Athenaion. Tarantini, Messapi e altri nel santuario di Atena a Castro

di Francesco D’Andria

L’immagine colossale di Atena in “pietra leccese”, rinvenuta negli scavi di Castro, era alta 3 metri e 40 centimetri, la seconda per grandezza tra le statue della Magna Grecia; dopo la scoperta del busto e della parte inferiore, la domanda ricorrente rivolta a chi scrive da quanti si interessavano ai ritrovamenti era molto netta: “quando trovate la testa?”. Le drammatiche vicende di distruzione della sacra immagine da parte dei cartaginesi nel 214 a.C. e del successivo seppellimento rituale che i romani avevano effettuato dopo la definitiva conquista della Messapia, rendevano tuttavia assai difficile una risposta. Forse era stata sepolta nelle vicinanze, ma non era escluso che i cartaginesi l’avessero volontariamente distrutta in spregio alle divinità dei nemici. Oggi, grazie alla Mostra che si inaugura al MaRTA di Taranto, la statua ha potuto recuperare una sua integrità: la collaborazione con i ricercatori del CNR, ISPC, Istituto di Scienze per il Patrimonio Culturale, ha permesso di realizzare il rilievo laser tridimensionale della scultura, e di integrarlo con quello di una testa di divinità femminile del MaRTA, di mano tarantina e dello stesso periodo (seconda metà del IV sec. a.C.) della statua di Castro. Il “Laboratorio Didattico Creativo” del Museo tarantino, con la Società Paleos, sul modello 3D ha così stampato una copia in resina della statua, in scala 1:1, che accoglierà i visitatori nel chiostro del Museo. L’elmo frigio la farà riconoscere come Atena di Troia, la dea che, dal suo santuario di Castro (non per caso il nome antico di questa località era Castrum Minervae, il Castello di Minerva), aveva accolto gli esuli guidati da Enea sulle spiagge salentine, nel loro primo approdo in Italia. Così infatti Virgilio descrive questo episodio del mito nel libro III dell’Eneide.

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