Formazione universitaria per i Beni Archeologici del Salento. Nella prospettiva europea

di Francesco D’Andria

L’esteso incendio delle sterpaglie nel Parco Archeologico di Cavallino, il blocco delle attività di visita e di animazione culturale all’anfiteatro di Rudiae, lo stato di abbandono del Parco dei Guerrieri a Vaste e la persistente chiusura del suo Museo Archeologico, la cronica mancanza di fondi per la prosecuzione degli scavi archeologici a Castro, possibile soltanto grazie all’intervento di privati lungimiranti come Francesco De Sio Lazzari e di Associazioni come l’Inner Wheel di Tricase, sono solo alcune delle realtà nel Salento che attestano, di fatto, l’abbandono e la mancanza di attenzione verso il Patrimonio Archeologico da parte delle Istituzioni pubbliche. Una situazione critica, in singolare contrasto con quanto avveniva circa vent’anni fa, quando, grazie ai fondi europei, la Regione Puglia aveva dato avvio ad un ambizioso progetto di valorizzazione del suo patrimonio archeologico, con la creazione di Parchi archeologici e di musei. A questa realtà fa riferimento un breve articolo pubblicato nella rivista dell’Università di Lecce (Unile, n. 1, marzo 2003, pp. 19-20), che può essere utile rileggere; chi scrive, come direttore della Scuola di Specializzazione in Archeologia, tracciava un quadro ottimistico, ricco di prospettive di ricerca e di lavoro per i giovani iscritti ai corsi nel settore dei Beni Culturali.

Formazione universitaria per i Beni Archeologici del Salento. Nella prospettiva europea

Con l’istituzione della Società Patrimonio dello Stato Spa, da parte del Governo Berlusconi, si è aperto in Italia un dibattito che riguarda in particolare quei beni del demanio che rivestano un valore storico e culturale. Salvatore Settis, archeologo e direttore della Scuola Normale di Pisa, ha tempestivamente pubblicato, nella collana Gli Struzzi di Einaudi, un volumetto dal titolo significativo “Italia S.p.A. L’assalto al Patrimonio Culturale”. Nel denunciare i rischi della “privatizzazione selvaggia”, Settis ha messo al centro del suo ragionamento una grande tradizione italiana che, pur in modo contraddittorio dal punto di visto legislativo e istituzionale, si è identificata con lo storia del nostro Paese sino a distinguerlo dagli altri Stati europei per quella “cultura della conservazione” che ha permesso di tramandare un patrimonio di arte e di storia unico al mondo.

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