Prefazione a L’isola e il leone (1984)

di Giuseppe Leopizzi

1.Sulle orme dei padri con lo sguardo al futuro

Se è vero che l’irriconoscenza può essere definita come la “regione più popolata dell’anima” e che la memoria è “l’unico paradiso dal quale non possiamo essere scacciati”, la presente pubblicazione di Augusto Buono Libero Benemeglio, “L’isola e il leone”, intende smentire decisamente la prima asserzione e sottolineare , poeticamente,  e a modo suo, la seconda.

Quando, qualche tempo fa, l’autore pubblicò “L’isola della luce”, primo dono di un forestiero a una cittadina che ormai è divenuta suo “scoglio d’elezione”, profumato garofano intriso di musica e sogno, sgorgò spontaneamente dal cuore di chi scrive una serie di suggestioni e “fantastici trasilamenti” che, nella loro piena crescente, divennero una “lettera aperta” gentilmente pubblicata dall’amico poeta. Informato poi di dell’intenzione di un altro lavoro di ben più profondo e polifonico respiro, volentieri colgo l’opportunità per continuare quanto in quella lettera era rimasto in sospeso. E’ normale che accada così con i poeti. Mi consola, se non pecco di presunzione, una convinzione di Sainte Beuve, fatta propria da maestri come il Croce e il Momigliano che per tutta la vita hanno testimoniato come si può avvicinare e penetrare un testo: “ il critico non è che un uomo che sa leggere e che insegna a leggere agli altri.”

Certo, chi scrive non è critico di professione e non può quindi insegnare nulla nel giardino della poesia o dell’arte in genere, ma è un gallipolino sensibile e innamorato della “isola della luce”, della sua storia e tradizioni e come tale ha accettato il privilegio di leggere per primo il libro e di esprimere, a nome dei suoi concittadini, il ringraziamento per un lavoro che oserei già definire sinteticamente la “rivisitazione poetica” di una delle pagine più gloriose della storia di Gallipoli. 

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