La «Buona Scuola» deve avere la «sua missione»

di Cosimo Scarcella

E’ il 20 maggio 2015. Governa il Ministero della Pubblica Istruzione l’on. Stefana Giannini. La Camera dei Deputati congeda e invia all’esame del Senato il testo della riforma scolastica dal governo (presieduto da Matteo Renzi) indicata come “Buona scuola”, ma osteggiata come “esecrabile” da docenti e studenti sostenuti da famiglie, forze politiche e sindacali. I senatori, quindi, hanno come compito primario esaminare quali potrebbero essere stati (e se continuavano ad esserci ancora) i motivi d’un così opposto giudizio. In verità, per tanti decenni nell’Italia repubblicana s’è tentata una riforma della scuola, che ne segnasse davvero una svolta storica; ma s’è concluso sempre col produrre qualche ritocco marginale e talora persino negativo, a causa di resistenze in parte condivisibili, ma in parte biasimevoli, e che ora, in quest’ultima circostanza, sarebbe opportuno che anche Palazzo Madama ponderasse con imparzialità e decisione. La “Buona scuola” sostanzialmente contiene come princìpi ispiratori alcuni temi caldi: le competenze dei dirigenti da verificare periodicamente, la valutazione dell’operato dei docenti per un oggettivo riconoscimento anche economico, l’assunzione definitiva dei molti e diversi precari

E’ appurato che la natura e il ruolo della scuola ne fanno una realtà atipica, composita e del tutto speciale, per cui richiede un approccio prudente e adeguato da parte di tutti: famiglia, società, politica, sindacati. Non si può fare a meno, comunque, di chiedersi, in prima istanza, chi e perché dovrebbero allarmare gli interventi proposti dal governo. E’ normale che il dirigente d’ogni struttura abbia l’incarico di decidere un progetto e scegliere almeno alcuni strumenti operativi con procedure appropriate e il più possibile condivise, al fine del perseguimento più sicuro degli obiettivi. Si pensi, tra l’altro, a un direttore sanitario, a un manager d’impresa, a un agente di eventi culturali: in tanto saranno chiamati a rispondere del proprio operato, in quanto sono essi stessi almeno corresponsabili della scelta e della gestione delle risorse economiche e umane a disposizione. Ogni componente del gruppo di lavoro, d’altra parte, s’interesserà certamente che vengano riconosciuti e valutati i propri meriti e demeriti con le ovvie conseguenze di successi professionali e di estimazione umana. Esitazioni per una qualche forma di valutazione potrebbe significare disistima personale, sfiducia negli altri, senso d’inferiorità.

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