Tanto
tempo fa, da qualche parte, qualcuno che camminava a quattro zampe, forse
immaginò di poterlo fare con due. Così ci provò. Ci riuscì. Gli altri lo
guardarono. Prima lo presero per matto, poi ci provarono anche loro. Ci
riuscirono anche loro. Se oggi gli uomini camminano su due gambe, probabilmente
lo devono a quell’immaginare. Il futuro bisogna immaginarlo. Perché quello che
non si può conoscere si può immaginare. L’immaginazione è più importante della
conoscenza, diceva Einstein. La conoscenza è limitata, l’immaginazione
abbraccia il mondo, stimolando il progresso, facendo nascere l’evoluzione.
Quasi
sempre l’immaginare è carico d’interrogativi, sia che si rivolga al nostro
essere individuale, sia che si rivolga agli scenari culturali.
Gli
scenari culturali si fanno sempre più complicati. Le domande che riguardano il
loro conformarsi si moltiplicano, si aggrovigliano. Però, forse, ce n’è una che può sintetizzare
tutte le altre: una domanda di fondo e fondamentale, che contiene la sostanza,
il nucleo, l’essenza dei processi culturali. Così ci si chiede se nei tempi che
verranno matureranno esperienze e conoscenze esclusivamente attraverso nuovi
mezzi e nuove forme del sapere, attraverso linguaggi che sostituiranno quelli
che adesso usiamo, oppure mezzi, forme, linguaggi vecchi e nuovi si
integreranno sapientemente. Continueremo a studiare, a leggere fiabe anche sui
libri di carta, oppure getteremo i libri nel più grande rogo della Storia, un
immenso rogo senza fiamme, e leggeremo soltanto su uno schermo. Andremo ancora
a scuola con uno zaino sulle spalle o soltanto con un tablet sotto il braccio.
Avremo il passato dietro di noi oppure ce l’avremo ancora davanti, com’è sempre
stato.
Il libro “Taurisano, un paese e
un giornale. Presenza taurisanese 1983-2021” tratta del mensile di politica cultura
attualità, fondato a Taurisano alla fine del 1982 e cessato alla fine del 2021.
Legato al mensile, a partire dal 1992, era l’inserto cultura “Brogliaccio
Salentino”.
Sono passati poco più di quarant’anni
dalla fondazione di “Presenza” e meno di cinque dalla cessazione, eppure sembra
che, parlandone, si stia facendo archeologia massmediale. Dai telefonini
cellulari agli smartphone di ultima generazione non sono trascorsi che pochi
anni e sembra che siano passati secoli. Ormai siamo in pieno regime digitale e
i media cartacei, anche quelli importanti a tiratura nazionale, sono in crisi.
Figurarsi un piccolo mensile di un piccolo paese! “Presenza Taurisanese” ha
vissuto questa incredibile transizione. Agli inizi degli anni Ottanta erano
ancora pochi i cellulari in circolazione, oggi si può dire che ogni persona ne possegga
uno, alcuni anche più di uno. Il che significa che ognuno può fare a meno del
giornale stampato, avendo in tasca l’universo mediale in tempo reale. Forme e
strumenti di comunicazione oggi consentono di conoscere tutto quello che accade
sia nel mondo sia nel paese in cui si vive.
Il libro si struttura in tre parti. La
prima è un breve profilo biografico del fondatore-direttore e del giornale. La
seconda comprende trenta brevi ritratti di altrettante personalità, in prevalenza
della cultura salentina, scomparse, empaticamente vicine al giornale,
collaboratori e in un certo senso tutori morali dell’inserto-cultura
“Brogliaccio Salentino”. La terza è la bibliografia del direttore, relativa a
quanto ha pubblicato sul giornale nel corso degli anni. Una sorta di guida alla
consultazione per chi volesse conoscere i vari contenuti e approfondirli. È la
parte più riservata ai taurisanesi, che possono muoversi con facilità nella
ricerca di fatti e personaggi di quasi quarant’anni di storia del proprio
paese.
Riquadro in cui sono dipinte Piazza Castello e la facciata del palazzo ducale.
Nessuno dall’esterno riesce a immaginare quanta arte e bellezza si
celano e, soprattutto, si celavano dietro ai portoni dell’ex palazzo ducale dei
Lopez y Royo, oggi sede del Municipio di Taurisano, precisamente sulle volte
dipinte a tempera o affrescate, autentiche esplosioni di luce e colori.
Nel periodo che va dal Cinquecento alla metà dell’Ottocento in Terra
d’Otranto la nobiltà locale tendeva a risistemare la struttura e l’immagine
degli abitati; tendenza rintracciabile anche nella Taurisano di questo periodo.
Il Palazzo Ducale di Taurisano è da far risalire al Sei-Settecento, completato
e ristrutturato verso la metà dell’Ottocento.
In origine sorse come fortilizio difensivo e di avvistamento, che venne successivamente
demolito, ricostruito e trasformato in dimora gentilizia proprio dai Lopez y
Royo con forme influenzate dal clima di distensione dopo le terribili scorrerie
saracene e turchesche.
Il complesso
edilizio si sviluppa su due piani con un ampio cortile interno, cui si accede
dal portone principale d’ingresso. I locali del piano terreno erano adibiti in
parte a magazzini e in parte come stalle per gli animali da soma e da trazione,
abbeveratoi e dispense per la conservazione dei prodotti derivanti dalle vaste
proprietà terriere o ceduti dai contadini sotto forma di decime.
La raccolta di Claudia Piccinno ha come titolo Missione implicita. Fotosintesi della memoria (Fara, 2023, pp. 80) e si articola in quattro sezioni: Poesie varie, Haiku, Tautogrammi, Dediche.
Il titolo è esplicativo, perché si fonda su una metafora biologica: come
le piante acquisiscono linfa vitale attraverso la fotosintesi, che è un
processo trasformativo, allo stesso modo l’autrice metamorfizza intimamente e
interiormente i propri ricordi in impulsi esistenziali, attivando una
fotosintesi della memoria, per l’appunto. È questa, dunque, la missione implicita cui si allude nel
titolo e che si compie attraverso una precisa regola d’ingaggio, che assegna
alla poesia una funzione conoscitiva e auto-conoscitiva.
Ne discendono tre corollari:
l’idea di fondo della raccolta si riconnette implicitamente ad una categoria codificata dalla critica e dalla teoria della letteratura, la bio-poetica (Casadei, Cometa). È una categoria complessa, basata sulla consapevolezza che esiste una poetica negli scrittori orientata su contenuti biologici (si pensi al Sistema periodico di Primo Levi), non solo per i temi, ma anche per lo stile (in quest’ultimo caso, con implicazioni di tipo neuro-cognitivo). Missione implicita presenta costantemente questa connessione con la dimensione biologica. Si parla di elioterapia del ritorno nel componimento proemiale, sicché il motivo autobiografico delle radici, che è un motivo certamente topico, qui assume connotazioni psico-biologiche: è ossessivo, ma anche connaturato. Inoltre, Claudia Piccinno tende a fondersi di volta in volta in germogli d’opunzia, in foglie spazzate dal vento, in bucaneve, nel corso di un fiume, volendo evitare a tutti i costi di essere come la pera caduta dal ramo: le immersioni paniche la portano a sentirsi un elemento della natura circostante. Spesso questa natura richiama il territorio d’origine (gli ulivi pugliesi, il barocco leccese: “Bianca la luce, / bianca la pietra / bianche le piazze / incantesimo dello scalpello / la mia Lecce”, nella scia di un motivo letterario e figurativo tradizionalissimo, dal poeta secentesco Ascanio Grandi a Vittorio Bodini), ma l’autrice ne dà una lettura simbolica più che geografica, funzionale all’attivazione di quel processo di fotosintesi della memoria che è alla base della sua poesia.
Tutta la prima sezione della raccolta, quella delle Poesie varie, è una specie di avventura mentale, una continua regressione memoriale sollecitata da paesaggi, oggetti, persone, persino SMS come “reperti afoni di una vicenda privata”, che riguardano il ricordo della figura paterna (ma non manca la rievocazione di quella materna). Tuttavia, non si tratta semplicemente di recuperare ricordi, bensì di ricostruirli attraverso un linguaggio poetico apparentemente piano, ma in realtà pregno di metafore, analogie, corrispondenze. Si vedano questi versi tratti da Il cielo di domani: “Argenti, porcellane, cristalli / intrisi di polvere e sogni, / raccontano chi ha incrociato le mie orme / riflettono i volti di chi ho amato, / inseguono le voci nelle stanze, / rivelano gli interni degli armadi, / lì custodisco amuleti di un futuro in divenire / feticci di una gioia imbalsamata, / compagni di un presente appeso al filo”. Oppure quest’altri, estratti dalla Tavola delle feste: “Mi specchio nei piatti consumati / custodi di festose memorie / e li esibisco ancora / coi bicchieri desueti di cinquant’anni fa. / Scorre la vita e si restringe la famiglia, / restiamo in pochi a tessere legami / attorno alla tavola delle feste”. Tali ricordi non sono strumenti di evasione o manifestazioni di nostalgia, ma piuttosto passaggi mnestico-emotivi dal passato al presente.
Poesie della vicinanza: le chiama così; e si capisce subito, dai primi versi, dalle prima parole, dalle prime figure della memoria, le prime scene di un giorno qualunque, di quale vicinanza dica Mauro Marino, di quale prossimità, di quale aderenza, di quale sostanza dell’essere vicino, a chi si riferisca l’essere vicino. Si capisce subito la comunione, la corrispondenza con l’Altro. Anche quando l’Altro è il sé; anche quando Mauro Marino dice “Me”. Si è sempre diversi da come si è stati nell’attimo precedente. Allora viene in mente quel ragazzaccio che fu e quel poeta immenso che è Arthur Rimbaud quando dice “Je est un autre”. Io è un altro. L’Altro non è l’oggetto della scrittura; l’Altro è il soggetto che agisce, che richiede, che pretende di avere diritti cure attenzioni, di avere linguaggio anche attraverso un linguaggio diverso dal proprio, che arriva in soccorso quando il mondo intorno non comprende il suo silenzio. Allora la poesia si stringe tutta nell’essenzialità dell’espressione; allora rifiuta ogni artificio, rinuncia a qualsiasi vanità dello stile, si fa forma e concetto necessario, indispensabile, si carica di tutta la responsabilità che implica il comprendere. Cancella ogni presunzione estetica, tutta la vanità del lirismo. Non vuole essere lirico, Mauro Marino. Non vuole esserlo perché è lirico l’incontro con l’Altro, perché lirica è la vita che si agita in ogni giorno, ogni istante, che si inabissa nella memoria e poi riemerge e scaglia lo sguardo all’orizzonte del futuro, verso una sempre nuova e incognita avventura del vivere. L’Altro è colui che si riconosce, anche se non ci rivela il suo nome, dal quale siamo riconosciti, anche se non conosce il nostro nome.
Come nel suo precedente lavoro editoriale “Uno sguardo tra i banchi di scuola-Il mondo della scuola visto attraverso gli occhi di una Dirigente” (Mal d’estro edizioni, 2013), Caterina Scarascia racconta ne Il tempo vuoto, Giorgiani Editore, 2025 , con sentimento e accorata partecipazione, episodi di vita scolastica, frammenti di realtà vissuta, analizzando le criticità del sistema-scuola e prospettando possibili strategie didattiche per contrastarle, aspetti professionali già in nuce nella sua prima pubblicazione.
Rimane coinvolgente la sincera vena narrativa, la sua efficace abilità di scrittura nel cogliere le specifiche dinamiche delle situazioni collegiali, accanto a quelle familiari e sociali, di fronte all’accettazione e all’elaborazione di problematiche complesse, nel contesto di una tipica struttura “ a legami deboli”, come quella scolastica. Una realtà molto impegnativa per i docenti, chiamati a mettere in gioco la propria disponibilità e le proprie competenze professionali e relazionali, ad incrementare la formazione continua e la ricerca di innovazione , attraverso un lavoro in team. Solo una didattica alternativa alla sterile routine obsoleta, più attenta ai cambiamenti della collettività e alle reali capacità di apprendimento degli alunni, può portare infatti ad esiti gratificanti.
Nella prima parte del volume l’autrice si sofferma sullo “sbaraglio” e il disorientamento che può creare un problema di dislessia, se non viene adeguatamente riconosciuto, delineando le incertezze iniziali per la famiglia e per le insegnanti.
Il Focus Arte Contemporanea, coprodotto dalla Pinacoteca metropolitana e curato da Pamela Diamante, presenta la prima mostra personale in Italia di una delle più rilevanti artiste performative contemporanee.
Dal 4 novembre al 5 dicembre 2025 la Pinacoteca ospiterà la mostra “Estetica della Violenza” di Berna Reale nell’ambito dell’undicesima edizione del Bari International Gender Festival (BIG CHAOS).
Il lavoro di Berna Reale si fonda sull’utilizzo del corpo come elemento estetico e politico, trasformato in strumento di denuncia delle ingiustizie e delle tensioni sociali. Le sue azioni e immagini affrontano con lucidità critica il tema della violenza, esplorandone le dimensioni simboliche e fisiche, senza eludere l’ombra della censura, che diventa parte integrante della riflessione sull’importanza dell’immagine nella difesa della libertà di pensiero.
La forza delle opere di Reale risiede nella capacità di generare un’immediata attrazione, contrastata da un sentimento di repulsione: un’ambivalenza che riflette l’ironia di una società brasiliana divisa tra fascino e disgusto per la violenza. Centrale nel suo percorso è inoltre l’uso della fotografia, non solo come documento delle performance, ma come mezzo per prolungare e fissare nel tempo le sue azioni, trasformandole in immagini destinate a vivere oltre l’atto performativo.
Giorni e orari di apertura per la durata della mostra: dal lunedì al giovedì 09,00 – 20.00 (ultimo ingresso consentito ore 19:30) dal venerdì alla domenica 09.00 – 21.00 (ultimo ingresso consentito ore 20:30) Non mancate! PINACOTECA METROPOLITANA “CORRADO GIAQUINTO” Palazzo Città Metropolitana IV Piano ingressi via Spalato, 19lungomare N. Sauro, 27 infotel. 080 5412420 pinacoteca@cittametropolitana.ba.itwww.pinacotecabari.it
Il libro di Luigi Montonato Taurisano, un paese e un giornale Presenza taurisanese 1983-2021, è edito da Giorgiani (2025) nella collana Cultura e Storia della Società di Storia Patria per la Puglia sezione di Lecce. L’autore, Luigi, per gli amici Gigi, Montonato, ricostruisce in questo libro buona parte della propria carriera letteraria. Si tratta di un primo bilancio della sua esperienza giornalistica e in particolar modo della testata «Presenza taurisanese» da lui fondata nel 1983. Sulla copertina del libro è ritratta la meridiana solare della Chiesa bizantina di S. Maria della Strada a Taurisano. All’interno, un’immagine elaborata al computer di Gigi Montonato, opera dell’artista Donato Minonni.
Non è del tutto un’autobiografia
questo libro anche se inevitabilmente la vita di un autore si intreccia con la
propria carriera e sono d’accordo con quanto scrive Mario Spedicato nella sua
bella Presentazione, cioè che “è
impossibile separare la vita di questa testata dalla personalità e dalla
professionalità di Montonato, uno dei più attivi protagonisti del giornalismo
in terra salentina”. In effetti, dopo la Presentazione
di Spedicato e una nota introduttiva di Luigi Montonato, Una vita tra scuola, politica e giornali è significativamente
intitolato il primo capitolo.
Queste pagine costruiscono un percorso di conoscenza
culturale e dell’azione sociale condotta nel Sud Italia per tutto il Novecento
e per il primo ventennio del nostro secolo e sviluppano a pieno una tesi cara a
Goffredo Fofi, coerente con la sua esperienza biografica e con il suo magistero
morale: la cultura nazionale, cioè, ha nei momenti più alti e in una miriade di
espressioni meno note, ma ugualmente di grande valore, una forte matrice
meridionalista e di tenace ancoramento nel Sud. È questo assunto che innerva e
tiene insieme l’ampio percorso di lettura che le singole schede esprimono.
Ordinate e raccolte in questo percorso narrativo in parte
già impostato da Fofi, pur di lunghezza e livello analitico eterogeneo, queste
pagine compongono un complesso e quanto mai articolato affresco meridionale, e
al contempo nazionale, al cui interno si potranno trovare le coordinate giuste
per un ripensamento della nostra storia più recente, anche per il superamento
di antichi stereotipi e ancor vivi e superficiali pregiudizi contro i quali
l’Autore ha sempre combattuto. Si potranno quindi leggere le sue riflessioni
sulle opere di grandi scrittori e scrittrici legati per ragioni diverse al Sud,
qui si ricordino i soli nomi di Carlo Levi, Pier Paolo Pasolini e Anna Maria
Ortese perché particolarmente cari a Fofi, di storici e meridionalisti quali
Manlio Rossi-Doria e Gaetano Salvemini, di educatori come Danilo Dolci e
Angela Zucconi, e una carrellata di attori, fotografi, registi cinematografici
e di teatro, giornalisti, cantanti, economisti e studiosi (senza tralasciare
alcune interessanti iniziative di mobilitazione culturale e sociale) che hanno
come centrale nelle proprie esperienze il Sud Italia e ne rappresentano i
tratti.
Domenica 9 novembre 2025 – ore 18:30 📍 Castello di Corigliano d’Otranto – Sala Donna Rosina (primo piano) 📚 Presentazione del libro L’ultima fuga di Franco Melissano 📖 Venti racconti intensi e sorprendenti, in cui i personaggi si misurano con la società, il destino e la parte più profonda di sé.
🗣 Dialoga con l’autore Fulvio Salerno. L’appuntamento con l’autore è organizzato con il patrocinio del Comune di Corigliano d’Otranto e in collaborazione con Magma aps e Il Castello Volante.
New York sceglie un sindaco musulmano, con un programma di proposte “sociali”, con un forte afflusso alle urne. L’elettorato che non vedeva differenze tra democratici e repubblicani (Trump ha sostenuto il democratico Cuomo) ha scelto una proposta alternativa, tornando a votare. In Italia c’è chi propone, come Prodi, una convergenza al “centro” per battere la destra al potere. Il centro vince se lo status quo soddisfa gran parte dell’elettorato, oppure se chi non ha una posizione sociale di “centro”, non trovando offerta politica adeguata, non vota. Trump ha vinto le elezioni promettendo il ritorno delle produzioni in USA, dopo una politica di delocalizzazione che ha impoverito la classe operaia; le sue proposte non sono di centro, sono estreme. In Italia ha vinto le elezioni l’unico partito che non ha aderito al governo Draghi. Per poi tradire i propri programmi elettorali con una conversione al “centro”. La speranza che cambi qualcosa si affievolisce. La vicenda Cuffaro ci mostra che non siamo ancora fuori da Mani Pulite. Molti di quelli che non votano hanno ben altri problemi e non trovano proposte per affrontarli.
Maria Lai racconta che ha
imparato da suo padre la regola delle 5 esse per la coltivazione
dell’ulivo: sasso (l’ulivo ha bisogno di terreno sassoso per crescere
forte e durare nei secoli), sole (è il sole che lo fa vivere), solco (ma è il lavoro dell’uomo che lo
cura), scure (l’ulivo va sfrondato, ripulito, modellato), sale (l’ulivo
ha bisogno del mare affinché i suoi frutti siano dolci).
Tessere, intessere: quando
Odisseo s’avvicina alla casa di Circe ode la maga cantare mentre lavora al
telaio; all’opre femminili intenta la Maga, nel poema vinta dall’eroe, è
memoria della grande Dea mediterranea, distorta e ridotta alla funzione di
malefica ingannatrice domata e dominata dal maschio portatore della cultura
indoeuropea, ma, risalendo alle origini, portatrice di civiltà e di pace,
esperta conoscitrice dell’arte del tessere – e si tessono abiti, tappeti,
stoffe da usare in casa o nel rito, tessuti di cui adornarsi e si tessono anche
i racconti, i canti. Maria Lai recupera la funzione non-subordinata del
tessere, la connette con l’elaborazione della cultura e della memoria, la
riscatta dalla plurisecolare condanna a essere attività da gineceo inteso quale
luogo di segregazione e di controllo della donna.
Tessere, intessere: Maria
Lai tende tra le mani con le dita aperte fili ch’ella contempla con religiosa
attenzione. Con i fili dell’amicizia lega tra di loro le famiglie, le porte, le
pareti di Ulassai, lega il paese alla sua montagna.
La mente raccoglie il
tempo, ne intesse sulla parete le trame. Spesso Maria Lai dipinge parole sulla
parete o su listarelle di legno – Maria Lai ama le parole della poesia.
Ed era atto naturale dipingere o incidere parole sul muro: basta entrare in una moschea, osservare i basamenti degli edifici a Delfi. Nelle nostre città disumanate le parole sui muri si trovano nelle insegne commerciali o nei cartelli pubblicitari; forse nei graffiti è dato sorprendere, talvolta, la bellezza libertaria della parola scritta sul muro. Nell’arte di Maria la parola sta alla pari con la pietra il legno il metallo e il filo. Il grande telaio sonoro nel lavatoio di Ulassai usa anche il suono come materiale, così che l’arte esalta i materiali per costruire, la parola e il suono. Poi si ferma a riflettere.
Inquinamento mentale. Non esiste solo un inquinamento ambientale, quello della Terra, delle acque, quello dell’aria, acustico, visivo, ecc., esiste anche un inquinamento mentale, il più subdolo e pericoloso, il peggiore. Penetra nelle menti senza che ce ne accorgiamo, approfittando dell’abbassamento delle nostre difese, della mancanza di filtri, della nostra stanchezza. Penetra e, lentamente, silenziosamente modella i nostri neuroni, uccide senza pietà i pochi che tentano qualche resistenza, investendo i resilienti con forza ingannevole e pervasiva capace di intossicare l’intelligenza più lucida. Alla fine, tu credi di ragionare ancora con la tua testa, ti illudi di avere un pensiero certo su ogni cosa del mondo, sei sicuro di non sbagliare e che chi non la pensa come te sia in errore, in realtà l’inquinamento mentale ha prodotto il suo effetto – questi appena menzionati sono i sintomi -: la tua mente è addomesticata, domata, colonizzata. Credi di essere te stesso ed invece sei un altro, uno qualsiasi.
***
Essere dentro una storia. “Grande è l’arte dello scrivere! Ma cosa più grande ancora è quando la vita che si vive è essa stessa una storia; e che siamo dentro una storia, in una bellissima storia, di questo sono sempre più persuaso.” (Thomas Mann, Giuseppe e i suoi fratelli II, Arnoldo Mondadori Editore, II edizione, Milano 2001, pp. 1026-1027). Sono queste alcune delle parole che Giuseppe, figlio di Giacobbe, rivolge al suo amico Mai-Sachme, suo ex carceriere e aspirante scrittore; al quale, dunque, Giuseppe fa notare che, a prescindere dall’arte dello scrivere del singolo individuo, noi siamo, semplicemente vivendo, dentro una bellissima storia, già scritta da tempi immemorabili. Non dobbiamo inventare nulla, solo riconoscere questa nostra condizione (l’essere “dentro una storia”), assecondarla e, se proprio vogliamo esercitare l’arte dello scrivere, raccontarla. Va da sé che Giuseppe parla della sua storia, nella quale egli riconosce la realizzazione della volontà divina e per questo la definisce “bellissima”. Ma con ciò egli ci suggerisce che ognuno di noi “è dentro una storia”, con un ruolo più o meno importante o marginale, non importa. Quel che importa è come ci si sente in questa storia. Se Giuseppe è entusiasta della sua “bellissima” storia, a noi tocca vivere nella storia del mondo occidentale che ha perso il senso del divino (“Dio è morto” scrisse F. Nietzsche) e scatena le sue forze distruttive in periodiche guerre e genocidi. Come potremmo affermare che la nostra sia una storia “bellissima”?
Reduce dal dialogo con Massimo
Galiotta nella serata di presentazione del suo volume “ARTE E PENSIERO
CRITICO – Diario di un connoisseur” in Art lab second light di Corrado
Marra, che si conferma centro propulsore della cultura galatinese, lo scrivente
traccia le conclusioni di quanto emerso dalla lettura del libro e dal
conseguente confronto con l’autore, a vantaggio anche di chi non era presente
nell’occasione.
L’incontro è stato organizzato
dall’Associazione Galatina Letterata presieduta da Rosanna Verter e patrocinato
dal Comune di Galatina, in rappresentanza del quale è intervenuto il
consigliere con delega alla cultura Davide Miceli.
Va subito detto che il volume,
edito da Edizioni d’Arte Dusatti e realizzato con il contributo della Regione
Autonoma Trentino Alto Adige, in cui risiede l’autore di origine salentina
(martanese per la precisione) è esattamente un diario, come cita il sottotitolo,
vale a dire una raccolta di pubblicazioni sulla rivista Arte Trentina, nonché
trascrizioni di interventi nel corso di conferenze o dibattiti sulla materia
artistica, se si eccettua qualche capitolo. Per questa ragione non ci si
aspetti di seguire una connessione logico-consequenziale tra i vari capitoli
della trattazione degli artisti presi in considerazione, peraltro collocati
geograficamente agli antipodi e a volte lontani anche storicamente.