L’apparire e la ripetizione

di Antonio Prete


Pierre-Auguste Renoir, In barca sulla Senna (la Yole),1875, olio su tela, 71×92 cm, National Gallery, Londra.

 Le dieci di sera, la luce di metà giugno indugia sulla Senna, il cielo di là dalle nuvole è  chiaro, altre nuvole in fuga sopraggiungono, lampi d’argento laggiù, dove la cupola del Grand Palais traspare in mezzo al fogliame. Una sagoma nera passa controluce sul ponte di ferro : giorni, mesi, anni raccolti in quella figura che ora è già sull’altra riva. Le macchine, sul quai , scorrono veloci.   Sotto il ponte il muso triste di un cane sporge dalla coperta in cui è avvolto insieme col suo padrone.

 Voler separare le forme, che l’ultima luce accende di un’ irripetibile vibrazione, dalla polvere che milioni di sguardi vi hanno depositato sopra, è un esercizio vano : il tepore di tutti gli sguardi è filigrana dell’apparire, dunque appartiene anch’esso alla bellezza. Anche se più propriamente intendiamo per bellezza il legame tra il fuggitivo mostrarsi delle cose e la percezione unica, armoniosa, che il singolo può avere di questo loro apparire.

Un’altra velatura ha esteso la battaglia delle ombre sul fiume. Le forme affondano piano verso una grigia equivalenza.  Ma la notte se ne sta ancora dietro le quinte, silenziosa, perplessa.

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4 marzo 2025: Giornata Mondiale dell’Obesità

di Rocco Orlando

     Oggi, 4 marzo 2025, ricorre il World Obesity Day, la Giornata Mondiale dell’Obesità, istituita nel 2015 dalla World Obesity Federation. La giornata ha lo scopo di sensibilizzare i cittadini e le istituzioni alla prevenzione dell’obesità, ad evitare discriminazioni e pregiudizi nei confronti di coloro che vivono con l’obesità. Il tema della campagna di quest’anno è “Parliamo di Obesità”, con l’obiettivo di “guardare alla salute, ai giovani e al mondo che ci circonda per vedere come possiamo affrontare insieme l’obesità”. Essa è una delle maggiori sfide per la salute pubblica a livello mondiale.

     L’obesità è il risultato di diversi fattori comportamentali, sociali e metabolici, alcuni geneticamente determinati, altri riconducibili a problemi ambientali come le abitudini alimentari scorrette e/o una ridotta attività fisica.

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Gaetano Minafra, Arte contemporanea 15. Incertezze e speranze

Materiali vari e colori acrilici su legno, cm. 25 x 35, anno 2013.
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Passione Salento di Antonio Errico

di Antonio Lupo

Affascina il  Salento, nella sua autenticità storico-antropologica, insieme al linguaggio stilistico di Antonio Errico, agli strumenti espressivi di cui dispone, come esperto narratore e affabulatore, nel dare un’idea compiuta  della  realtà salentina, presentata in tutti i suoi variegati aspetti, a partire da quelli  più lontani e reconditi.

Attraverso le pagine di Passione Salento (Capone,2024) si dipana un filo  di pregnanti riflessioni e considerazioni sulla letteratura e sul paesaggio della penisola salentina, sulle percezioni emotive e  sensoriali legate ai colori e alle stagioni, all’architettura e  alle bellezze artistiche, ai ritratti di straordinari  personaggi, utili a tracciare la specificità degli abitanti del luogo e della loro cultura.

Dello stile  di Antonio Errico e della sua prosa lirica, sorprende, come sempre, la ricchezza delle sfumature lessicali, l’intensa aggettivazione” tra finitudine e infinito”, la raffinatezza  di un linguaggio che si potrebbe  definire “a ventaglio”. Attrae  lo “sconfinamento” di una scrittura che non è mai univoca e perentoria, ma  sempre modulata e graduata su  assimilazioni sfumate, la cui contiguità  introduce alla sintesi in un solo concetto. Come  il Salento, terra di contrasti forti, del chiaro e dello scuro.

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Su Lettere salentine. Poeti e narratori del Novecento di Luigi Scorrano (seconda parte)

di Simone Giorgino

Come si capisce anche dal libro che stiamo presentando, Gigi Scorrano è stato sempre in cordiale e partecipe dialogo con gli scrittori della sua terra, con i suoi compagni di strada, con chi condivideva con lui la passione, il demone della letteratura. Il suo garbo, la sua intelligenza, la sua sensibilità – oltre alla sua solida competenza, ovviamente – hanno rappresentato per molti scrittori e per molti studiosi del territorio – anche per i più giovani, nei confronti dei quali era sempre prodigo di suggerimenti – un punto di riferimento certo.

Ora, in questo mio breve intervento mi occuperò della parte del volume dedicata a scrittori un po’ più vicini a noi nel tempo, rispetto a quelli presentati poco fa, egregiamente, dal prof. Giannone. I saggi raccolti in questa ‘seconda parte’ del volume, se vogliamo chiamarla così, sono stati presentati per la prima volta, fra il 1984 e il 2009, in sedi e in occasioni diverse: sono stati letti in incontri pubblici, oppure sono apparsi in giornali o in riviste letterarie e scientifiche.

 Gli autori di cui si occupa Scorrano sono scrittori suoi conterranei, con in quali, in alcuni casi, l’autore ha anche condiviso un rapporto di prossimità e complicità se non di vera e propria amicizia: Lucio Romano, Salvatore Toma, Raffaele Carrieri, Ercole Ugo D’Andrea, Antonio Verri e Antonio Errico, oltre a un intervento, che chiude il libro, dedicato ad alcuni scrittori, non salentini di origine, che hanno però descritto in alcune delle loro opere, il nostro territorio, e si propone quindi come valido repertorio da cui attingere ai fini di una ‘cartografia letteraria’ del Salento.

Nel presentare ai lettori, spesso a un pubblico nazionale, gli scrittori che ho appena elencato, Scorrano cerca di cogliere e di restituire la loro figura intera, le ragioni di fondo della loro ricerca letteraria, la loro idea di letteratura. Anche facendola reagire con alcune esperienze letterarie più note e perciò meglio riconoscibili a livello nazionale o internazionale: Romano con Scotellaro; Toma con Delfini; Carrieri con Palazzeschi e Lorca, D’Andrea con Corazzini e i poeti fiamminghi; Verri con Joyce, Vittorini e Gadda, per esempio. E, nel farlo, Scorrano si appoggia sempre al commento di alcuni loro testi esemplari o comunque utili per sostenere le sue tesi e riconoscere, attraverso quei testi, i tratti che caratterizzano e illuminano la loro poetica; senza omettere, in certi casi, ma sempre in maniera costruttiva, alcune perplessità, alcune riserve sugli esiti meno riusciti.

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Ulìa ‘bballu cu ttie

di Giuseppe Greco


Pierre-Auguste Renoir, Bal du moulin de la Galette,1876, olio su tela, 131×175 cm, Museo d’Orsay, Parigi.

Ulìa ‘bballu cu ttie ‘na vèspara ‘na sira

‘na pizzicheddhra ripa ripa ‘mmare

cu llu silenziu tuttu intr’a ‘nna fiata

            Nu stianu russu mentru ‘ssutta ‘i peti

‘na camicetta janca rricamata                               

te pizzu trapanata

te luce te tramontu

e lli capiddhri tutti ‘nturtijati ca

ùlene scijati

comu ddhre zacareddhre                                     

‘ttaccate su lla frunte. Tie

te mmischi a lle palore

a lle canzune a llu jentu scasatu ca

‘nciarfìscia a

nfacce ‘nnu tamburreddhru                                 

            E ss’àzene  emozzioni t’intra intra

t’intr’a ‘llu core su’ llu nzalacatu

cu ‘nnu chiasciune ‘nterra

            bbeddhra tie

ci t’acchi comu scemma ca llucisce                    

comu ampa ca ddarlampa comu mare

ca ttuppa su’ lli scoji jancu ertu

e ttorna e ‘mpìja

misteri te cumete

jat’a ttie.                                                              

                    (06.06.04 h. 19,49)

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Noterellando… Costume e malcostume 33. Se l’Orologio si ferma

di Antonio Mele / Melanton

Sarà una riflessione forse anche un po’ retorica, ma le due lancette dell’Orologio della Torre Civica della nostra città (ferme addirittura da qualche anno, mi dicono) danno il senso reale di due terribili lance, infitte nel cuore della comunità galatinese.

Sono di recente tornato nella mia amata Galatina – sentendone periodicamente la fatale attrazione e il bisogno vitale –, e alcuni vecchi amici, incontrati proprio in Via Vittorio Emanuele II, la via de l’Orulogiu, mi hanno fatto notare questa triste “ferita”. Che ognuno di noi si augura che venga rapidamente rimarginata.

Diceva Victor Hugo: L’architettura è il grande libro dell’umanità.Significando, in tale espressione, il valore solenne, storico e sentimentale, di un ‘luogo fisico’: sia esso una semplice casa, un’antica chiesa o un insigne monumento civile. Sappiamo tutti benissimo che le città – grandi, piccole, e perfino minime – conservano in alcuni luoghi emblematici la sorgente viva della memoria individuale, congiuntamente alla ricchezza della propria storia collettiva.

Sicché i luoghi, quei luoghi specifici, distintivi e sacri, che restano indissolubilmente radicati nel cuore di ognuno dalla sedimentazione di eventi comuni, devono (voce imperativa del verbo “dovere”) essere conservati e tramandati con la massima diligenza, e soprattutto col massimo amore. Che è evidentemente indispensabile tanto per la trasmissione dei propri concreti e tangibili “valori d’identità” quanto, e ancor più, di quelli spirituali, e certamente più intimi.

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Antonio Stanca, Universum A-44


26-5-2004, olio su MDF, cm 80,2 x 80,2.
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Manco p’a capa 243. Biodiversità: non c’è cura se non cambiamo lo stile di vita

di Ferdinando Boero

Durante le Conferenze delle Parti (COP: Conference of the Parties) i delegati di tutti i paesi del mondo affrontano problemi globali per definire accordi che mirino alla loro soluzione. I temi trattati vanno dalla proliferazione delle armi nucleari all’inquinamento chimico, la corruzione e il tabacco. Le COP possono portare a Convenzioni Internazionali, come la Convenzione di Rio de Janeiro sulla biodiversità, nel 1992. Seguita nel 2012 dalla COP 11 di Hyerabad, e, nel 2022, dalla COP 15 di Montreal, sempre sulla biodiversità. La COP 16 di Cali, l’anno scorso, cercò di ratificare un accordo per combattere la perdita di biodiversità, senza esito. Così si è deciso di continuarla a Roma, nella sede della FAO. L’accordo è stato raggiunto, e saranno stanziati fondi per sostenere i paesi ricchi di biodiversità e poveri di risorse. Come disse Greta Thunberg, in un intervento alla Nazioni Unite: il mondo sta andando a fuoco e voi parlate solo di soldi. E infatti è di soldi che si è parlato a Roma. I paesi economicamente più avanzati non ospitano grandi espressioni della biodiversità nei loro territori, mentre i paesi “emergenti” hanno una grande ricchezza di biodiversità. I paesi ricchi di solito sono in aree temperate o temperato-fredde, mentre i meno ricchi sono in aree intertropicali. La biodiversità è massima all’equatore e tende a diminuire verso i poli, lungo un gradiente latitudinale.

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Trasmissioni radio 22. Volti

di Antonio Devicienti

L’unico film sceneggiato da Samuel Beckett è del 1964, si chiama Film e ha come attore protagonista Buster Keaton per la regia di Alan Schneider, fotografia di Boris Kaufman. È un cortometraggio di 22 minuti sul tema della percezione: partendo dall’affermazione di Berkeley esse est percipi Beckett scrive una sceneggiatura in base alla quale un uomo, inquadrato sempre di spalle, cerca di sfuggire lo sguardo altrui con il fine di riuscire a svanire nel momento in cui non venisse più, appunto, percepito: nella sceneggiatura lo sguardo che lo segue da distanza ravvicinata e talvolta ravvicinatissima (esso coincide con quello della cinepresa) è indicato con E (Eye – una pupilla con il regolare sbattere della palpebra viene inquadrata in primo piano nei primi secondi della pellicola), l’uomo con O (Object). Questa fuga dallo sguardo altrui, iniziata con angosciosa foga in istrada, si conclude nell’appartamento dell’uomo che, sottrattosi anche allo sguardo dei suoi animali domestici, di uno specchio, di una divinità riprodotta in una foto sulla parete e che rappresenta Dio, di uno specchio, di una finestra, distrutte tutte le fotografie relative al proprio passato, si assopisce in apparenza nel non-più-essere, per ridestarsi all’improvviso e scoprire, con sommo orrore, che mai riuscirà, invece, a sfuggire a uno sguardo ben preciso: il proprio: ché, nell’unica inquadratura che ne riprende il volto, si rende evidente che lo sguardo che l’ha sempre inseguito era il suo, ineludibile.

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Marcello Toma, Albicocche


Olio su faesite, 40×50 cm, 2023.
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Scene di vita scolastica

di Gianluca Virgilio

Giulio sapeva che anche quel giorno Belfiore sarebbe arrivata in ritardo e guardava verso la porta, quasi a sollecitarne l’arrivo, sollevando spesso gli occhi dal banco e interrompendo il lavoro cui era intento, ben nascosto dietro la folta capigliatura d’una compagna: intagliava la lettera B sul piano del banco. L’insegnante di matematica non ammetteva ritardi, e Belfiore, come al solito, si sarebbe fatta rimproverare e forse espellere dalla classe. L’orario d’ingresso era fissato per le ore otto e un quarto.

L’insegnante aveva appena finito di fare l’appello e Giulio ormai disperava quel giorno di vedere Belfiore, quando la porta si aprì e fece capolino un faccino ovale su cui due occhi si muovevano irrequieti sotto riccioli neri e ciuffi di capelli scomposti; due chiazze rosse colorivano le guance, segno se non di rammarico per il ritardo, certo di affaticamento, tanto che pure il respiro si avvertiva affannoso; e sopra il faccino, molti capelli alti sul capo, ondulati, che ricadevano all’indietro, lunghi e a scalare. Belfiore aveva salito di corsa le rampe, eludendo la sorveglianza del bidello, di solito ben piantato a gambe larghe e con le braccia conserte dinanzi alla porta d’ingresso della scuola, e ora chiedeva il permesso di entrare. Un mormorio nella classe fu il segno che il permesso le era negato; il bidello avrebbe accompagnato Belfiore in presidenza per il rimprovero di rito, prima della espulsione dalla scuola, almeno per quel giorno.

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Giuseppe Spedicato, Il sogno avvelenato



Dalla PREFAZIONE di Rita El Khayat – Quando Giuseppe Spedicato mi ha chiesto di scrivere la prefazione del suo libro, Il sogno avvelenato, ho subito pensato al testo da offrirgli come introduzione al contenuto del libro. Io ho vissuto in prima persona gli anni di piombo in Marocco e ne ho sofferto, ne ho sofferto tanto. Con le nostre parole, l’autore ed io, mettiamo a nudo ciò che fu quell’epoca. La sofferenza regnava sovrana ovunque. Noi non vogliamo che quanto già accaduto – coercizioni e ingiustizie, repressioni e torture morali o fisiche – sia ancora subito da altri esseri umani.
DALL’INTRODUZIONE di Maurizio Nocera – “Il sogno avvelenato è un libro che scava nella memoria storica per illuminare il presente, un’opera che ci invita a non dimenticare, a non tacere, a non permettere che la storia si ripeta. Occorre non dimenticare la ferocia con la quale il potente di turno ha perseguitato, arrestato e, quando è stato per loro necessario, uccidere colui o coloro che lottavano per abbattere l’antico regime. Obbligo di non dimenticare dunque, perché la ferocia del potente è lì dietro la porta “
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Inchiostri 144. Cadenze veneziane

di Antonio Devicienti

UNO: Nel 2011 l’artista statunitense Emily Arthur, nell’ambito di un progetto condiviso con Ca’ Foscari e con la Biennale d’Arte, interviene su di un libro (Il fiore della lirica veneziana – IV pubblicato da Neri Pozza nel 1959) con proprie illustrazioni; è e non è un palinsesto – lo è nel senso che Emily Arthur lavora su di un volume già esistente, ne reimpiega pagine e spazi; non lo è perché l’artista non cancella i testi precedenti per sostituirvi le proprie visioni: le immagini sono compresenti ai testi poetici, perfettamente identificabili sono le pagine e le parti che compongono il libro; efficace rappresentazione di Venezia città-palinsesto sulle cui pagine milioni di sguardi ri-scrivono ogni secondo il proprio vedere; difficile dire quali e quanti sguardi sappiano restare liberi dalle incrostazioni degli stereotipi e delle pigrizie mentali e percettive.

DUE: Nel 1986 Luigi Ghirri scatta questa foto del Ponte dell’Arsenale: l’arzanà de’ Viniziani si dà a vedere nella nebbia, poche figure umane conversano con una città che appare intima, schiva, silenziosa: facile immaginare attutiti suoni, anzi, è dato vederli.

TRE: Il Teatro del mondo di Aldo Rossi (1979-1980) è Venezia: teatro eternamente galleggiante, doppio specchio della parola e dell’immaginazione (il palcoscenico al suo interno: il mare al suo esterno).

Un teatro effimero (si smonta e si rimonta poi altrove, fluttua su di una chiatta, non conosce la stasi) perché è proprio l’attimo a toccare l’eternità, così s’accende e torna al silenzio dell’invisibilità. 

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L’organizzazione mondiale della Sanità va riformata?

di Rocco Orlando

     Nel 1851, dopo l’epidemia di colera che aveva imperversato negli anni 1830-1847, si ebbe il primo incontro per discutere su come fronteggiare le emergenze di sanità pubblica a livello internazionale. Si trattava della Conferenza di Sanità Internazionale di Parigi. Il 7 aprile 1948 nacque l’OMS, quale organo delle Nazioni Unite con competenze e responsabilità di sanità pubblica assorbendo i compiti degli enti fino ad allora competenti in materia. Da allora ogni anno il 7 aprile ricorre la “Giornata Mondiale della Salute”.  

     Il primo incontro dell’organizzazione si ebbe nell’estate dello stesso anno con delegazioni di 53 (su 55) di Stati Membri. In quell’occasione furono stabiliti temi e priorità dell’organizzazione, cioè fermare la diffusione della malaria, della tubercolosi, delle malattie a trasmissione sessuale; ridurre la mortalità e preservare la salute materna e infantile;  promuovere l’importanza di misure igieniche adeguate e di una sana alimentazione. Quindi. si proponeva non solo di contrastare le emergenze in atto, ma anche di fare il possibile per prevenirle.

     Tre anni dopo gli Stati Membri adottarono l’Internation Sanitary Regulations. Nel 1969 questo regolamento venne sostituito dall’International Health Regulations che, a parte piccole modifiche fatte nel 1973 e nel 1981, è rimasto praticamente invariato fino alla grossa revisione del 23 maggio 2005, che nacque dalla convinzione che “nessun paese può difendersi da solo dalle malattie e dalle altre minacce alla Salute Pubblica. Tutti i Paesi sono esposti alla diffusione di organismi patogeni e al loro impatto economico, sociale e politico. Quindi occorrono misure protettive collettive e di condivisione delle responsabilità nell’applicare queste misure”.

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Gaetano Minafra, Arte contemporanea 14. Agro salentino

Colori acrilici, decorazioni metalliche e plex, cm. 60 x 30, anno 2020.
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Presentazione di Antonio Costantini, Il sistema difensivo del Salento – Tricase, 28 febbraio 2025

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Su Lettere salentine. Poeti e narratori del Novecento di Luigi Scorrano (prima parte)

di Antonio Lucio Giannone

Mi fa piacere essere qui stasera per ricordare Gigi Scorrano in occasione della  presentazione del suo libro postumo dal titolo Lettere salentine. Poeti e narratori del Novecento,  a cura di Antonio Montefusco e Antonio Resta (Pisa, ETS, 2024). Il libro è la realizzazione di un progetto dello stesso autore che a causa della sua malattia non poté essere portato a termine quando egli era in vita e che ha visto la luce ora, a poco più di un anno dalla sua scomparsa, grazie all’interessamento affettuoso della moglie Elena e alla cura di alcuni amici come Antonio Montefusco e Antonio Resta. Esso raccoglie saggi e articoli su dodici autori salentini del Novecento di varie generazioni e di vario livello. Si va dai più anziani come Michele Saponaro, nato nel 1885, Girolamo Comi (1890), Pantaleo Ingusci (1903) e Raffaele Carrieri (1905) ad altri più giovani, come Vittorio Bodini, Vittore Fiore, Giovanni Bernardini e poi ancora Ercole Ugo D’Andrea, Lucio Romano, Salvatore Toma, Antonio Verri,  fino ad Antonio Errico che è l’unico vivente. Alla fine c’è un saggio sul Salento visto da scrittori che l’hanno visitato e l’hanno descritto. I saggi compresi nel libro sono stati pubblicati, per occasioni diverse, nell’arco di oltre trent’anni, dal 1980 il più vecchio (su Comi) al 2011 (quello su Saponaro), su riviste, in volumi miscellanei o come prefazioni (ma un paio sono inediti perché sono stati soltanto letti). È un filone di studi che Gigi Scorrano ha seguito parallelamente ad altri: Dante e, soprattutto, il dantismo novecentesco, Ariosto, D’Annunzio, autori novecenteschi come Viola e Bevilacqua (tanto per citare i più noti, quelli che più caratterizzano la sua figura di critico letterario).

Il libro si inserisce in una tradizione di studi coltivati da vari decenni nell’Ateneo salentino da maestri come Mario Marti, Aldo Vallone, col quale collaborò Gigi, Donato Valli e dai loro allievi. In particolare, Valli ha studiato il Novecento letterario salentino e tanti poeti e narratori della nostra terra. Una tradizione illustre che ha cercato di valorizzare autori e opere letterarie non con spirito campanilistico ma con metodo scientifico mettendoli sempre in rapporto con le vicende della letteratura italiana secondo una concezione policentrica della storia letteraria. Ecco, anche Gigi Scorrano segue questo criterio nei suoi lavori nei quali non c’è un’esaltazione acritica di questi scrittori ma uno studio rigoroso basato soprattutto sulla lettura ravvicinata, sensibile delle opere. E anche qui si rivelano le sue doti di critico che ho già messo in rilievo in un Ricordo che scrissi dopo la sua scomparsa: “il garbo nel leggere le opere, alle quali si accosta senza pregiudizi o forzature ideologiche, la finezza interpretativa, il senso della misura, la sensibilità e la vicinanza ai testi, l’eleganza e la chiarezza della scrittura”.

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Sugli scogli 31. Sul mare

di Nello De Pascalis

Ti condurrei ove palpo

l’umana finitudine

e tutto vibra;

là, teso mi perdo

e non v’è picco, né specola,

per mirare l’universo

che miro.

O, misteri dell’abisso,

e tu, mente, che rimani desta!

Scorrono equità represse,

indifferenze, questa vita.

Ebbene, ti condurrei sul mare

ove m’appare il tuo volto

nel frangersi dell’onda

e poi vanisce.

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Luca Carbone, Aspetti della cultura medica in Terra d’Otranto tra ‘400 e ‘500 – Galatina, 27 febbraio 2025

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