di Rosario Coluccia
Una definizione scientificamente rigorosa spiega che «I pronomi sono un insieme di forme o classi di parole accomunate sul piano funzionale dal fatto che, pur avendo valore referenziale, sono prive di capacità di referenza fuori contesto. Ciò è dovuto al fatto che mancano di tratti semantici che caratterizzino il loro significato, come avviene invece per i nomi» (C. Andorno). Con una parafrasi un po’ alla buona (meno scientifica di quella che danno grammatiche e vocabolari) potremmo spiegare che il pronome è quella parte variabile del discorso che consente di sostituire il nome, come indica la stessa etimologia (la parola è composta da pro ‘invece di’ e nome): «ho portato Claudia al mare e le ho comprato un gelato» (il pronome «le» sostituisce il nome «Claudia»). Il pronome può sostituire anche un’altra parte del discorso (ad esempio un aggettivo, un altro pronome, ecc.) o un intero brano di una frase: «ieri volevo incontrare Bianca, ma non ho avuto modo di farlo» (il pronome «-lo» sostituisce «incontrare Bianca»). Ci sono vari tipi di pronomi: dimostrativi, indefiniti, interrogativi, numerali, possessivi, relativi, riflessivi.
Forma, funzioni e uso di essi cambiano nel tempo. Possiamo esemplificare quanto appena detto prendendo in considerazione i pronomi personali, che indicano la persona di cui si parla. A volte è possibile distinguere il genere («lei» indica obbligatoriamente una persona di sesso femminile, «lui» una persona di sesso maschile), a volte questa distinzione non è esplicita («noi», «voi», «loro» possono essere riferiti sia al maschile sia al femminile). Nella tabella al centro della pagina trovate lo schema dei pronomi personali della lingua italiana d’oggi.
Diversamente da quanto accade in altre lingue (inglese, francese, tedesco), in italiano il pronome soggetto non è obbligatorio. In inglese si dice «I’m reading», in francese «je lit», in tedesco «ich lese» (il pronome soggetto è obbligatoriamente espresso), in italiano si può scegliere indifferentemente tra «io leggo» oppure «leggo» (il pronome può esserci o non esserci, a seconda di come ci pare preferibile). Nella nostra lingua diventa obbligatorio solo in due casi: 1. quando è coordinato con un altro soggetto: «io e i miei amici leggiamo molti libri»; 2. quando si vuole mettere in opposizione o in risalto una forma rispetto ad un’altra: «io leggo molti libri, non tu».
Se esaminiamo la tabella, ne ricaviamo indicazioni operative su come usare la lingua. Esistono forme fisse e forme variabili. La norma è univoca (salvo casi particolari) per le forme della prima e della seconda persona singolare e plurale (io, tu, noi, voi); la terza persona ha grande varietà, i parlanti e gli scriventi debbono imparare a scegliere con appropriatezza tra le diverse possibilità. Non tutte le forme concorrenti si utilizzano con la stessa frequenza, nell’italiano dei secoli passati e di oggi. Riflettere sulla variazione che storicamente ha caratterizzato l’uso di queste diverse possibilità significa ragionare su capitoli importanti della nostra storia linguistica.
Ai pronomi soggetto di terza persona egli e ella, di origine antica, si affiancano già nei testi del sec. XIV le forme lui e lei (al plurale loro) che hanno identica funzione, sono di fatto in concorrenza. Le cose nella lingua e nella storia non si svolgono quasi mai lungo tracciati rettilinei. Attraverso un percorso plurisecolare, oscillante tra approvazioni e condanne di grammatici e di scrittori, dal secolo XVII l’ascesa delle forme pronominali più recenti è inarrestabile e trionfa grazie alle scelte linguistiche di Manzoni, che contribuiscono in maniera decisiva alla creazione dell’italiano moderno. Subito dopo la seconda edizione dei Promessi Sposi (1827) Manzoni si dedica alla sistematica correzione linguistica del suo romanzo per la nuova e definitiva edizione (1840-42), operando secondo precise direttrici che mirano ad una lingua più vicina al fiorentino vivo. Intende dare ai Promessi Sposi una fisionomia linguistica più moderna, sostituendo le forme troppo letterarie con quelle più correnti. Nella sua opera di puntuale revisione, Manzoni elimina egli ed ella, preferisce lui e lei. Oggi su questo punto la partita è chiusa. Nel parlato quotidiano e in molte forme di scrittura anche elevata quasi sempre si adoperano in funzione di soggetto lui e lei. Egli ed ella, molto rari nella lingua parlata, resistono quasi esclusivamente nei discorsi pubblici formali e in alcune varietà della lingua scritta (scientifica e burocratica, molto raramente letteraria). In uno studio sul Lessico dell’Italiano Parlato (LIP), si contano 39 occorrenze di egli contro 764 di lui: egli appare quasi un residuo. Ancor peggio va ad ella che non appare nemmeno una volta (L. Renzi). Questo fenomeno è il punto di arrivo di una lunga storia in cui lui nasce pronome obliquo, poi scala i vari usi, finché oggi si è esteso a tutte le posizioni sintattiche, compreso il soggetto (F. Da Milano). Posizione ancor più marginale occupano i pronomi singolari esso, essa e plurali essi e esse: richiesti quando si riferiscono ad animali e cose, si applicano a persone solo in casi eccezionali e perlopiù di tono elevato.
Altri pronomi di terza sono completamente scomparsi dalla nostra lingua. Per secoli per la terza persona plurale si sono usati altri pronomi soggetto che oggi nessuno neppure più ricorda, eglino per il maschile e elleno per il femminile. Hanno una storia antichissima e ininterrotta: eglino a partire dalla fine del Duecento sino al Novecento; altrettanto presente elleno, dalla prima metà del Trecento sino al Novecento. Ancora nell’edizione del 1827, Manzoni fa spazio ad elleno: «Andar esse al convento, distante di là forse due miglia, non era impresa che elleno avessero voluta arrischiare quel giorno». Ma elimina quella forma pronominale nell’edizione definitiva: «Andar esse al convento, distante di là forse due miglia, non se ne sentivano il coraggio, in quel giorno» (si tratta di Agnese e Lucia che meditano di chiedere l’aiuto di fra Cristoforo, I Promessi Sposi III). Negli anni successivi, quando Manzoni mira ad una drastica riduzione degli elementi ritenuti troppo letterari, fra i tratti drasticamente respinti figura eglino (S. Morgana). Il grammatico Raffaello Fornaciari nella sua Sintassi italiana (1881) disapprova: «Dire eglino, elleno puzzerebbe di affettazione».
Invece a Carducci quei pronomi piacevano, ce lo testimonia quest’episodio. Carducci, appena nominato professore, alla prima lezione in una classe dell’istituto superiore femminile “Nencioni” di Firenze, esordisce con un «Elleno adunque…» e viene sommerso dalle risate delle ragazze. Il professore non la prende bene: è giovane, non è bellissimo, e ha di fronte un gruppo di vivaci ragazze della borghesia fiorentina. Ammonisce la più esuberante con tono burbero: «Lo so che ella avrebbe detto: “Sicché loro…” Ma è bene intendersi subito: qui si conviene aver rispetto alla grammatica, qui non si parla a modo delle ciane». In quella classe insomma non si parlava come le ciane ‘donne sguaiate, volgari, grossolane, pettegole’. Il professore diceva ella ed elleno e pretendeva che le sue allieve facessero altrettanto; loro, che noi usiamo correntemente, gli risulta inaccettabile. Le stesse preferenze Carducci dimostra anche quando scriveva poesia: «eglino, elleno [figurano] rispettivamente, per esempio, in Goffredo Mameli [1872] 457, Critica e arte [1874] 654 e, più frequente, Di alcune condizioni della presente letteratura [1859-1876] 14, Delle rime 37, 99 133, Goffredo Mameli 443, Critica e arte 667» (L. Serianni).
Nella classe fiorentina del professor Carducci quei pronomi, usati in funzione allocutiva, regolavano i rapporti tra gli interlocutori; e, come abbiamo visto, indicavano chiaramente le idee dei protagonisti sulla lingua e sulla vita. Le scelte non erano indifferenti. Parleremo di tutto ciò la prossima settimana.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di Domenica 2 settembre 2018]