Connettiva – Torino, 5-26 ottobre


CONNETTIVA è la mostra che il MAU – Museo di Arte Urbana presenta presso lo Spazio Garino dal 5 al 28 ottobre 2024 e che vedrà protagoniste le opere di tre artisti che esplorano il tema della connessione tra dimensioni interiori e naturali. Marcello Toma presenta Odissea minima, tre dipinti che, attraverso paesaggi meccanici e simboli personali, riflettono su sincronicità, genesi e scopi della vita. Andrea Chidichimo, con Flowreality, reinterpreta i fiori di Bach in chiave visiva, esplorando il potere terapeutico delle piante.
Anne-Cécile Breuer, con Il silenzio degli alberi, rende omaggio agli alberi come simboli di connessione tra terra e cielo, dipingendoli su carta e china, materiali ricavati proprio dalla natura.
CONNETTIVA
spazio Garino, via Rocciamelone 1
A cura di Silvia Carbotti e Alberto Garino.
Progetto grafico:Silvia Carbotti.
Allestimento :Alberto Garino.
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Il ruolo degli Enti locali nello sviluppo economico regionale

di Guglielmo Forges Davanzati e Luigino Sergio

È un dato noto agli addetti ai lavori – ma probabilmente poco noto a molti lettori – che la pubblica amministrazione italiana, e ancor più quella meridionale, è significativamente sottodimensionata rispetto alla media OCSE. Lo certificano ricerche della Banca d’Italia e i Rapporti annuali dell’OCSE sui Government at a glance, che evidenziano i danni prodotti dal blocco del turnover, a partire dal 2007, riproposto fino al 2019.

La quota di dipendenti in rapporto all’occupazione complessiva nel Paese è pari al 14%, un valore notevolmente inferiore a quello di tutti gli altri Paesi dell’Eurozona (21.4% in Francia; 28.6% in Svezia). Questa percentuale è anche inferiore a quella di Paesi – ci si riferisce quelli anglosassoni – tradizionalmente considerati maggiormente orientati al mercato e, dunque, con un ruolo poco rilevante del settore pubblico (16.4% nel Regno Unito e 15.3% in USA). Il sottodimensionamento della P.A. italiana risulta tale anche se quantificato sulla base della numerosità di dipendenti per mille abitanti. L’età media del personale è elevata, gli stipendi sono mediamente più bassi, in termini reali, di quelli percepiti nelle amministrazioni pubbliche dei principali Paesi europei ed è elevata e crescente l’incidenza dei contratti precari.

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Sugli scogli 22. Ferragosto in città

di Nello De Pascalis

     Ambedue amano il mare, con la differenza che lei ne avverte il richiamo in ogni stagione dell’anno e lui no. Il mare rappresenta il ‘suo tutto’ da settembre-ottobre sino alla fine dell’inverno. Pratica la pesca con maestria e forse è questo il motivo di cotanta attrazione, o forse no. Sa che il mare lo rasserena, lo rigenera, lo rapisce e lo ispira: il suo mondo è lì, dove il tempo sembra scorrere lento. D’estate no, manco a parlarne: troppa gente, troppo caldo, e quei rumori… il suo respiro diventerebbe nevrotico.

     “Estate è sinonimo di sole, di colori, di gente e di lunghe nuotate; come non amare tutto questo? E che dire del mare in autunno, del suo profumo assolutamente schietto, dei tramonti che tolgono il respiro? Sei un disadattato”, ripete lei, come una litania. Lui non rilancia e per evitare che la discussione si accenda proprio oggi, vigilia di Ferragosto, toglie l’auto dal viale e sale verso il centro. Hanno pranzato da soli, come ieri e ieri l’altro.

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Simone Giorgino, Eretico barocco

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Una lettera di… 15. Una e-mail (e una corrispondenza) di Enrico Tiozzo da Göteborg all’insegna di Michele Saponaro

di Antonio Lucio Giannone

Nel 2010 organizzai un Convegno di studi su Michele Saponaro in occasione del cinquantenario della morte dello scrittore, nato a San Cesario di Lecce nel 1885 e scomparso a Milano nel 1959.  Il Dipartimento di Filologia, linguistica e letteratura dell’Università del Salento possedeva il ricco Archivio di Saponaro, donato dal prof. Michele Tondo dell’Università di Bari ma nativo anch’egli di San Cesario, il quale a sua volta l’aveva ricevuto dal figlio dello scrittore. Inoltre nella biblioteca del Dipartimento si trovavano tutte le sue opere, anche quelle ormai esaurite da tempo, che avevo provveduto a fare acquistare presso varie librerie antiquarie. Mi sembrava perciò importante procedere a un riesame critico della sua ampia e variegata produzione letteraria, anche perché dopo la morte era stato quasi completamente dimenticato. Per avere i finanziamenti necessari, d’intesa col Comune di San Cesario, in qualità di titolare della  cattedra di Letteratura italiana contemporanea dell’Università del Salento, partecipai al bando 2008 del CUIS (Comitato universitario interprovinciale salentino) con un “Progetto di recupero e valorizzazione dell’opera di Michele Saponaro” che venne approvato.

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Nella terra battuta dallo scirocco

di  Antonio Resta

     Mai nominato, il Salento è con irrefutabile evidenza la regione in cui avvengono le vicende narrate ne Le storie dello scirocco di Paolo Vincenti (Besa 2024): è la terra battuta dallo scirocco, che detta una delle pagine più vivaci e felici. A dominare è un’inventiva sbrigliata che investe i nomi dei luoghi, dei personaggi e lo stesso linguaggio (“imprecando contro la domenica sdrucciola e la calura mortifera”), fino a esiti di divertita mimesi: si veda il discorso dell’assessore alla cultura che, mentre stigmatizza quella dei compaesani, rivela la sua abissale ignoranza nell’oltraggiare la lingua italiana (“a caratteri cubitici”; “che faccino quello che vogliono”). Le storie dello scirocco è un romanzo pop o postmoderno, in cui si intrecciano registro alto e registro basso, livello aulico e livello quotidiano, con l’impiego di termini dotti o rari accanto a quelli più prosaici e perfino triviali, di là da ogni gerarchia di valori. Non inganni il sottotitolo, Commedia in due atti, che serve solo a spiazzare il lettore, in linea con quell’atteggiamento ironico e irriverente che permea il libro; si tratta, in verità, di un’opera narrativa, formalmente divisa in due parti, prive di scansioni in capitoli o capitoletti, con brani separati solo da tre asterischi, quasi frammenti di un mondo alla deriva. A meno che quel sottotitolo non voglia accennare a un teatro in cui è rappresentata una realtà irrazionale e caotica, sfuggente a ogni teleologica concezione. Si potrebbe anche pensare che si alluda alla Commedia di Dante, non solo per il mescolio del linguaggio, ma anche per la peculiarità del contenuto. È infatti un girone infernale, quello che è raffigurato, di personaggi involti in vizi, crimini e scelleratezze: personaggi di sfrenati costumi, trattati con espressionistico furore, pressoché ridotti a pure funzioni narrative, scevri come sono di approfondimenti psicologici.

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Ettore Catalano, Il complesso di Chirone

In libreria
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Quanto ci costa l’egemonia monetaria degli USA?

di Guglielmo Forges Davanzati

La gran parte dei commenti del Piano Draghi si è concentrata sul tema – rilevante – della perdita di produttività in Europa e sul come farvi fronte, proponendo un programma di investimenti pubblici di eccezionale entità, per evitare la “lenta agonia” dell’Unione. Draghi fa riferimento alla “debolezza” europea per quanto attiene al ritardo tecnologico rispetto a USA e Cina. Minore attenzione da parte dei commentatori è stata riservata alla necessità, secondo Draghi, di recuperare finanziamenti nell’ordine di 800 miliardi l’anno, per innovazioni tecnologiche, transizione digitale, transizione energetica. Il tema è di massima rilevanza in quanto attiene alla questione dell’emissione di titoli del debito pubblico europeo e, dunque, allo status internazionale della nostra valuta. Conviene, quindi, soffermarsi sui costi economici e sociali che si generano in una condizione, come quella attuale, nella quale una sola valuta – il dollaro USA, sebbene con le cautele che vedremo – svolge la funzione di moneta di riserva e di scambio sul piano internazionale, per poi soffermarsi sugli effetti che questo “privilegio esorbitante” americano (come ebbe a definirlo il Presidente francese Valéry Giscard d’Estaing) eventualmente comporta soprattutto per le fasce sociali più deboli delle aree, come il Mezzogiorno, meno sviluppate. L’unificazione monetaria europea si realizzò anche con l’aspettativa di dare all’euro uno status internazionale al pari del dollaro. Ciò non è accaduto, soprattutto a ragione del fatto che l’UME non è diventata un’unione politica con un bilancio rilevante e sistematica emissione di suoi titoli del debito pubblico.

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Taccuino di traduzioni 1. Friedrich Hölderlin, La veduta

di Antonio Devicienti


Anonimo, Veduta della città di Tubinga, acquerello e tempera, metà del XVIII sec. La torre di Hölderlin è la prima a sinistra (Marbach am Neckar, Schiller-Nationalmuseum; da Agamben, La follia di Hölderlin)

Quando la vita abitante degli umani si avvia nella lontananza,
là dove s’illumina lontanando il tempo delle vigne,
le è contemporaneo anche il campo vuoto dell’estate,
il bosco si profila con la sua oscura figura;
che la natura completa l’immagine dei tempi,
ch’essa dura, quelli scivolano via veloci,
è cosa che accade per perfezione, l’altezza del cielo sfolgora
allora sull’essere umano, come la fioritura incorona gli alberi.
Con umiltà
Scardanelli
24 maggio 1748

Die Aussicht 

Wenn in die Ferne geht der Menschen wohnend Leben,
Wo in die Ferne sich erglänzt die Zeit der Reben,
Ist auch dabei des Sommers leer Gefilde,
Der Wald erscheint mit seinem dunklen Bilde;
Daß die Natur ergänzt das Bild der Zeiten,
Daß die verweilt, sie schnell vorübergleiten,
Ist aus Vollkommenheit, des Himmels Höhe glänzet
Dem Menschen dann, wie Bäume Blüht’ umkränzet.
Mit Untertänigkeit
Scardanelli
d. 24 Mai 1748

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Antonio Stanca, Universum A-31


22-01-2004, cm 59,9 X 59,9
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Il fascino dei miti eterni: “Marcello, come here”

di Antonio Errico

Quando morì Marcello Mastroianni, il 18 dicembre del Novantasei , dall’alto della Fontana di Trevi  furono calati  tre lunghi drappi di seta nera, mentre  nell’aria si diffondevano le immagini della Dolce vita. Dalle acque della Fontana  Anita Ekberg lo richiamava ancora: “Marcello! Come here!”.

Il film uscì nel 1960. Marcello era il simbolo della bellezza. Era un mito.

Poi passarono gli anni. Perché gli anni passano. Anche per i miti.

Una mattina, mentre attraversava  una via di Napoli, un uomo sulla soglia di un bar gli disse così:  “Marcelli’, ce simm fatt vecchiariell eh? ‘O vulit nu cafè?”. In quella frase c’era tutto l’affetto per l’uomo, per la sua storia. Non per il divo di Hollywood, per l’attore bellissimo, per il seduttore affascinante. C’era l’affetto per l’uomo con i capelli grigi grigi, il viso incavato e scavato dalle rughe, con le mani che tremavano. Anche più bello di com’era stato. Anche più affascinante. Con tutta la bellezza e il fascino che ha un tramonto. Più si allontanava nel tempo lo splendore dell’attore, più la sua bellezza diventava assoluta.

Nel tempo la sua immagine è diventata un’icona, un simbolo, una rappresentazione immaginaria dell’attore; è come il personaggio di una fiaba: tutti conoscono il suo nome anche se non tutti hanno letto la storia.

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La travagliata vicenda del sepolcro del Gattamelata a Padova

di Rocco Orlando


Tomba del Gattamelata.

Erasmo Stefano da Narni era nato nella cittadina umbra, da cui prese il nome, verso il 1370, da Paolo che aveva un mulino. Il soprannome Gattamelata pare che non gli sia derivato dall’astuzia nell’arte bellica, ma dal nome della madre Melania Gattelli che, quando Erasmo era piccolo, lo chiamava per la sua astuzia innata “Gattin melato”, quindi può darsi che il soprannome gli derivasse dall’associazione delle due parole.

     Il biografo narnese Giovanni Eroli1 dice che il Gattamelata fu così chiamato “per la dolcezza dei suoi modi insieme a grande astuzia e furberia e per il suo parlare accorto e mite dolce e soave”. E ancora l’Eroli sostiene che “nella vita del guerriero sempre agitata, tempestosa, piena di fatica, di disagi, di amarezze e di dolori […], (verso i quarant’anni, ndr) nasce il bisogno di amare e di essere amato, la necessità di avere un rapporto autentico e profondo. In lui si fa strada sempre più forte il bisogno di ricevere attenzione, cura e gentilezza, più in generale amare. Ha desiderio di sperimentare l’opposto della battaglia, del sangue, della morte, ha voglia di coinvolgersi nei sentimenti di pace, serenità e quiete [] e conviensi una donna di cor gentile, delicata, sensibile, buona. Aveva adescato una giovane avvenente ingegnosa, di gentile stirpe, fornita d’ogni bel costume, nomata Giacoma di messer Antonio Beccarini Brunori da Leonessa […], ella avea quei medesimi sentimenti di religione e di virtù, da governare l’animo dell’amante, perciò piacque a costui quale compagna, la desiderò, la chiese e ottenne facilmente. Stante la bellezza reciproca, l’indole e virtù conforme, tutti presagiron felice questo nodo: e lo fu in realtà, perché un amore intimo animò sempre e fiorì loro vita”.

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L’ostacolo del “fabulare”. La finzione autobiografica dantesca nell’opera volgare dell’Alighieri. Introduzione

di Gianluca Virgilio

Ho lavorato a lungo, dalla fine degli anni Ottanta e poi nel corso dei Novanta, a questo lavoro su Dante, L’ostacolo del “fabulare”. La finzione autobiografica dantesca nell’opera volgare dell’Alighieri, che considero oggi come uno studio giovanile e, dunque, una parte del mio percorso intellettuale. A Dossena, nel febbraio 1998, scrissi l’Introduzione che segue, come suggello dell’intero studio. Lo propongo al lettore senza alcun aggiornamento, così come l’ho ritrovato nel mio attuale computer, dove miracolosamente è giunto dopo essere passato da un computer all’altro nel corso dei decenni scorsi. Non so se il fatto che sia sopravvissuto alla sostituzione di diverse macchine elettroniche sia solo un buon segno oppure il risultato del mio vecchio proposito di pubblicarlo. Comunque sia, ora è affidato all’indulgenza del lettore, che spero almeno pari a quella mia nei confronti dell’autore di questo saggio dantesco.

Per il testo della Vita Nuova e delle Rime ho utilizzato l’edizione a cura di Domenico De Robertis e Gianfranco Contini, in Dante Alighieri, Opere minori, vol. I – tomo I, Riccardo Ricciardi Editore (Classici Ricciardi-Mondadori), Milano Napoli 1995; per il Convivio l’edizione a cura di Cesare Vasoli e Domenico De Robertis, idem, ibidem, vol. II, tomo I e II; il testo della Divina Commedia è quello stabilito da Giorgio Petrocchi, La Commedia seconda l’antica vulgata, Edizione Nazionale a cura della Società dantesca Italiana, Mondadori, Milano 1966-67.

(Galatina, 15 agosto 2024)

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Trasmissioni radio 17. Indegnamente imitando Sogni di sogni di Antonio Tabucchi

di Antonio Devicienti

A. T., scrittore italo-portoghese, durante il consueto sonno pomeridiano nella sua casa di Lisbona, sognò che era il pomeriggio del 25 aprile 2011 e che tutta la Baixa era imbandierata a festa per celebrare la Rivoluzione dei Garofani.

Il sole, quel dolce sole che solo Lisbona sa inventare colorandolo con le facciate e le finestre dei suoi palazzi e con l’azzurro del Tago, spinse A. T. a sedersi a un tavolino di caffè per guardare la gente allegra che passeggiava. Vide allora avvicinarglisi tre persone che gli si rivolsero in perfetto italiano venato dalla bella cadenza portoghese: «Possiamo invitarLa, gentile Signore, a una breve passeggiata in nostra compagnia?»

Stupito ed emozionato A. T. seppe subito senza che glielo dicessero che stava parlando con Maria Helena Vieira da Silva, la pittrice, con Arpad Szenes, anche lui pittore e marito di Maria Helena e con la poetessa Sophia de Mello Breyner Andresen. Non si stupì del fatto che sapesse già che tutti e tre erano morti: nei sogni questo accade spesso e lui stesso, da tempo, aveva smesso di aver paura dei morti.

S’incamminarono dunque verso la piazza del Rossio.

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Gaetano Minafra, Arte sacra 4. Cristo in croce con Madonna e San Giovanni

Croce lignea, Cristo, la Madonna e San Giovanni sono decorati con colori acrilici e foglia oro; Foglia oro e pietre preziose adornano l’aureola del Cristo, cm 80 X 70, 2019.
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Pietro Pascali – Daniele Capone – Angelo Lazzari, Come bianchi di farina. Luoghi e borghi della Terra di Castro

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Manco p’a capa 223. Scuola: si impara senza capire

di Ferdinando Boero

Nel precedente contributo a questo blog tratto delle basi su cui è fondato l’insegnamento nel nostro paese. Salvo rare eccezioni, si propongono regole generali, astratte, non basate su esperienze quotidiane: il metodo deduttivo. Ho argomentato che sia il metodo induttivo (prima l’esperienza e poi l’astrazione) ad essere più consono alla nostra natura, riferendomi all’apprendimento della lingua madre: prima si parla, poi si imparano le regole.
Molti commentatori mi hanno contestato, spiegandomi l’utilità delle le regole, come se avessi scritto che è inutile conoscerle. Vista la dominanza delle astrazioni, l’osservazione della natura è assente dai percorsi scolastici e, per compensare la mancanza, si è molto sviluppata la divulgazione naturalistica: pare che il tema sia gradito al pubblico.
Come non sono d’accordo con la logica dell’apprendimento scolastico, così lo sono con la documentaristica sulla natura. La scuola ha basi deduttive (regole senza la pratica), la documentaristica è esclusivamente induttiva: tanti fatterelli che non portano ad alcuna regola generale. Il fine è di sollecitare meraviglia e sorpresa nello spettatore: la reazione OHHH. All’inzio questo approccio si basava su una strategia: prima attiriamo gli spettatori con la meraviglia, e poi generiamo la consapevolezza: la reazione AHHH. Alla consapevolezza non siamo mai arrivati. I due estremi (scuola deduttiva, divulgazione induttiva) non ammettono compromessi.

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Ettore Catalano, L’esilio di Dante Alighieri


E’ stato pubblicato “L’esilio di Dante”, con prefazione di Giuseppe Palma e in collaborazione editoriale con la sua biblioteca digitale. Per motivi di dimensione, il libro è edito solo in formato ebook, pubblicato da Amazon KDP in Indipendently published ed è già disponibile su Amazon.

di Giuseppe Palma

Dopo “Scritti su Dante”, saggio letterario edito ad agosto di quest’anno da GpM edizioni, il prof. Ettore Catalano pubblica questo suo ulteriore lavoro dantesco, stavolta sull’esilio del Sommo Poeta, in collaborazione con la mia biblioteca digitale (labibliotecadipalma.it).

Ettore ripercorre, con dovizia di particolari, le vicende storiche che portarono Dante all’esilio obbligato (fu condannato a morte e dunque non fece mai più ritorno a Firenze), e ai suoi tentativi – tutti falliti – di fare rientro in patria. Uno su tutti quello di aver sostenuto il progetto di Enrico VII di Lussemburgo, detto Arrigo, che intendeva scendere in Italia ponendo fine alle lotte intestine tra Guelfi e Ghibellini, imprimendo sull’Italia centro-settentrionale l’autorità politica imperiale, lasciando al Papa solo quella spirituale. Un progetto senza dubbio “ghibellino”, che tuttavia non determinò in Dante il passaggio dalla fazione Guelfa a quella Ghibellina. Ma il sostegno ad Arrigo valse al Sommo Poeta l’accusa feroce di ghibellinismo da parte dei suoi amici Guelfi bianchi. L’intenzione del Poeta era, senza dubbio, quella di sostenere Arrigo non per diventare ghibellino bensì per tornare finalmente a casa sua (dove aveva lasciato la moglie Gemma Donati e i tre figli), da uomo libero. Ma Arrigo morì prematuramente di malaria all’inizio della spedizione in Italia, il 24 agosto 1313, a Buonconvento, dopo che aveva cinto d’assedio la città di Siena. E con la morte di Arrigo svanirono definitivamente anche le speranze di Dante di fare rientro a Firenze.

Particolarmente interessante è la tesi di Catalano, sostenuta – tra gli altri – anche dal Santagata, secondo cui Dante abbia iniziato a scrivere la Cantica dell’Inferno non quando era già in esilio bensì qualche anno prima, quando ancora era a Firenze, e che fosse tornato in possesso dei relativi fogli durante il suo primo esilio, in Lunigiana.

Un avvincente saggio storico-letterario che tutti dovrebbero leggere, soprattutto i giovani.

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Parole, parole, parole 29. L’enigma struggente che ha nome Sicilia

di Rosario Coluccia


Trionfo della Morte, affresco staccato, 600×642 cm, Galleria regionale di Palazzo Abatellis, Palermo.

Alcune settimane fa ero in Sicilia, terra affascinante per storia e bellezza. Per la prima volta nell’agrigentino, mi spostavo in macchina su strade piccole e piene di curve, dove viaggiatori spericolati guidavano velocemente. Io, con andatura assai più lenta, visitavo i luoghi devastati dal terremoto che la notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968 colpì la Valle del Belice, con epicentro tra Gibellina, Salaparuta e Poggioreale. Il bilancio fu terribile: 352 morti, più di 600 feriti e decine di migliaia di senzatetto, intere città rase al suolo, danni ingenti al patrimonio edilizio. Non sono il turista che ama curiosare sulle disgrazie collettive; ora, a distanza di quasi sessant’anni, volevo constatare lo stato della ricostruzione che dovrebbe essere il primo obiettivo di uno stato solidale. E invece, un disastro.

Il governo dell’epoca favorì l’esodo delle popolazioni terremotate, in vari modi e per qualunque destinazione. La scelta aggravò il già notevole fenomeno dello spopolamento, quelle zone subirono un ulteriore esodo di circa 30.000 persone. Con l’abbandono delle terre e delle attività tradizionali, la ricostruzione non fu più sentita come urgente, gli interventi andarono a rilento, spesso furono solo avviati e mai completati, vero monumento all’inefficienza e al malaffare. Del vecchio centro abitato di Salaparuta rimane un ammasso di rovine tra cui emergono ruderi di case, la base della torre quadrata del castello dei Paruta, la parte bassa dei muri perimetrali della Chiesa Madre. Dopo una curva, una scritta a caratteri cubitali avverte che ci si trova davanti alle rovine di Salaparuta, come se il viaggiatore avesse bisogno di questa precisazione inutile: i resti parlano da soli, implacabili.

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Pinacoteca “C. Giaquinto” – Bari, 𝟐𝟗 𝐬𝐞𝐭𝐭𝐞𝐦𝐛𝐫𝐞 𝟐𝟎𝟐𝟒


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