui una sorta di acuminata didascalia la quale dispone in scena la gestualità di un Potere sussiegoso e arrogante (don Rodrigo e il conte Attilio) «illuminato» – si fa per dire – dall’immancabile teatro degli adulatori (il Podestà, l’Azzecca-garbugli, i due parassiti senza nome). All’interno della didascalia non dovrebbe poi omettersi che nella sala da pranzo era «un gran frastuono confuso di forchette, di coltelli, di bicchieri, di piatti, e sopra tutto, di voci discordi, che cercavano a vicenda di soverchiarsi». Sembrerebbe qui che Manzoni retrodati al Seicento quanto Pietro Verri, riferendosi alle modalità di conversazione, denunciava invece per quel che stava avvenendo in seno alla società di Antico Regime, ormai al suo tramonto nel corso del Settecento: «Chiamo conversazione anarchica quella dove gli uomini radunati […] formano un tumultuario mormorio; dove più parlano in una volta e s’interrompono e si urtano e s’incomodano vicendevolmente».   

Non altro che mangiare e per di più con frastuono di voci eserciterà un gruppo di deputati uscito da Montecitorio nell’ultimo romanzo incompiuto di Federico De Roberto. Il titolo recita L’Imperio: per l’appunto il Potere, rivisitato dallo scrittore siciliano nelle maglie della società italiana di fine Ottocento.  Qui un gruppo di deputati, con una disposizione questa volta casuale, «si accomoda intorno al tavolo di un ristorante all’aperto». Uno dei protagonisti del romanzo, il principe Consalvo degli Uzeda Francalanza, dapprima silenzioso, parla a briglia sciolta insieme con gli altri convitati i quali parlano pure loro disordinatamente. Il dialogo registrerà le seguenti battute: «Ora che l’Italia è fatta, bisogna unificare le cucine italiane»; «Ardua impresa», dice un altro, «si potranno al massimo federare». Finalmente uno dei convitati, messo di buon umore dal cibo e dal vino, propone di comporre «una mensa nazionale, un pranzo italiano per eccellenza». Si tratta di un deputato da poco nominato Ministro e intorno «a quest’ultimo molte persone si avvicinavano […] e in piedi intorno alla tavola aspettavano d’udire il verbo del grand’uomo». Senonché il Ministro esclamava ad alta voce «Stracotto con risotto […] zampone di Modena con purèe di spinaci». Era il verbo ansiosamente atteso dallo sciame di adulatori: peccato per loro che, nella dissacrante e tardo-illuministica rappresentazione di Federico De Roberto, la giornata degli «onorevoli», dopo il lauto pranzo, si dovesse concludere in una casa di piacere, con seducenti donne a mercede, a completa disposizione dei deputati eletti.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 2 novembre 2025]

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