In seguito Ezzelino restituì il bambino e poi anche il castello di Fonte. Successivamente, approfittando di un momento di temporanea discordia fra i due fratelli da Romano e cioè Ezzelino e Alberico, il Camposampiero, con l’intento di diminuire la potenza dei da Romano, che avevano conquistato Vicenza, Verona, Treviso, insieme al marchese d’Este e al conte Rizzardo Sambonifacio, condusse una rivolta contro Alberico a Bassano e che fu prontamente domata da Ezzelino.

Stemma araldico dei Camposampiero del Leon.
Tiso VI fu protettore dei frati minori e fece costruìre a Camposampiero un convento, dove fu ospitato S. Antonio da Padova, prima di morire. E il conte Tiso, legato al Santo da cordiale amicizia, dopo che si era ritirato da una carriera politica travagliatissima, scosso dalla parola di Antonio, si era stabilito definitivamente nel suo feudo e godeva di partecipare alla vita di quei frati. E il conte Tiso, inginocchiato e tremante, assistette alla visione di Gesù Bambino a s. Antonio e sì impegnò a non farne parola con alcuno. Il Camposampiero mori nella località omonima nel 1234 e fu sepolto nella chiesa di S. Pietro.
Come scrive Vergilio Gamboso nel suo libro “Vita di S.Antonio” del 1995 “messer Ezzelino aveva impalmato Zilia, sorella di Rizzardo di Sambonifacio, e costui, a sua volta aveva preso in moglie la dissoluta Cunizza, sorella di Ezzelino, fuggita poi con quel losco avventuriero che ebbe nome Sordello. Rizzardo ed Ezzelino erano doppiamente cognati, ma non bastarono le nozze a sopire rancori alimentati dalle lotte di parte. Il 27 giugno 1230 Ezzelino e compagni, con un fortunato colpo di mano, riuscivano a catturare il Sambonifacio e i suoi partigiani, affidati subito alla prigione. Cominciarono le trattative per la liberazione, le quali si tirarono in lungo, perché si era posto come condizione che il prigioniero consegnasse al comune di Verona il suo ben munito castello. Sant’Antonio, al dire di Rolandino, ‘sia che ponesse la sua fiducia nel Signore, sia che fosse pregato dagli amici del conte Rizzardo, andò a Verona ed ivi scongiurò i rettori della lega lombarda (guelfissimi), il podestà di Verona, messer Ezzelino, e i suoi consiglieri, perché rilasciassero il conte e gli amici di lui. Ma a nulla valgono le preghiere, anche se giuste, in cuori privi di carità. Senza essere stato esaudito, il Santo fece ritorno a Padova. Solo nel settembre dell’anno dopo Goffredo da Lucino, podestà di Padova, poté ottenere la scarcerazione del conte”.
I Camposampiero avevano un sepolcro “nel sacrato et in vicinanza della porta laterale a mano destra entrando nella chiesa del Glorioso sant’Antonio”. Sartori scrive che detto sepolcro “consiste in un’arca di pietra viva in molti pezzi col suo coperchio e, per la sua mole, sporge fuori dei pilastri che formano la facciata” della Basilica.
I presidenti dell’Arca del Santo, in data 11 gennaio 1763, osservavano “l’indecenza del sagrato” e inviano una lettera al Consiglio dei X (nota 1) per ottenere il permesso di selciare il sagrato. In data 16 settembre 1763 il Consiglio dei X incarica il Podestà a far demolire i sepolcri del sagrato “anche contro la volontà degli eredi”.
I sepolcri che in quell’epoca si osservavano, a Padova, sopra il sagrato della Chiesa di Sant’Antonio, corrispondevano “al numero di nove” […]. li quali tutti, perché più o meno bisognosi di restauro, fanno una cattiva vista in quella frequentata situazione”.
Sartori Scrive: “I conti Camposampiero volontariamente accordano assentono e confermano la demolizione del deposito dimostrato per l’arma gentilizia, della Famiglia Camposampiero et essistente nel sacrato et in vicinanza della porta laterale a mano destra entrando nella chiesa del glorioso S. Antonio, con espressa condizione e patto che, a tutte spese della Ven. Arca del Santo, sia posta nella muraglia di essa chiesa, esternamente e nel medesimo sitto e luoco dove esiste il suddetto deposito, una lapide nella quale sia spiegato il presente loro volontario assenso e perpetuata in essa lapide l’antica memoria dello stesso deposito”.
Sembrava ormai risolto il problema del sepolcro della famiglia Camposampiero, ma il “3 novembre 1763” si fa vivo “ il conte Obizzo Camposampiero”, dicendo “che non è stato interrogato, nega il chiesto permesso”.
Poi il conte Obizzo ci ripensò e Sartori, a tal proposito, riporta che in data “ 14 gennaio 1764. Il Conte Obizzo Camposampiero del q. Francesco, essendo stato preterito nella ricerca del di lui assenso, anzi essendo affatto ignaro della demolizione del sepolcro di sua famiglia che esisteva nella Facciata del tempio del glorioso s. Antonio seguita la notte precedente del dì 3 novembre p.(assato) scaduto annotò il di lui dissenso con Cost. del giorno suddetto. Ora però non intendendo d’opporsi al già seguito, ma anzi di aderire al desiderio degli altri Compatroni, assente […]”.
Ma chi era stato seppellito in quel sepolcro ? P.M. Antonio Sanseverini (morto nel 1762 e citato da Sartori) nella sua “Descrizione Istorica del Monastero e della chiesa di S. Antonio di Padova” scrive: “Guglielmo Camposampiero fu indubitamente sepolto nella chiesa del Santo, e quella gran arca di marmo, che si vede presso la parte laterale della chiesa verso il convento, è quella per avventura, in cui lo fece deporre la contessa Daria”.
Molto dettagliato è ciò che scrive a tal proposito Bernardo Gonzati nel suo libro “La Basilica di Sant’Antonio di Padova”: “Daccanto alla porta che mette alla nave destra della Basilica, fino al 1763 sporgeva un arco, sotto il quale ergevasi un sepolcro di semplice costruzione. Né altro ornamento il fregiava, che uno scudo con leone rampante, stemma dei nobili Camposampiero. Ma essi piamente assentirono che fosse tolto di là, assieme colla lunga iscrizione che vi era apposta, surrogandovi quella che or vi si legge e ponemmo a testo delle nostre parole. Miserabilissimo fatto, e più miserabile epigrafe, la quale avrebbe abolito sin la memoria dei nomi di coloro che riposavano nel monumento, se il Rolandino, scrittore contemporaneo, lo Scardeone, e il Verci, e tuti i raccoglitori delle padovane iscrizioni, non ci attestassero che nel 1251 vi erano riposte le spoglie mortali del padovano Guglielmo Camposampiero, primo di questo nome; e più tardi quello di Girolamo e d’altri di quest’illustre casata, che il Rolandino annovera quarto fra i principali della Marca Trevigiana.
Guglielmo, benché menasse vita agitatissima e sortisse misero fine, emulò, se non vinse, la gloria dei suoi maggiori. Fanciullo di tre anni, lasciato da Jacopo suo padre nel castello di Fonte, cadde in poter di Ezzelino che ve ‘l tenne prigione. Liberatone, mercè la potente parola del Santo di Padova, crebbe in mezzo a’ disagi, ai pericoli, alle violenze di quest’età guerriera. Addestrato nelle armi, ancor giovinetto diede prova di straordinario valore. Gli odii di famiglie che si trasfondevano allora col sangue, e la necessità di schermirsi dal comune oppressore Ezelino, arbitro e tiranno delle Marche, lo costrinsero più tardi a raccogliere armi ed armati, e con essi si portò all’assalto di Castelfranco tenuto da Alberico, fratello di Ezelino; e lo prese. Ma poiché vedeva di non poter fare fronte lungamente a quei due potenti fratelli, prese occasione delle discordie insorte fra loro per profferirsi tutto al primo a danni di Alberico. Ezelino accolse Guglielmo con apparente benevolenza ed amicizia: poi, come gli parve giusto opportuno il tempo di far vendetta contro questo suo antico nemico, sotto pretesto che egli in odio all’Impero avesse menato per moglie Amabilia dei Delesmanini, lo tenne prigione nelle carceri di Angarano, e finalmente per mezzo di Ansedisio de’ Guidotti lo fece decapitare in Padova il 24 agosto 1251 nella verde età di soli 26 anni. Daria da Baone (nota 2), mossa a compassione dell’infelice congiunto, ne collocava il cadavere in quel monumento. O pietissima Daria, che cuore sarebbe stato il tuo, se nell’atto di raccogliere il corpo del giovane sventurato, avessi potuto presentire che nel secolo decimo ottavo ne sarebbero disperse le ceneri!
In questo medesimo avello si riposero nell’aprile 1556 le ossa di Girolamo Camposampiero, valentissimo giureconsulto, oratore famoso presso la veneta Repubblica, del quale esistono ancora due Opere, l’una “De testamentis ordinandis”, l’altra “De obligationibus”. Ma una rissa a cui diede motivo con troppo acerbe parole, toccò una grave ferita, che, fresco ancor degli anni, lo fece scendere nel sepolcro fra il compianto de’ parenti, gli encomii delle accademie, il dolore dei suoi concittadini. E lo Scardeone attesta che fu sepolto honorificentissimo apud D. Antonium confessorem, in antiquo majorum suorum sepulcro. Né possiam negare fede alla sue parole, perché contemporaneo e testimone alla funebre pompa.
E qui riportiamo l’epigrafe mentovata a principio e che andò anch’essa dispersa assieme all’urna:

HOC SEPULCRUM
IN QUO CONDUNTUR CINERES
GUILIELMI MCCLI HIERONYMI I.C. MDLVI
ET ALIORUM DE CAMPO S. PETRI
VETUSTATE COLLAPSUM
NOBB. DNI. COMITES OBICIUS
IO FRANCISCUS I. C. ET CANON Q. GASPARIS
DANIEL Q. TISI
NICOLAUS Q. IO ANTONI
ALOYSIUS ANT I.C.
ET LUDOVICUS I.C. ET CANON Q. ALEXANDRI
DE
PRAEDICTA FAMILIA
VIVENTES
SIBI IPSIS ET SUCCESSORIBUS INSTAURARUNT
A. D. MDCCVII
E ora, a ricordo del monumento soppresso, c’è una semplice lapide su cui è scritto “SITUM ERAT HIC MARMOREUM ANTIQUISSIMUM SEPULCRUM NOBILIUM DE CAMPO S. PETRI CUIUS PIE ASSENTIENTIBUS A.D. MDCCLXIII DIRUTUM FUIT” (Qui era situato l’antichissimo sepolcro marmoreo dei nobili dei Camposampiero, col pio assenso dei quali il sepolcro fu distrutto nell’anno del signore 1763).
Nota 1. Il Consiglio dei Dieci era un organo della Repubblica di Venezia, inizialmente (1310) provvisorio, e poi divenne definitivo nel 1335; la sua funzione era quella di proteggere l’integrità dello Stato contro minacce interne ed esterne. Rimase in carica fino al 1797 quando cadde la Repubblica Veneta.
Nota 2. Daria da Baone (1158- ?) aveva sposato Gherardo di Camposampiero (1150-1222) ed aveva avuto il figlio Tisolino, morto giovane nel 1222, e due figlie Maria e India. Guglielmo era un nipote acquisito.
Nota bibliografica
B. Gonzati, La Basilica di Sant’ Antonio di Padova, vol. II, Ed. A. Bianchi, Padova,1852.
A. Sartori, Documenti di Storia e Arte Francescana, voll. I-IV, a cura di G. Luisetto, Biblioteca Antoniana, Basilica del Santo 1983-1989.
V. Gamboso, Vita di s. Antonio. Edizioni Messaggero Padova, 1995
V. Zaramella, Iscrizioni della Città di Padova, Centro Studi Antoniani, Padova, 1997.





























































