Diario dossenese (ottobre 1997-giugno 1998) 8. Maggio

di Gianluca Virgilio

(Continuazione)

4 maggio 1998

Eccomi di nuovo a Dossena, dopo una breve vacanza trascorsa a Galatina con la mia famiglia. Durante il viaggio di andata e di ritorno ho letto U. Eco, I limiti dell’interpretazione e G. Sasso, Il tramonto di un mito.

A Galatina ho continuato la rilettura dei Fratelli Karamazov, intermessa durante le vacanze di Pasqua. Le mie letture seguono l’andamento dei miei viaggi, sono come la mia vita, corrono parallele alla sua superficie, come la terra coltivata dei campi sugli strati profondi del pianeta.

Adesso, ore 11 e 30, approfittando di un’ora buca, trascriverò parte di un articolo di mio padre su Gobetti.

5 maggio 1998

Ho rivisto il mio racconto intitolato Storia di Fefé e Fanny. Fanny è un personaggio che proprio mancava al racconto, di cui ero insoddisfatto. Ora la mia tredicesima storia si può dire completata, salvo ritocchi che apporterò rileggendola.

Opero proprio in questo modo: leggo e rileggo, a volte dieci, quindici volte, la storia che ho scritto, per sentirne il suono, per assicurarmi che non manchi nulla, e che nulla sia superfluo. Solo quando non sento più l’esigenza di rileggerla, solo allora so con certezza che il racconto non abbisogna di nessun’altra aggiunta e può essere considerato concluso.

***

Leggo in Felice Riceputi, Storia della Valle Brembana, Museo Etnografico “Alta Valle Brembana”, Valtorta 1997, p. 38, che nel XIV secolo i lupi non erano affatto sconosciuti nella valle. “(…) sono rimaste famose le suppliche che venivano rivolte a S. Alessandro in molti comuni della Valle Brembana contro l’invasione dei lupi che in quel periodo infestavano la valle, con promessa dei nostri valligiani di visitare una volta all’anno le spoglie del santo a Bergamo, facendo offerta di tutto il formaggio ricavato dal latte in un giorno di mungitura”. Inoltre, a p. 106, sempre  a proposito dei lupi, trovo scritto: “Nel 1530 ve ne fu [di lupi] un’invasione vera e propria che mise a repentaglio non solo le greggi ma anche gli uomini, tanto che il Consiglio di Bergamo stabilì un premio di venti lire per ogni lupo ammazzato”.

Dieci pagine prima, a p. 28, si legge: “Nel 1186 il vescovo Guala affitta il monte Cornello agli abitanti di Frerola e Bracca, riservandosi la decima e il diritto di caccia all’orso e al camoscio”.

Non è suggestivo pensare che sette-otto secoli fa, uscendo la sera per le mulattiere della valle, si potevano fare di questi incontri?

***

Oggi buone notizie da Galatina. Ornella si è sottoposta a un’ecografia nell’ospedale di Lecce. Sofia sta bene, sbadiglia beatamente nel grembo materno, pesa già due chili, ed ha tutti gli organi ben formati. Inoltre si è messa in posizione per il prossimo parto. Siamo ormai alla trentaquattresima settimana. Speriamo che tutto vada bene.

Giulia è triste per la mia assenza, ma non lo dimostra apertamente, se non con alcuni segnali che Ornella mi riferisce. Pare che oggi abbia detto: “Mi sento come una bambina sperduta senza mamma e papà”, frase che ha sentito nel film-cartoon Peter Pann. Ma lei la ripete non senza un preciso riferimento alla sua situazione attuale. Eppure l’altro ieri, nella stazione di Lecce, mi salutava ridendo mentre il treno partiva, come se capisse che io partivo per necessità e per questo non drammatizzava la situazione, come tanti bambini piagnucolosi. Che questa bimba abbia veramente “nu cervieddru de crande”, come diceva il bisnonno materno?

6 maggio 1998

Oggi ho preparato i plichi da spedire a Perugia e a La Spezia, rispettivamente una poesia d’amore (Quadri urbinati) e un racconto di mare (Il vecchio pescatore).

***

U. Eco, I limiti dell’interpretazione, cit, a p. 175 scrive: “I patrizi romani erano esteticamente soddisfatti da una copia di una statua greca, e chiedevano una firma contraffatta dell’autore originale. Alcuni turisti a Firenze ammirano la copia del David di Michelangelo senza essere disturbati dal fatto che non sia l’originale. Al Getty Museum di Malibu, California, statue e dipinti originali sono inseriti in ambienti “originali” molto ben riprodotti, e molti visitatori non sono interessati a sapere quali siano gli originali e quali le copie”.

Non potrebbero questi essere buoni argomenti da usare contro il feticismo dell’opera d’arte dell’era della sua riproducibilità tecnica?

Il feticismo dell’opera d’arte potrebbe essere spiegato come un fenomeno prodotto dal desiderio del sacro, oppure come una reazione alla democratizzazione dell’opera d’arte fruibile non più solo da un’élite, ma da chiunque abbia senso estetico.

Mio maggiore appagamento nello sfogliare un catalogo ben fatto che riproduce i dipinti di una mostra che nel visitare la stessa mostra. Il fatto è spiegabile considerando che nei locali della mostra si hanno mille condizionamenti (l’affollamento, la semplice presenza di un custode, il tempo limitato che si ha a disposizione, la stanchezza fisica, il desiderio dell’aria aperta, eccetera) mentre guardando le illustrazioni di un catalogo si è veramente a tu per tu con l’opera d’arte, e in piena libertà, che è la cosa fondamentale per chi desideri godere d’un opera d’arte. E che importa che essa sia una semplice riproduzione!

7 maggio 1998

Sera. Oggi l’anticiclone delle Azzorre ci ha regalato una giornata di sereno. Sulla strada per San Pellegrino ho visto le prime mucche coi loro campanacci che pascolavano nei prati. E’ nata una cugina di Giulia, Elisa, figlia di Roberto e di Melissa. Pesa due chili e settecentocinquanta grammi. Il parto è stato un po’ travagliato, ma poi tutto è andato bene.

Stamani ho spedito a Perugia e a La Spezia i due plichi che avevo preparato ieri. Ora, ancora una volta, bisognerà attendere.

Nel pomeriggio, passeggiata a Bergamo insieme a mia sorella. Ho comprato un bel libro: Amorum libri tres di Matteo Maria Boiardo, conte di Scandiano.

Infine, sul numero di maggio della rivista “Poesia” leggo che la premiazione della sedicesima edizione 1998 del premio Montale avverrà il 29 e 30 maggio a Cremona. Comincio a credere che riceverò presto la prima delusione.

8 maggio 1998

Sta per terminare una giornata faticosa, per metà dedicata alla scuola, per metà al riposo e alla correzione di alcuni racconti. Per il resto non è avvenuto proprio niente, ragion per cui questo diario oggi registra così poche, insignificanti parole.

Destino troppo poco tempo alla lettura, e questo mi rende scontento. Spero che presto finisca la scuola, e giunga l’estate, cioè il tempo delle mie infinite letture. Sono stanco e vado a letto.

10 maggio 1998

Ieri, giorno di inattività. Nel dopo scuola, una trementa vertigine dovuta forse ad una forma cervicale mi ha bloccato a letto per tutto il resto del giorno. Non riuscivo quasi neppure a leggere. Queste vertigini mi colpiscono un paio di volte all’anno, l’ultima volta alla fine dell’estate scorsa. Dovrò accertarne l’esatta origine e causa. Quest’estate mi sottoporrò all’esame del sangue.

Oggi è una magnifica giornata di sole, sembra che l’estate sia improvvisamente arrivata, con temperature che superano a Dossena i venti gradi centigradi. Mi sento sufficientemente bene, e più tardi mi recherò in Endenna, da mia sorella, per pranzare insieme a lei.

Ora rivedrò, limerò i miei racconti, pur col pensiero che due pacchi di compiti dei miei sfaticati alunni mi attendono per essere corretti.

***

In una intervista di Luis Sepùlveda rilasciata a Laura Luche, pubblicata nell’Indice del mese di maggio 1988, pp. 5 e 7, a p. 5, l’autore sudamericano dice alcune cose degne di nota, che condivido.

“(…) il racconto è il genere più difficile perché il romanzo offre numerose possibilità di correzione: se un capitolo è debole lo si può rafforzare col capitolo successivo. Il racconto, al contrario, viene bene o non viene affatto”.

“Esiste un rispetto per il lettore e ci sono cose ovvie. Quando si esorcizzano demoni di situazioni terribili come la prigionia e le torture, si è consapevoli che l’umanità sa già di cosa si tratta, sicché descriverle minuziosamente sartebbe un atto d’insolenza e un’oscenità. Anche il dolore, infatti, possiede un’enorme oscenità”. E poi, facendo riferimento a Cortàzar: “Perché comprendere il senso della nostra condizione di uomini, di cittadini, ci obbliga ad assumere una posizione etica rispetto alla vita – e quella condizione etica si può chiamare, per esempio, militanza -, mentre comprendere il senso della condizione di artisti ci porta ad assumere un atteggiamento rigorosamente coerente rispetto all’estetica con cui lavoriamo. Poiché non può esistere separazione fra la letteratura e la vita, si deve cercare sempre di trasferire l’etica all’estetica, e di trasmettere l’estetica all’etica”.

Valga a proposito del film di Coppola, Schindler’s list, già da me criticato in questo diario.

Infine, discutendo il rapporto tra letteratura e cinema: “Quanto alla letteratura, io, come tanti, sono incapace di scrivere una sola riga se prima non vedo le cose, se non ho uno schermo ben installato in testa in cui non solo vedo cosa fanno i personaggi ma anche lo sfondo. Non mi basta visualizzare il personaggio che cammina per strada, se ci sono porte, devo sapere di che colore sono e cosa c’è dietro. Solo allora posso dar vita al personaggio, e questo è cinema puro”.

***

Il difetto di U. Eco è quello di essere troppo cervellotico.

12 maggio 1998

Leggo in U. Eco, I limiti dell’interpretazione, cit., p. 325: “Interpretare significa reagire al testo del mondo o al mondo di un testo producendo altri testi”.

***

Mi è giunta oggi una telefonata dalla scuola materna di Endenna, con la quale una maestra mi avvisa che Lunedì 18 maggio 1998, alle ore 20.30, ci sarà una riunione con i genitori in cui si parlerà di quello che posso chiamare il primo anno scolastico di Giulia. Dovrò andarci, per assolvere al mio primo compito serio di padre, almeno in ambito extrafamiliare. Provo una segreta contentezza.

***

Leggo in Felice Riceputi, Storia della Valle Brembana, cit., p. 82, due righe tratte da una relazione del 1524 dei due rettori veneti di Bergamo, relative al carattere avaro degli abitanti della Valle: “Come se tocano sopra el denaro, non cognosceno alcuno; et chi li toca de un soldo, li cava le radici del core. Sono bergamaschi, né cognosceno altro sangue né altro Dio, solum la pecunia”.

Osservazione da me fatta migliaia di volte in questi anni.

***

Mario Marchetti, Sul sommerso della scrittura, ne L’Indice di maggio 1998, p. 31, analizzando i racconti dei narratori che hanno concorso al Premio Calvino, alla cui prossima edizione anch’io parteciperò, scrive: “Nella pluralità dei casi ci troviamo di fronte a io narranti o a protagonisti (sovente alter ego di chi scrive) stemperati in emozioni, sentimenti, riflessioni, i quali, dalla loro “particolare” specola, rappresentano l’altro / gli altri unicamente in rapporto al proprio sé: una struttura narcisistica della narrazione, potremmo insomma dire”.

In effetti questa struttura narcisistica della narrazione è il pericolo più elementare, lo scoglio più vistoso, ma non per questo meno pericoloso, che lo scrittore, e non solo quello che scrive in prima persona, deve saper evitare. Si tratta in verità di uno scoglio assai sporgente fuori dalle acque, dunque ben visibile, e tuttavia le correnti dell’ego sospingono con forza verso quella direzione.  È un io deleterio per la narrazione, perché dà una connotazione narcisistica al racconto, intrappolandolo nelle pastoie di elementi extratestuali, narcisistici appunto. Ma bisogna stare bene attenti a non confondere l’io dell’autore con l’io del narratore; cioè, occorre discernere con molta attenzione se l’io è una struttura funzionale al racconto, oppure se sia un elemento estraneo al testo, un ammasso di grasso che ricopre, uccidendolo, il corpo testuale. Allora la ricetta consiste nel salvaguardare sempre l’io del narratore, laddove esso esprime una funzione vitale per il racconto, e di espungere senza pietà l’io autoriale, laddove esso fa capolino sospinto dalla carica narcisistica che inevitabilmente, chi più chi meno, è in ognuno di noi. Solo allora saremo o ci sentiremo autorizzati a scrivere in prima persona. Si veda Dante e la pagina del Convivio in cui quel grande discute del parlare di sé.

Perché a quel punto non saremo più noi a parlare di noi stessi, ma sarà il testo a parlare di sé, e allora il racconto ci sarà veramente, come un fiume, un albero, una sedia; esso coprirà uno spazio vuoto nel mondo, sarà una presenza ineludibile, imprescindibile, e non sarà più il caso di discutere sulla legittimità del suo essere.

Queste cose ho pensate durante il collegio dei docenti di oggi, sulla base della mia ultima esperienza affabulatoria: Storia di Fefé e Fanny, titolo che cambierò nel più audace titolo Io, Fefé e Fanny.

13 maggio 1998

Leggere e rileggere dieci, cento volte un racconto, e rileggendo correggere, aggiustare, modificare, limare, eccetera, è lavoro simile a quello di un musicista che prova e riprova, finché lo strumento non diviene docile alle sue mani e non gli dà i risultati voluti.

15 maggio 1998

Ieri sera ho scritto la poesia Maggio a Dossena.

In questi giorni prosegue l’opera di revisione dei tredici racconti scritti. Non sto pensando a scriverne altri, perché voglio limare per bene, fino a renderli perfetti, quelli già scritti. Il racconto che mi ha dato più filo da torcere è stato Io, Fefé e Fanny, e per una ragione semplicissima. Esso nasce come necrologio di Gegé, dunque come rimemorazione di un fatto reale; pertanto ho dovuto fare molta fatica a trasformarlo radicalmente in racconto, con una linea drammatica ben precisa. Ci tengo molto a questo racconto perché con esso si apre l’intera raccolta.

***

Da Galatina giungono notizie contrastanti circa lo stato di salute di mio padre. L’altro ieri ha avuto un febbrone, da cui si è riavuto dopo un giorno. Le analisi hanno dato esito negativo, per fortuna. Ma il fatto che non si riesca ad individuare la causa precisa che determina la febbre, questo non ci lascia tranquilli.

Oggi Ornella si sottoporrà ad una nuova visita ginecologica presso il dott. Lagna di Galatina.

***

Andrò a scuola, per cercare di fare lezione; incontrerò alunni sempre più maleducati e indisciplinati, nei confronti dei quali non vale nessun mezzo a correggerli. Purtroppo, mi pagano (male) per subire. Ed io subisco!

16 maggio 1998

Ornella ed io siamo un po’ preoccupati, perché dall’ecografia effettuata ieri dal dott. Lagna risulta che Sofia ha assunto una posizione podalica, contrariamente a quanto ci aveva assicurato il dottor Lorenzo una decina di giorni fa, quando da un’altra ecografia risultava che Sofia  aveva già assunto una posizione cefalica. Ornella in particolare è assai depressa, mentre io cerco di farle coraggio, sebbene anch’io mi senta alquanto nervoso.

Intanto, in questa solitudine dossenese, ricorreggo i miei racconti prima di mandarli a Piero Manni, editore di Lecce, per un’eventuale pubblicazione;  mi sembra un editore abbastanza aperto alle nuove generazioni. Ho scritto una lettera d’accompagnamento, con una captatio benevolentiae niente male. È chiaro che non spedirò nulla, se prima non sarò sicuro che i racconti non siano più suscettibili di alcuna variazione.

***

Scena scolastica. Prima del suono dell’ultima campanella vedo Tizio, studente scapestrato e irriducibile, che viene assalito a gamba tesa e coi pugni stretti da un suo compagno che io faccio appena in tempo a trattenere dal commettere una follia. Ma è certo che nella scuola veramente da un momento all’altro potrebbe accadere l’irreparabile, perché non c’è mezzo di ridurre al silenzio studenti irriguardosi e incontrollabili, e i professori sono, specialmente alla fine dell’anno, esausti. Essi durante tutto l’anno non hanno insegnato se non che a scuola è possibile fare tutto ciò che si vuole, che è essa il vero Paese dei balocchi. E se poi Tizio si tramuta in asino, chi vuoi che se ne importi?

19 maggio 1998

La vita procede normalmente, senza grandi novità. Ieri sera ho assolto al mio primo compito di padre, recandomi, previa convocazione delle maestre, insieme a zia Milena, presso la scuola materna di Endenna, che Giulia frequenterà il prossimo anno scolastico.

***

Continuo, sia pure a fatica, a correggere e limare i miei racconti, e spesso sono colto dal dubbio che essi possano non interessare a nessuno. Intanto proseguo nel ricopiare gli articoli di mio padre su argomenti gobettiani.

***

Gita a Milano con Milena, cui ho mostrato il Naviglio Grande, alcuni musei, eccetera. Mio pensiero che ritorna a venticinque anni fa, quando la inducevo a seguirmi con la bicicletta in luoghi di Galatina che lei non conosceva. Questo a conferma che nella vita di una persona cambiano le forme esteriori, ma non le strutture essenziali del comportamento e dell’esperienza. E non potrebbe essere questa una manifestazione del concetto niezschiano dell’eterno ritorno dell’uguale? Il ritorno dell’uguale è dunque la cifra della nostra vita, la modulazione che si ripete nelle diverse circostanze, la nostra identità. Ora, se noi applicassimo questa definizione, che riguarda noi stessi, al mondo intero, all’infinito/i universo/i, ecco che noi avremmo l’esatto senso della definizione di eterno ritorno dell’uguale. Questo potrebbe essere detto contro quanto afferma Gennaro Sasso, Tramonto di un mito, cit., p. 157, laddove dice che “(…) il tema dell'”eguale” (“identico”) [in Nietzsche] non riesce a risolvere in sé quello, non coincidente, del ritorno: il tema del “tempo” seguita a farsi sentire per entro la non temporale dimensione dell’eternità. E perciò è l’aporia che si riafferma, non la risoluzione dell’aporia”.

Ma l’aporia, dovrebbe saperlo il prof. Sasso, è priva d’ogni risoluzione, e va accettata com’è, senza altri ragionamenti.

20 maggio 1998

Ripenso a quanto ho letto sul “Corriere” di ieri a proposito della riforma Berlinguer, relativamente al tema d’Italiano nell’esame di maturità, che verrà sostituito da “un’analisi e commento di un testo letterario, una recensione, un saggio breve, un testo narrativo, una sceneggiatura”.

Ne vedremo delle belle. I nostri alunni che già ora credono di essere professori, saranno incoraggiati a credersi critici letterari, giornalisti, saggisti, scrittori e sceneggiatori, e chissà, anche attori e registi.

Altra assurdità: tutti saranno ammessi all’esame di maturità, come se fosse scontato che tutti se lo meritino sempre e in ogni caso. Penso che il senso della misura sia andato ormai smarrito. Vedremo.

22 maggio 1998

Momenti di panico, ieri, quando, non so come, un file contenente le mie lettere, è sparito. Ho portato il computer a Bergamo, per un controllo, e alla fine sono riuscito a recuperare il file. Eppure il brutto momento mi ha fatto convivere con l’idea della scomparsa di ciò che io avevo scritto. L’umanità non avrebbe perso nulla d’importante, se non avessi recuperato il file; ma è un fatto che il senso di smarrimento che mi ha sorpreso, mi ha fatto star male per un giorno intero, e mi ha fatto riflettere. Era la mia morte in effige?

***

Notevoli cose ho letto oggi sul “Corriere della sera” a proposito della memoria e dell’arte del raccontare. L’articolo è firmato da Claudio Magris, ed è dedicato a Ezio Raimondi (in realtà è strutturato a due voci): Raimondi. L’avvenire dei nostri ricordi, p. 31. Voglio riportare qualche brano. Dice Magris: “In quasi tutto ciò che ho scritto, ho sentito fortemente questa necessità di raccontare per comprendere, perché raccontare significa unire giudizio e accettazione della vita al di là del giudizio, insomma ripercorrere l’esistenza.”

Più avanti Raimondi afferma: “Quando si legge un testo, quando si assume un punto di vista per osservarlo o per interpretarlo si tenta sempre di vederlo sotto una luce differente da quella già istituzionalizzata da altre letture e interpretazioni. Di fatto si compie un atto di decentramento, si sceglie uno spazio non ancora esplorato. Si va verso la periferia e di qui possono allora nascere relazioni non ancora messe a frutto, immagini rimaste in ombra, virtualità per così dire nuove. Nel lettore accade sempre poi uno sdoppiamento, egli osserva e si osserva. Questo è il momento della sua “ironia”, del suo subordinarsi alla verità di un testo, come avevano già intuito i grandi romantici. Il lettore non dev’essere superbo, ma responsabile, cioè consapevole della propria finitezza e della propria temporalità. L’ironia è allora una funzione dell’etica”.

Magris di seguito aggiunge: “La memoria è un grande valore; significa fedeltà, salvataggio delle cose dall’oblio, lotta contro la morte. Ma esiste anche una memoria regressiva e rancorosa, un’incapacità di liberarsi dai grovigli del passato, una livida coazione a ricordare e a vendicare torti patiti -così frequente nella Mitteleuropa- che toglie signorilità e libertà…”. Risponde di seguito Ezio Raimondi: “C’è sempre un’insidia nella memoria, come ammoniva Nietzsche; quella di indebolire il rapporto con il presente, di sostituire la nostalgia  o il rimpianto al contatto diretto con le cose e gli uomini del nostro tempo. Ma la memoria con cui prendiamo consapevolezza della nostra storia passata, sospesa quasi nel vuoto del nostro stesso essere finito, può avere anche un ruolo attivo, come un invito al confronto con ciò che sta intorno, con i compiti, le speranza e forse anche le delusioni del nostro presente. Così ricordare è anche un procedere in avanti, quasi un rivivere il passato nel futuro. Allo stesso modo leggere bene è alla fine un atto etico, una scelta, un orientamento vitale”.

***

Ornella è ormai al nono mese di gravidanza, per l’esattezza alla trentacinquesima settimana. Fra un mese circa nascerà Sofia. Speriamo che vada tutto bene. Ornella mi telefona a volte sconsolata, per chiedere conforto. Io le parlo con tutta l’energia di cui sono capace, per tirarla un po’ su. Ma sono momenti per fortuna passeggeri.

***

È di oggi la notizia che la scuola dell’obbligo proseguirà fini a sedici anni a partire dall’anno prossimo. Penso ai miei alunni pastori o aspiranti manovali, alle immani sofferenze che lo Stato fa provare loro già ora che la scuola termina a quattordici anni, a quello che subiranno gli alunni di tutta Italia che si trovano nelle loro condizioni. Che gran spreco di energie! Chi ha inventato l’espressione diritto-dovere ha veramente inventato un raffinato strumento di sopraffazione e di tortura. Ma in nome dell’Europa, dobbiamo subire anche questo.

24 maggio 1998

Riflessione sulla scrittura come atto comunicativo. Mi capita di sentire l’urgenza di alcune correzioni solo quando sto per inviare un testo a qualcuno. Ragion per cui sospendo la spedizione, e la rinvio, per avere il tempo di intervenire sul testo, migliorandolo. Questo vuol dire che nella scrittura l’esigenza comunicativa ha un’importanza fondamentale, poiché la correzione interviene quando si sta avviando il processo comunicativo con chi si suppone che leggerà il testo che deve ancora essere spedito.

Insomma, non ce ne accorgiamo, ma parliamo, scriviamo sempre a qualcuno; del resto l’ultimo uomo della terra, colui che non avrà discendenza, il sopravvissuto, potremmo mai figurarcelo intento a scrivere le sue Memorie?

***

Spero di aver terminato la correzione dei miei tredici racconti. È certo che ci ho impiegato più tempo a correggerli che a scriverli. Ma forse per un principiante come me, questo è del tutto normale.

***

Oggi, tempo pessimo. Piove a dirotto.

26 maggio 1998

Continua il mal tempo, con piovaschi che si susseguono a schiarite, mentre la temperatura, dopo i picchi di trenta gradi quindici giorni fa, si è stabilizzata sulle medie stagionali. L’estate è ormai alle porte e con essa la fine della scuola. Che liberazione!

Ho riletto ancora una volta i miei racconti, ed un’altra volta li rileggerò per eliminare qualche piccolo errore residuo, prima di mandarli a Piero Manni.

In questo periodo sto leggendo Gerard Genette, Palinsesti. Il gardo secondo della letteratura, Einaudi, Torino 1997.

***

È una di quelle sere nelle quali sembra che il mondo ci caschi addosso, e che abbiamo vissuto inutilmente fino ad oggi. L’idea del suicidio, ch’io non ho mai vagheggiato, si affaccia come un evento oscuro ma risolutivo. Mi trattiene nel mondo l’affetto dei miei cari, la cui sofferenza non sopporterei, neppure da morto.

***

L’ultima esperienza letteraria che potrei provare, dopo la poesia, la saggistica, il racconto, è il romanzo. Potrei provare ad immaginare una trama narrativa, progettare una serie di episodi in sequenza. Già penso alla scena leucana, d’estate, con un protagonista sedicenne, in grado di ragionare ma anche d’essere bambino, con tutto ciò che ne consegue. Il tempo dell’azione potrei collocarlo negli anni Ottanta, o giù di lì. Aprirò un file intitolato romanzo.wps. Ma per scrivere un romanzo occorre molto tempo, e solitudine, e mancanza di altri impegni. Ed io per ora non credo di essere in queste condizioni.

28 maggio 1998

Ornella si è sottoposta ad una visita ginecologica. Il dott. Lagna questa volta dice che Sofia è in posizione cefalica, e non più podalica come l’altra volta. Io credo che la volta scorsa si sia sbagliato, poiché già un mese e mezzo fa la bambina si era preparata a venire alla luce nel migliore dei modi. Ornella ora è più tranquilla, e pure io.

Congedo dice che le terze bozze del libro di papà sono quasi pronte, e che arriveranno a casa presto.

***

Ho riletto la pagina che ho scritto l’altro ieri, e veramente deploro questo eccesso a cui talvolta mi lascio andare. Con Gérerd Genette, Palinsesti, cit., p. 182 ora dico che “se c’è qualcosa di più angosciante dell’esser chiusi in un labirinto, è forse il credersi dentro quando se ne è fuori: si rischia in effetti, cercando l’uscita, di trovare l’entrata”.

Per il momento non invierò nulla a Manni, perché mi accorgo di dover limare ancora i miei racconti. C’è qualcosa che ancora in essi non mi soddisfa pienamente.

Fra qualche minuto andrò a scuola: quattro ore in cui sarà vietato pensare.

***

Per la seconda volta in un mese, improvvisamente il telefono è disattivato per quasi ventiquattro ore di seguito. I lavori per la metanizzazione di Dossena hanno provocato un guasto nell’impianto cittadino. Senzazione di solitudine, impossibilità di comunicare col resto del mondo, lontananza delle persone care. Continua a piovere, e a dirotto.

Leggo di Gabriele D’Annunzio, Il fuoco.

29 maggio 1998

Continua a piovere da più di ventiquattro ore. Ore otto del mattino: vado a scuola. Oggi farò vedere ai ragazzi di terza di Vittorio De Sica, Ladri di biciclette.

***

Ho inserito, dissimulandola, qualche citazione dannunziana nel racconto Dieci secondi di panico.

30 maggio 1998

Papà ha di nuovo la febbre, e non sappiamo cosa fare. Io ho insistito perché si ricoveri in ospedale, perché venga curato nel migliore dei modi. Sono molto preoccupato. Ornella sta bene e porta avanti la gravidanza nel migliore dei modi. Giulia mi chiede quando tornerò a casa. Le ho promesso che andremo in giro con la bicicletta, e lei è contenta.

Continuo a lavorare ai miei racconti. Dopo aver preso la decisione di non spedirli a Manni, sono più sereno, e lavoro meglio. Cercherò di rendere pubblici i miei racconti solo quando sarò convinto della loro perfezione formale, quando cioè essi non richiederanno più alcun mio intervento. Questo accadrà solo se, rileggendoli per l’ennesima volta, non mi capiterà di apportare alcuna correzione. Questo sarà il segno che posso tranquillamente congedarmi da loro.

***

Il film Ladri di biciclette, naturalmente, è piaciuto ai ragazzi. È veramente un capolavoro. La figura del padre, Antonio, è veramente una scultura neorealistica. L’aura patetica che si respira, per una volta è intrinseca al soggetto, e non lascia alcun margine alla leziosità o al patetismo di maniera. 

***

Dice Giorgio Bassani in un discorso letto in occasione di un incontro con l’autore organizzato da Anna Dolfi, tenuto alla facoltà di Lettere dell’Università di Trento il 4 maggio 1991 e riportato nel “Corriere della Sera” di oggi, sotto il titolo Bassani: non chiamatemi crepuscolare, p. 33: “I poeti si confessano sempre attraverso uno dei loro personaggi. Anzi: tutti i loro personaggi, se sono tanti, sono forme del loro sentimento (…) Di che cosa devono parlare i poeti se non di ciò che ricordano? I romanzi che sono fabbricati come oggetti di consumo, che non esprimono la realtà intima e profonda di chi li scrive, non sono romanzi, sono fabbricazioni artigianali, che possono interessare chi studia la letteratura dal punto di vista esterno, ma non interessano chi si occupa di letteratura come di un fatto essenziale, fondamentale. A questo proposito direi che è ora di finirla con questa distinzione (che può anche essere utile, a patto, però, di non crederci troppo) fra narratori, poeti, teatranti, saggisti, eccetera. I poeti si esprimono sempre attraverso le cose che fanno, attraverso i versi, i romanzi, le opere teatrali”.

(continua)

Pubblicato in Carteggi, Epistolari, Lettere, Diari | Contrassegnato | Lascia un commento

Antonio Stanca, Universum A-29


18-01-2004, olio su MDF, cm 39,8 X 39,8.
Pubblicato in Letteratura | Lascia un commento

Introduzione a Piero Pascali – Daniele Capone, Nei luoghi della Sirena. Dal mare di Gallipoli alle Serre salentine

di Daniele Capone

In uno dei suoi ultimi romanzi, Riccardo Bacchelli, grande e prolifico scrittore che ha attraversato l’intero Novecento letterario italiano, racconta di due innamorati che compiono un viaggio su un piroscafo che lambisce le coste del Salento[1]. «Candida soleggiante protesa sul mare nel ceruleo suo abbraccio» appare ai due protagonisti Gallipoli vista dal piroscafo. Protesa sul mare l’antica Città sull’isolotto, e proteso sul mare il Borgo sulla terraferma, cui fanno ala due vaste radure «lunate a settentrione e a mezzodì della città», «gaia amena e bellicosa a un tempo»; sonnolenta, quasi levantina – aggiungo – in quegli anni Sessanta del secolo scorso in cui la cittadina aveva da lunghissimo tempo perduto il suo ruolo di fiorente porto e di fortezza marittima e non era ancora assurta a centro di turismo notissimo in tutta Europa.

Un paio di anni fa sono dovuto andare a Lugo di Romagna, in provincia di Ravenna. Dalla stazione ho dovuto prendere un taxi per raggiungere la mia destinazione. Una mezz’ora d’auto. Tutto il tempo per chiacchierare con il giovane tassista. Aveva visto da studente delle medie i mosaici bizantini di Ravenna, ma non sapeva nulla – stavo per dire “ovviamente” – degli affreschi, delle cripte e delle chiese del Salento, della sua bizantinità ovunque sparsa, né sapeva nulla neppure di Lecce, se non per sentito dire. Gli si illuminarono gli occhi solo quando mi udì pronunciare il nome di Gallipoli: alcuni suoi amici c’erano stati e gli avevano raccontato cose come quelle dell’Eldorado. Gli feci presente che lui viveva a un tiro di schioppo dalla celebre Riviera, da località come Marina di Ravenna, Milano Marittima, Cervia, Cesenatico… Nulla da fare. Per lui, i suoi amici, i giovani come loro, Gallipoli era un’altra cosa. Una sorta di Ibiza, una centrale di “divertimentificio” che non aveva paragoni. Così va il mondo. Purtuttavia, fatta la tara a un’idea di turismo di massa un po’ cafone (ma l’amministrazione gallipolina lavora alacremente per una proposta turistica di maggiore qualità, come riferito dalla stampa locale nei mesi di febbraio-marzo quest’anno), turismo di massa che ha ridato fiato a una città la quale, dopo la fine dell’età del­l’oro legata al commercio dell’olio e del vino, era malinconicamente decaduta, resta comunque nell’immaginario collettivo l’idea di una città bellissima, d’un mare senza paragoni. E così è.

Pubblicato in Anticipazioni, Avvertenze, Conferenze, Discorsi, Introduzioni, Prefazioni, Premesse, Postfazioni, Presentazioni | Contrassegnato | Lascia un commento

L’onestà e l’intelligenza: i bravi maestri di scuola

di Antonio Errico

Il Censimento generale della popolazione e delle abitazioni del 4 novembre 1951, forniva i seguenti dati relativi all’analfabetismo in Italia: Piemonte 3%, Valle d’Aosta 3%, Liguria 4%, Lombardia 2%, Veneto 7%, Trentino-Alto Adige 1%, Friuli-Venezia Giulia 4%, Emilia-Romagna 8%, Toscana 11%, Marche 13%, Umbria 14%, Lazio 10%, Abruzzo-Molise 19%, Campania 23%, Puglia 24%, Basilicata 29%, Calabria 32%, Sicilia 24% e Sardegna 22%

Lui a scuola non era mai andato. Aveva seguito il padre a pascolare il gregge, tutti i giorni, da prima che si alzasse il sole a dopo ch’era tramontato. Poi era partito soldato, aveva fatto la guerra, era stato prigioniero. Dal campo di prigionia si faceva scrivere le lettere a casa da un compagno della baracca.  Una lettera al mese, che diceva così: Cari tutti, come state? Io qui sto benone. Mangiava bucce di patata, ma diceva io qui sto benone.  Ogni lettera con le stesse parole. Ogni volta si mortificava di dover chiedere il favore al compagno di baracca, uno di Toscana che aveva fatto la seconda elementare. Risposta mai nessuna. Non sapeva se  le sue lettere arrivassero ai cari tutti.

Pubblicato in Scolastica | Contrassegnato | Lascia un commento

Convegno di Studio Cultura francescana e valorizzazione del patrimonio letterario e storico-artistico. Padre Luigi De Santis nel decimo anniversario della morte – Lequile, 14 settembre 2024

Leggi programma.

Un Convegno di studi su “Cultura Francescana e valorizzazione del patrimonio  artistico” si terrà a Lequile, presso la Chiesa San Francesco D’Assisi il 14 settembre prossimo

di Antonio Caiaffa

L’iniziativa è stata programmata dalla Società di Storia Patria, sezione di Lecce, di intesa con la parrocchia “Spirito Santo” di Lequile, Terzo Ordine Francescano locale e Università del Salento, per ricordare la figura e l’opera di Padre Luigi De Santis  (1934 – 2014), storico del Francescanesimo Riformato, nel decimo anniversario della sua scomparsa.

Al Convegno, che si svolgerà in due sessioni – mattina e pomeriggio – hanno garantito la loro presenza studiosi e accademici locali e nazionali, come i Proff. Houbert Houben, Mario Spedicato, Vito Castrignanò, Alessandro Laporta, Elsa Martinelli, Aldo Caputo, Luigi Carnevale Caprice, Stefano Tanisi, Paolo A. Vetrugno, Adriana Falco, Giovanna Bascià, Franca Tondo, Michele Mainardi e Antonio Rizzato, che svolgeranno le loro relazioni.

Come è noto Padre Luigi De Santis è stato filosofo, psicologo sociale, bibliofilo appassionato,  studioso di storia e spiritualità francescana, appassionato conferenziere e assistente di molte istituzioni religiose.

Pubblicato in Avvisi locandine e comunicati stampa | Contrassegnato | Lascia un commento

Una lettera di… 14: una lettera di Luce Marinetti e un prezioso libro futurista

di Antonio Lucio Giannone

[data timbro postale 20.7.05]

Gentile Prof. Giannone,

Le sono molto grata per avermi inviato i Suoi volumi: L’Avventura futurista e Futurismo e dintorni: volumi d’interesse e precisazioni. Il mio pensiero è tornato alle Puglie, sarebbe interessante leggere e ordinare gli Archivi di Mimì Frassaniti prima che vadano dispersi o mangiati dal tempo! Creare un Archivio  a disposizione di studiosi, ricercatori. Coinvolgere l’Università e l’assessore (se possibile). Con stima Le invio, sperando di rincontrarla presto, i più sentiti saluti.

Luce Marinetti

Questa lettera di Luce Marinetti (Roma, 20 settembre 1932 – ivi, 20 giugno 2009), manoscritta sul recto e sul verso di un cartoncino, mi venne inviata il 20 luglio 2005 dopo che il mese prima, esattamente il 10 giugno, si era svolta a Lecce, presso l’Auditorium del Museo “Sigismondo Castromediano”, alla sua presenza, una manifestazione dedicata al futurismo, dal titolo Simultanea. Sintesivisivosonore. Luce era la terzogenita di F.T. Marinetti, il fondatore del movimento d’avanguardia, e della moglie, Benedetta Cappa, nata dopo le altre due figlie, Vittoria e Ala.

Pubblicato in Carteggi, Epistolari, Lettere, Diari, Letteratura | Contrassegnato , | Lascia un commento

La danza dell’effimero in Umberto Fiori

di Simone Giorgino

In un bel film di Wayne Wang e Paul Auster, Smoke (1995), a un certo punto Harvey Keitel mostra a William Hurt il suo «progetto»: una collezione di circa quattromila fotografie scattate sempre dallo stesso posto, ogni giorno, alla stessa ora. Per comprendere meglio il senso di quell’enorme, insolito album, Keitel invita Hurt a scorrere le foto con calma, a soffermarsi con pazienza sui dettagli. Perché quelle foto, che a uno sguardo superficiale possono sembrare uguali, sono in realtà tutte differenti: cambiano, per esempio, le persone che di volta in volta attraversano quello scorcio di città, le stagioni, la luce, i colori. Dietro ogni foto, insomma, c’è una storia diversa, un messaggio da interpretare. C’è la struggente e umanissima danza di ciò che è effimero, transitorio, nella grigia scenografia – apparentemente fissa, ordinaria, anonima ­– di un paesaggio urbano.

Non so se Umberto Fiori conosce quel film, ma direi che un’esperienza analoga è alla base del clic che innesca la sua poesia, così come lo stesso autore ce la racconta in Le case vogliono dire, appena pubblicato [2013] dall’editore Manni come secondo titolo della Pantera profumata, la collana diretta da Antonio Prete che intende mettere in dialogo poesia e ragionamento attorno alla poesia, invitando alcuni importanti poeti contemporanei ad aprire le porte del loro ‘laboratorio’ creativo.

Pubblicato in Recensioni e segnalazioni | Contrassegnato | Lascia un commento

Traduzioni 4. Da Theodor Storm

di Antonio Devicienti


Theodor Storm

Esiste una regione nell’estremo Nord della Germania la cui storia e il cui paesaggio posseggono peculiarità oltremodo interessanti e affascinanti: lo Schleswig-Holstein. Il nome e l’opera (sia narrativa che poetica) di Theodor Storm (Husum, 1817 – Hademarschen, 1888) esprimono benissimo lo spirito di un territorio pianeggiante la cui identità è indissolubilmente legata al Mare del Nord e da esso plasmata; si tratta di un ecosistema caratterizzato dai cicli di marea che ogni 6 ore fanno sì che il mare si allontani per molti chilometri dalla costa lasciando scoperto il fondo marino (sul quale è possibile camminare e anche cavalcare) per poi tornare a ricoprirlo, dalle lingue di sabbia spesso coperte di erba, dalle lagune, dalle moltissime isole (alcune raggiungibili anche a piedi durante la bassa marea) e da un clima non sempre clemente, eppure capace di legare a sé chi vi abita determinandone una personalità spesso austera e frugale, consapevole della potenza della natura e anche della sua selvaggia bellezza. Storm ama in maniera totale la sua regione (è tra l’altro coinvolto nella lotta di liberazione dello Schleswig-Holstein dalla dominazione danese, evento che lo costringe all’esilio) e Husum, la sua città natale (la “grigia città sul mare” di una delle liriche qui proposte) – nelle sue novelle (tra i capolavori della letteratura tedesca) così come nelle sue poesie Storm dà voce a una comunità temprata dalle furie di un mare capace di generare nella fantasia di chi è nato sulle sue rive leggende e canti di struggente amore.

Pubblicato in Poesia, Trasmissioni radio di Antonio Devicienti | Contrassegnato | Lascia un commento

Luigi Latino, Caos. La resa – La linea scura

Pubblicato in Arte, Artisti contemporanei galatinesi, Letteratura | Contrassegnato | Lascia un commento

Prodromi di una rivista: “Zibaldoni e altre meraviglie”. Lettere di Gianluca Virgilio a Enrico De Vivo

di Gianluca Virgilio

Riporto quattordici lettere che indirizzai a Enrico De Vivo, direttore di “Zibaldoni e altre meraviglie” (www.zibaldoni.it), tra il maggio e l’agosto del 2001 (purtroppo, non ho quelle del mio corrispondente), miracolosamente scampate alla distruzione di molti computer. Le pubblico perché sono la testimonianza del lavoro di elaborazione e direi di incubazione della rivista, il cui atto di nascita avvenne il 22 dicembre 2002. Ce lo ricorda lo stesso De Vivo in La mia vita per una rivista, dove ha descritto le diverse tappe della sua passione ebdomadaria, soffermandosi sulle vicende relative alla rivista che ci vide cofondatori e condirettori della prima e seconda serie. La quindicesima lettera, datata 6 settembre 2001, è indirizzata a Stefania Fumagalli, che aveva dimostrato dell’interesse per quanto andavamo facendo. La riporto, tra le molte che scrivemmo (e ricevemmo in risposta ai nostri appelli, per lo più andate perdute), perché per la prima volta compare il titolo definitivo della rivista: “Zibaldoni e altre meraviglie”.

Pubblicato in Carteggi, Epistolari, Lettere, Diari | Contrassegnato | Lascia un commento

C’è qualcosa di là dalla parola

di Antonio Prete

C’è qualcosa di là dalla parola

disadorna o sontuosa,

oltre il silenzio o la festa del suono,

c’è qualcosa di là dal turbamento

o dall’aspra atonia,

qualcosa che come luce nel vetro

trapassa e dissipa l’ombra del dire,

qualcosa  che chiamiamo poesia.

.

Lingua che trema di là dalla lingua :

l’albero e il vento hanno la stessa essenza,

la pietra e il mare lo stesso respiro.

Il dolore non attenua il suo grido:

solo lo eleva fino

alla deflagrazione della stella.

Pubblicato in Poesia, Se la pietra fiorisce di Antonio Prete | Contrassegnato | Lascia un commento

La coazione a ripetere del Ministro Giorgetti

di Guglielmo Forges Davanzati

Il Governo annuncia di voler riprodurre, nella prossima legge di bilancio, i principali provvedimenti adottati lo scorso anno, secondo un metodo che è in uso definire “a legislazione invariata”. L’attenzione mediatica è prevalentemente concentrata, come quasi sempre accade in occasione dell’emanazione del più importante provvedimento di politica economica dello Stato italiano, sulla scarsità delle risorse che viene imputata all’eccessivo nostro debito pubblico e alle nuove procedure di rientro previste dal nuovo Patto di Stabilità e Crescita europeo. È pressoché assente, nella pubblicistica di questi giorni, la memoria storica che, per contro, serve a dar conto della reale discontinuità delle politiche economiche del Governo Meloni rispetto ai suoi predecessori degli ultimi decenni. Conviene allora soffermarsi sui principali provvedimenti che il Ministro Giorgetti sta prendendo in considerazione, per valutarne il grado di novità e la relativa efficacia nella Storia recente del nostro Paese. Ci si sofferma qui, per ragioni di spazio, sulle misure principali annunciate.

Pubblicato in Economia | Contrassegnato | Lascia un commento

Bodiniana

di Antonio Devicienti

(bodiniana 1) Un monaco rissoso vola tra gli alberi

(NOTA: queste brevi prose ispirate all’opera di Vittorio Bodini presuppongono che chi legge abbia dimestichezza con i libri del poeta – è questo il motivo principale per cui non si forniscono note esplicative e/o di carattere bibliografico. Aggiungo che ogni prosa è stata concepita quale reverente, ammirato omaggio al poeta salentino).

Quando c’erano molti bambini per strada, quando imparavano prestissimo a difendersi dalle angherie dei più grandi, quando si sfidavano in un dialetto dolce eppure rude, qualche volta cattivo.

Affollavano le corti, le piazzette, i vicoli, vociavano senza requie forse perché oscuramente sapevano che l’infanzia si consuma in un soffio.

Un futuro Santo salentino non poteva che crescere con le ginocchia sbucciate e col testone caparbio di mezzadro, sfruttato sì, ma mai servo.

Pubblicato in Bodiniana, Letteratura | Contrassegnato | 1 commento

Gaetano Minafra, Sculture 7. Reperto geologico

Pubblicato in Arte, Artisti contemporanei galatinesi | Contrassegnato | Lascia un commento

Vincenzo Palmisciano – Sonia Benedetto, Un amore segreto alla corte vicereale di Napoli, nelle opere di don Giuseppe Storace d’Afflitto


Attraverso la ricostruzione e l’interpretazione dell’autore, rivive un amore sconosciuto del Seicento, inesorabilmente interrotto dal potere spagnolo: quello tra donn’Anna Carafa di Stigliano, viceregina di Napoli, e don Giuseppe Storace d’Afflitto, poeta di corte. La letteratura dà voce al desiderio di eternare la vicenda amorosa dei due, consolando la sofferenza per le angherie subite, il tradimento dell’amata e la morte di lei. Nel volume vengono riportate tutte le produzioni dello Storace d’Afflitto: cinque pubblicazioni stampate nell’arco di dodici anni, delle quali tre in italiano e due in napoletano, corredate da un ricchissimo apparato di traduzioni, presentazioni e note. Tra le opere, la più nota è De la tiorba a taccone, che gli valse l’appellativo di “Petrarca napoletano”. Un lungo, paziente, arduo e appassionato lavoro di ricerca sulle fonti archivistiche, con frequenti richiami al contesto culturale di riferimento del letterato, ha finalmente sottratto all’oblio la storia personale e familiare di quest’ultimo (nativo di Sant’Agnello di Napoli), ma anche la sua brillante e audace personalità, che affascina il lettore con un linguaggio enigmatico, mossa dal gusto per la sfida al potere, contro il quale adopera una sola arma: l’ingegno.
Pubblicato in Avvisi locandine e comunicati stampa | Lascia un commento

Costume e malcostume 17. Lettera al Direttore (e al Lettore)

di Antonio Mele / Melanton

Caro Direttore,

questa è, evidentemente, una lettera per te.

Di quelle che una volta – e oggi sempre meno, o non più – i Lettori scrivevano ai giornali, quale segno distintivo, e attivo, della loro ‘voce’: rilevando, condividendo o contestando la linea del giornale stesso, o più semplicemente per fornire, con la loro ‘presenza epistolare’ e con pertinenti (o perfino impertinenti) quesiti e considerazioni, un contributo al confronto e alla varietà dell’informazione pubblica, fosse esso di plauso, di dissenso, o di puro commento e opinione.

Il nostro Galatino (…che gli uomini di buona volontà ce lo conservino sempre a lungo!) è un piccolo foglio di provincia, che ha però il merito di una propria costante partecipazione agli avvenimenti non solo di Galatina e del suo hinterland, ma anche di un vasto ed effervescente territorio come quello del Salento leccese, dov’è radicato e diffuso da quasi mezzo secolo. Un quindicinale che è dichiaratamente d’informazione, ma che – e questo è davvero un merito in più – riesce anche a mantenere una propria connaturata attitudine alla formazione. Sia sociale sia culturale.

Pubblicato in Noterellando... Costume e malcostume di Antonio Mele / Melanton | Contrassegnato | Lascia un commento

Diario dossenese (ottobre 1997-giugno 1998) 7. Aprile

di Gianluca Virgilio

(Continuazione)

3 aprile 1998

Leggo in Giorgio Agamben, Il linguaggio e la morte, Einaudi, Torino 1982, alcune frasi in cui l’autore discute il rapporto poesia-prosa. Ne riporto alcune. Per altre citazioni dallo stesso libro, vedi i files bibliaut.wps e critlep.wps.

A p. 93: “L’esperienza poetica e quella filosofica del linguaggio non sono, dunque, separate da un abisso, come un’antica tradizione ci ha abituato a pensare, ma riposano entrambe originalmente in una comune esperienza negativa dell’aver-luogo del linguaggio. Forse, anzi, solo a partire da questa comune esperienza negativa è possibile comprendere il senso di quella scissione dello statuto della parola che siamo abituati a chiamare poesia e pensiero; comprendere, cioè, quel che, separandoli, li tiene legati e sembra indicare al di là della loro frattura.

A p. 98: “Il “confronto” che è da sempre in corso fra poesia e filosofia è, dunque, ben altro che una semplice rivalità: entrambe cercano di afferrare quell’inaccesso luogo originale della parola rispetto al quale ne va, per l’uomo parlante, del proprio fondamento e della propria salvezza. Ma entrambe, fedeli in questo alla propria ispirazione “musicale”, mostrano alla fine questo luogo come introvabile. La filosofia, che nasce proprio come tentativo di liberare la poesia dalla sua “ispirazione”, riesce alla fine, a cogliere la Musa stessa, per farne, come “spirito”, il proprio soggetto; ma questo spirito (Geist) è, appunto, il negativo (das Negative) e la “voce più bella” (kallisthn  fwnhn,Phr. 259d) che, secondo Platone, compete alla Musa dei filosofi, è una voce senza suono. (Per questo, forse, né la poesia né la filosofia, né il verso né la prosa potranno mai portare a compimento da sole la propria impresa millenaria. Forse solo una parola in cui la pura prosa della filosofia intervenisse a un certo punto a spezzare il verso della parola poetica, e il verso della poesia intervenisse a sua volta a piegare in anello la prosa della filosofia, sarebbe la vera parola umana)”.

Pubblicato in Carteggi, Epistolari, Lettere, Diari | Contrassegnato | Lascia un commento

Ricordo di Sandro Greco

di Antonio Lucio Giannone


Catalogo della mostra di Pavia (2013).

Sandro Greco, scomparso il 29 luglio scorso all’età di novantasei anni a Salice Salentino, è stato uno degli artisti pugliesi più estrosi e ricchi di inventiva di quest’ultimo mezzo secolo. Nato a  San Pietro Vernotico nel 1928, si laureò in Farmacia e, dopo un’esperienza lavorativa presso un’industria farmaceutica, ha insegnato per trent’anni chimica analitica e chimica-fisica negli Istituti per periti chimici. Lo conobbi verso la fine degli anni Settanta, visitando una sua mostra a Lecce, e da allora tra di noi è nato un rapporto di amicizia e di collaborazione che non si è mai interrotto.

In occasione delle festività di fine d’anno e di Pasqua, mi mandava puntualmente i suoi biglietti augurali e di saluti, sempre originali, creativi, accompagnati da disegnini e riflessioni. Spesso si trattava di cartoline di legno con “francobolli” realizzati da lui. Nel dicembre del 1999 mi inviò un biglietto in cartapesta con gli auguri sulla prima facciata e all’interno, il disegno acquerellato di una farfalla con, accanto, il seguente pensiero: “Lo stupirsi alla vista di una farfalla, | l’incantarsi per tutto ciò che ci circonda, | il saper apprezzare l’ambiente in cui si vive, | il commuoversi ogni qual volta | si pensa a un caro assente | significa aver avuto da Dio un grandissimo dono: | ‘essere rimasto un bambino’“.

Pubblicato in Anniversari, Necrologi, Commemorazioni e Ricordi, Arte | Contrassegnato | Lascia un commento

La mano e l’intelletto. Omaggio a Donato Minonni

di Paolo Vincenti

Parto dal titolo del volume, La mano e l’intelletto: si fa riferimento ad alcuni versi delle Rime di Michelangelo Buonarroti, il quale, oltre al sommo artista che tutti conosciamo, era anche un buon letterato e il suo volume Rime è fra i prodotti letterari più belli del Cinquecento. In particolare, in questa lirica egli dice: “Non ha l’ottimo artista alcun concetto c’un marmo solo in sé non circonscriva col suo superchio, e solo a quello arriva la man che ubbidisce all’intelletto”. Le mani, cioè, sono solo le esecutrici materiali dell’opera ma tutto nasce da dentro. Perché scocchi il fiat ci deve essere un’ispirazione, una accensione interiore per l’artista, il quale poi potrà tirare fuori dal blocco di marmo la sua opera, quella che ha già in mente. Quando Michelangelo è impegnato a Roma nella realizzazione di San Pietro, è raggiunto dalle sollecitazioni di Giorgio Vasari a trasferirsi a Firenze poiché aveva ricevuto ottime offerte dal Duca Cosimo de’ Medici. Ma Michelangelo è proprio sul punto di voltare la cupola, la sua impresa più grande e famosa, e scrive una lettera a Messer Giorgio, “pittore eccellentissimo”. Michelangelo chiede la benevolenza di Cosimo di lasciarlo lavorare a Roma fino a quando non avrà finito la sua opera e se ne potrà partire con onore e senza aver commesso peccato. Quindi, vediamo che Michelangelo nell’impresa impegna non soltanto il proprio talento artistico e il genio di artefice ma anche la propria coscienza e la propria fede di cristiano. E non avvertiamo alcuna ambizione smodata, nelle sue parole, nessuna arroganza, nessuna malcelata vanità, che, pure, è propria di ogni artista.

Pubblicato in Anticipazioni, Avvertenze, Conferenze, Discorsi, Introduzioni, Prefazioni, Premesse, Postfazioni, Presentazioni | Contrassegnato | Lascia un commento

Introduzione a Piero Pascali – Daniele Capone, L’eco di Bisanzio. Galatina e la Grecìa Salentina

di Daniele Capone

Immaginiamoci lo scienziato e finissimo letterato Cosimo De Giorgi percorrere su un calesse strade disagevoli che dalla sua Lizzanello lo portavano in altre contrade con viaggi lunghi ore e ore, percorsi che adesso ci paiono un battito d’ali. Immaginiamolo ospite in vetusti palazzi di facoltosi rampolli di famiglie d’antica orgogliosa nobiltà, ai suoi tempi divenuti però imprenditori di larghe vedute, innovatori illuminati o cultori appassionati delle nuove scienze. Quando nell’ottobre 1887 il De Giorgi andava alla scoperta di un territorio non lontanissimo dalla sua Lizzanello, quella che definiamo “Grecìa Salentina” era già un’enclave in un’area da secoli divenuta romanza, un’isola, un relitto. «Due isole etnografiche esistono tuttora nella provincia di Lecce: una è abitata da una popolazione che parla il dialetto greco oltre quello italiano, l’altra il dialetto albanese. […] La prima, detta volgarmente Grecìa, comprende oggi questi nove paesi, tutti nel circondario di Lecce: Soleto, Corigliano, Sternatia, Zollino, Melpignano, Martano, Calimera, Martignano e Castrignano dei greci. La seconda, detta Albania, è formata da un sol paesello del circondario di Taranto: S. Marzano di S. Giuseppe. Però come il mare corrode le isole costituite di materiali incoerenti, così tanto l’una che l’altra di queste isole etnografiche, circondate da popolazioni italiane, si sono andate restringendo con moto lento ma progressivo dal XV secolo fino ai primi del XIX, e poi in modo sempre più crescente. Nel 1807 la colonia greca era estesa per esempio ad altri paesi e villaggi di Terra d’Otranto, cioè a Cannole, Cursi, Cutrofiano, Sogliano e Carpignano […]. La guerra spietata che ai dialetti fanno le scuole italiane oggi diffuse in tutti i villaggi e rese obbligatorie da una legge provvidamente unificatrice restringerà senza dubbio queste due isole; e quella albanese è la prima destinata a scomparire del tutto da questa provincia» (C. De Giorgi, La Provincia di Lecce. Bozzetti di viaggio, vol. II, pp. 341-342, rist. fotomeccanica, Congedo Ed., 1975).

Pubblicato in Anticipazioni, Avvertenze, Conferenze, Discorsi, Introduzioni, Prefazioni, Premesse, Postfazioni, Presentazioni | Contrassegnato | Lascia un commento