Polibio: uno storico greco tra mondo ellenistico e Roma (Parte Seconda)

di Biagio Virgilio


Kleitor (Grecia). Stele di Polibio.

4. Polibio e i re ellenistici. ~ 5. Polibio e la costituzione mista romana.


4. Polibio e i re ellenistici

Per Polibio, i re ellenistici non erano solo dispotici e opportunisti, erano anche gretti. A paragone della straordinaria munificenza dispiegata dai re ellenistici e perfino dai dinasti locali in occasione del terremoto di Rodi (227 a.C.) Polibio mette in risalto la grettezza (mikrodosía) dei re contemporanei e la pochezza dei doni (mikrolepsía) che popoli e città ricevono da loro: perciò egli esorta le città a non tributare ai re tanto grandi onori come in passato ma a concedere ai re quelllo che meritano in cambio dei modesti doni che esse ora ricevono (V, 88-90: 90.5-8).

Raramente i re ellenistici si sottraggono alle arcigne critiche di Polibio. Egli si cautela affermando che, a differenza di chi per benevolenza o per paura ha scritto le imprese dei re ellenistici non attenendosi al rigore del genere storiografico ma piuttosto all’encomio, renderà il suo racconto coe­rente e conforme alla condotta dei re senza diffamarli né encomiarli ricor­rendo alla menzogna (VIII, 8.4-7) o ai pregiudizi: infatti egli fa osservare che i giudizi sui re e sugli uomini illustri non li ha espressi all’inizio dell’opera, come fanno gli altri storici, ma nel luogo in cui sono esposti i fatti che li riguardano e con parole appropriate (X, 26.9). Nelle Storie si può agevol­mente osservare che, mentre sul processo espansionistico romano Polibio si esprime in termini strettamente politici e militari e, almeno all’apparenza, si astiene da giudizi morali espliciti, sull’azione dei re ellenistici e sui re stessi prevalgono invece i giudizi morali. Polibio mostra una evidente av­versione per la monarchia come istituzione o, piuttosto, per i modi con i quali i basileis ellenistici e i loro più alti funzionari la interpretano e la eser­citano; egli è disposto tutt’al più a distinguere fra i buoni re (non molti, so­prattutto quelli del passato o quelli che non abbiano avuto rapporti conflit­tuali con la Lega Achea e con Roma) e i cattivi re (i più, soprattutto quelli del presente e in conflitto con la Lega Achea e con Roma)[1]. I profili moral­mente abietti di alcuni re ellenistici (Filippo V di Macedonia, Tolemeo IV d’Egitto, Antioco IV di Siria, Prusia II di Bitinia, ecc.) delineati da Polibio sembrano quasi costituire la controparte negativa dei profili di alto livello morale e ideale di grandi personalità della Lega Achea (Arato, Filopemene) e della repubblica romana (Scipione Africano, L. Emilio Paolo, Scipione Emiliano). Credo comunque che nei giudizi di Polibio sui re e sui regni elle­nistici sia sempre implicitamente operante quella antitesi con la Lega Achea che lo storico aveva esplicitamente instaurato fra la Lega e il regno di Ma­cedonia (II, 37.8-11); ma non si deve neppure trascurare il fatto che i giudizi sul fallimento politico dei re e dei grandi regni ellenistici sono emessi quan­do questi erano ormai inesorabilmente in declino sotto i colpi di Roma, e quando una dinastia e un regno, quello degli Antigonidi di Macedonia, ave­va subito «la completa distruzione» (II, 37.8), era stato «estirpato alle radici» (XXXVI, 9.7) con la battaglia di Pidna: insomma, quando ormai «Roma, con il suo impero ecumenico, appare chiaramente conclusiva del processo storico elleni­stico»[2], almeno sotto il profilo più propriamente politico-militare.

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