Un poeta e il suo interprete: il sodalizio tra Girolamo Comi e Arnaldo Bocelli (Parte seconda)

Arnaldo Bocelli a sinistra, Carlo Muscetta in primo piano a destra.

            Anche la costituzione della Casa editrice non è priva di problemi. Nella lettera del 15 giugno 1953 così scrive: “L’impianto della Casa editrice mi costa lavoro e un dispendio di energie che potrei impiegare in altro modo se il momento non fosse così poco favorevole a certe imprese. Comunque sono in ballo e ballerò…”.

            Così pure Comi non si dimostrava pienamente soddisfatto  dell’andamento del  Premio Salento, anzi a volte manifestava apertamente i suoi malumori. Nel 1956, ad esempio, aveva proposto di inserire proprio Bocelli nella Commissione giudicatrice per la poesia, ma all’ultimo momento il suo nome era scomparso. Lo stesso critico gliene chiedeva spiegazioni, un po’ contrariato, in una lettera dell’8 ottobre:

 Caro Comi,

è quasi un mese, cioè dalla pubblicazione sui giornali del comunicato relativo al Premio Salento, che io volevo chiederti – a puro titolo di curiosità – come mai all’ultimo momento dalla commissione giudicatrice per la poesia fosse scomparso il mio nome, mentre gli altri da te proposti (ad eccezione forse di quello di Bodini) erano rimasti. Ma ho rinviato la cosa da un giorno all’altro, sicuro che prima o poi tu – che avevi chiesto la mia adesione e fatto il mio nome – mi avresti scritto per darmi qualche chiarimento circa una faccenda che in verità non è un modello di delicatezza né di buon gusto. Ma visto che tu sèguiti a rimanere “ermetico”, sono costretto a farmi vivo io: non per altro, ripeto, se non per sapere se le cose sono andate veramente come certe “presenze” fra i giudici lasciano sospettare.

Credo che tu mi conosca a sufficienza per non pensare che io dia molta importanza a tutto ciò, o serbi rancore per chicchessia: sai bene fra l’altro qual è il mio animo verso i premi letterari. Ma d’altra parte, poiché io non avevo chiesto nulla a nessuno, è pur giusto, mi pare, che l’essere stato tirato inutilmente in ballo generi in me un senso di fastidio. Se non altro per la mia accondiscendenza: per aver detto di sì quando, come quasi sempre faccio, avrei dovuto dire di no.

            Ciò confido a te; e fra me e te – naturalmente – deve rimanere.

In risposta il poeta, nel ricostruire la vicenda, accennava sia pure velatamente a manovre non tanto trasparenti accadute a sua insaputa:

            Se non ti ho dato chiarimenti di sorta circa la tua non-inclusione nella Commissione giudicatrice per la Poesia del Premio Salento, è che non ho conferito alla cosa la importanza di cui tu vuoi onorarla… Comunque, ecco come stanno, o meglio: come sono andate le cose: il 26 luglio io indicai e proposi da Roma alla Amministrazione Provinciale di Lecce, i nomi di Bocelli e di Binni da includere possibilmente nella Commissione per la Poesia. (Il nome di Bodini lo avevo, lui presente, proposto a Lecce prima del mese di luglio.) Ma essendo restato, come sai, a Roma non ebbi l’idea né la possibilità  di insistere, nel pretendere e nell’esigere ad ogni costo dei nomi da me designati. Così accadde che, me assente da Lecce, l’Amministrazione Provinciale credette di tener conto del nominativo proposto dal Consigliere Assessore alla P.I. e fu nominato Bassani. Questo è tutto.

Ora, caro Bocelli, a parte il piacere che avremmo avuto a rivederci qui, ti assicuro che non sarei per nulla scontento di essere al tuo posto… Non ti dico altro. A voce, rientrando a Roma verso la metà di novembre il resto. (Lett. del 23 ottobre 1956).

            E ancora, nel 1959, a Bocelli che gli aveva segnalato per il Premio, senza alcun esito, un romanzo uscito in una collana da lui diretta, così scriveva:

            Ma tu sai come va questo genere, o meglio questa istituzione di… non so come dire… Io sono uno dei sette giudici – (Saponaro da poco deceduto era il “nostro” presidente: non so ancora chi prenderà il suo posto) -: e tu sai anche come vanno le cose quando le tendenze e i pareri (oltre agli umori, anche qui, destri o sinistri) sono discordi ecc.

            (Ti dirò in confidenza che avrei rinunziato molto volentieri a questa fatica se non ci fossero state ragioni d’altro genere a consigliarmi di non tirarmi indietro.)

            Tu sai che su certe cose non la penso molto diversamente da te: mi pare quindi superfluo di aggiungere altro. (Lett. del 10 novembre 1959).

            Proprio nelle Edizioni dell’“Albero”, intanto, nel 1954, viene pubblicata Spirito d’Armonia, una scelta della produzione poetica comiana dal 1912 al 1952. Questa raccolta venne puntualmente  recensita  sul “Mondo” da Bocelli, che confermava la sua precedente interpretazione sviluppandola ulteriormente fino alle più recenti composizioni. Anche qui quindi il critico rinveniva nella poesia di Comi una “chiara linea di sviluppo”, malgrado la “staticità” di singole fasi, e questa linea ripercorreva  fino ad arrivare al Cantico del Creato (1934-1938) e al poemetto Adamo-Eva (1935), in esso compreso. Qui il poeta approda ormai “ad una visione cattolica della vita: anche se una vena di estetismo serpeggia sempre in lui. E, di pari passo, dall’equazione fra poesia e conoscenza è giunto a quella fra poesia e preghiera”[2]. Nell’ultima parte della raccolta, a giudizio di Bocelli, dove pure “alcune poesie sono insidiate da un tono oratorio, apologetico”, “la virtù emotiva del Comi più recente ed ultimo sta nel ritmo, scandito con un impeto che sale dal profondo in quanto espressione di un anelito a ben altro, e più alto, ritmo: quello che regola l’armonia dell’universo”[3].

            Subito dopo l’uscita delle recensione il poeta scrive all’amico ringraziandolo e dimostrandosi soddisfatto di alcune osservazioni e, in particolare, proprio di quella poc’anzi citata:

            Caro Bocelli, come ringraziarti della considerazione in cui dimostri ancora di tenermi, assegnando al mio libro un così ampio posto nel tuo mondo? In una sola maniera: con l’assicurazione, da parte mia, che medito attentamente ogni tuo rilievo (negativo e positivo) e ne faccio come sempre tesoro. Anzitutto m’induce a riflettere la tua puntuale (anche se rapida) messa a fuoco di un mio anelito a ben altro, e più alto, ritmo: quello che regola l’armonia dell’universo… Che è cosa centratissima, ennesima prova della tua intelligenza critica, non solo, ma egualmente della tua capacità di penetrazione e di elevazione spirituale. (Lett. del 18 agosto 1954).

                In risposta,  Bocelli  lo ringraziava a sua volta  di questa lettera che gli aveva fatto molto piacere, perché – scriveva – “essere riuscito, più o meno, a ‘centrare’ il proprio ‘autore’, è la migliore delle soddisfazioni per un critico” (lett. del 5 settembre 1954).

            Ancora nel marzo del 1956 Bocelli recensisce sul “Mondo” la prima edizione di Canto per Eva, apprezzandola particolarmente perché, a suo parere, di rado il poeta aveva raggiunto “tale limpidezza di parola e pienezza di canto”. In questa raccolta infatti, a giudizio del critico,  “la felicità dei risultati è anche maggiore di quella raggiunta negli ultimi componimenti di Spirito d’armonia [4], sia per il motivo ispiratore, l’amore, più circoscritto e perciò più intenso, sia per le forme metriche più brevi e rapide. Eva stavolta è l’archetipo della donna, alla contemplazione della quale il poeta giunge attraverso l’evocazione, la memoria di sue immagini terrene, di “tipi” in cui è, o fu, avvertibile la sua presenza. Nelle liriche del primo gruppo, Piccolo idillio per piccola orchestra, in particolare, il critico notava ancora la presenza di un calore e sentore di terrestrità, che invece nelle liriche del secondo gruppo “è già tutta intrisa di luce sopraterrena, e il canto nasce da uno stato di aurorale purezza, di alacre levità, per il sublimarsi dei sensi e delle sensazioni”[5].

            Anche questa volta Comi non mancò di inviare una lettera per ringraziare  l’amico dandogli atto che ancora una volta era il primo a occuparsi di una sua opera, sulla quale  anche altri illustri studiosi, come Francesco Flora e Walter Binni, gli avevano fatto pervenire successivamente lusinghieri giudizi:

            Caro Bocelli, è da più di un mese che sono sulle mosse di partire per Roma (senza riuscire a decollare…) col proposito di raggiungerti in Viale Carnaro il giorno stesso del mio arrivo per dirti la mia affettuosa gratitudine per la colonna che hai dedicato sul “MONDO” del marzo scorso al mio “Canto per Eva”. Fui, quella domenica, oltre che molto piacevolmente sorpreso, profondamente commosso della tua bella testimonianza di critico e di amico: e mi toccò constatare e riconoscere che il primo a dare il Via a questo mio nuovo Canto eri ancora tu… Sono testimonianze che un amico e un poeta della mia sensibilità – (chiusa, è vero, ma sempre ricca e attiva… -) apprezza ammira e non dimentica. Dopo di te – e sulla tua traccia – sono venuti e vanno venendo gli altri. E’ di questi giorni un biglietto di Flora da Bologna nel quale ringraziandomi dell’invio del libro aggiunge che parlerà in Letterature Moderne di queste “poesie pensose e brividanti”… Walter Binni le qualifica più semplicemente “belle e profonde” ecc.

                Nella stessa lettera inoltre Comi informava Bocelli di altri suoi progetti relativi alla partecipazione al Premio Carducci e alla costituzione della Società delle Edizioni dell’Albero, invitandolo inoltre a pubblicare un  volume nelle sue Edizioni:

                Ora, non per necessità di “gloria” – (ché quella, come sai, me la porto dentro e me l’amministro a modo mio) – ma per necessità d’ordine economico (ahimé) sono tentato di concorrere al Premio Carducci. Con questo non intendo, è ovvio, raccomandarmi a nessun giudice, ma incoraggiato dai giudizi (critici o meno) che mi pervengono oso sperare di avere qualche chance di vittoria…

            Comunque, voglio ancora riflettere.

            Proprio in questi giorni – dopo laboriosissime estenuanti trattative – sono riuscito a costituire la Società delle Edizioni dell’ALBERO. Così è assicurata la continuazione e la continuità delle nostre pubblicazioni – (da solo non ce la facevo più…-). L’Amministrazione passa quindi in altre mani: io mantengo la direzione letteraria della Casa.

            Giacché sono in argomento, ti chiedo a bruciapelo se non ti interesserebbe di pubblicare un bel “tomo” nelle nostre Edizioni… Sarei lieto di avere il tuo nome nella Collezione “Saggistica”. Pensaci, tenendo conto che l’Amministrazione dell’Albero stende regolare contratto con i suoi autori e paga regolarmente i diritti, voglio dire la percentuale pattuita sulle opere che pubblica.

            Quando, nel 1958, uscì l’edizione definitiva di Canto per Eva, Bocelli la segnalò sul “Mondo” in un lungo articolo nel quale ripercorreva ancora una volta i vari momenti della poesia di Comi, riprendendo gli scritti precedenti dei quali abbiamo dato già conto. In generale, nella sua ultraquarantennale attività letteraria notava “una coerenza di ispirazione ed una ricerca di approfondimenti spirituali e formali, che, insieme al riserbo di cui ha sempre amato circondarsi, bastano a darle un contrassegno di nobiltà”[6]. Per quanto riguardava quest’ultima raccolta, infine, osservava che le liriche nuove, raccolte nella terza e quarta parte del volume, avevano “pregi anche maggiori delle precedenti”[7].

            Dal canto suo, Comi ringraziava, come di consueto, Bocelli fornendogli anche importanti precisazioni di poetica relativamente a questo suo “terzo” tempo, rappresentato dalla raccolta Canto per Eva,  intonata, come lui stesso confessava, a una sorta di stilnovismo novecentesco:

            Caro Bocelli, vedo il tuo articolo sul MONDO: “CANTO PER EVA”. Per quanto non si sia  più giovinetti in ansiosa attesa dell’articolo del critico letterario famoso su qualche periodico importante, bisogna riconoscere che si resta sempre sensibili e grati a certe testimonianze, sul piano critico, di tono e valore elevato come mi pare il tuo scritto… Non è quindi con te che me la cavo col solito ringraziamento generico: e per l’altezza del “timbro” (del tuo scritto) e per il senso di obiettività che ti è proprio, oltre che per la stima e l’affetto che ci tiene vicini e legati, anche se ci si vede e ci si scrive di rado.

            Devi sapere – e voglio confidarti – che nutro una predilezione particolare per questo mio ultimo “Canto”: me lo sento vivo e attivo dentro di me forse anche perché so che esso può continuare sempre più sciolto ed arioso, e liberato da certe rigide pastoie dei primi due “tempi” del mio agire poetico. Questo, in altre parole, vuol essere il principio del mio “Stil novo” (si capisce intonato all’aura di un Novecento purificato da irrespirabili miasmi…) – che proietta – (lo si vedrà meglio se riesco a dar seguito al mio canto interiore) – il suo messaggio anche nella economia cosmico-sociale-spirituale di tutta una umanità sempre segretamente ansiosa e affamata d’amore che non muore… (non so come dire…). (Lett. del 12 novembre 1958).

D’altra parte, anche questa lettera contiene allusioni alla difficile situazione finanziaria vissuta dal poeta in quel periodo, derivante, com’è noto, dal fallimento del tentativo di dar vita, nel 1946, a un’attività industriale con la costruzione di un oleificio a Lucugnano, nonché al suo non meno precario stato di salute:

                Ora ti confesso che il conferimento di una corona d’alloro con un certo numero di gettoni d’oro, non la rifiuterei: mi servirebbe a liberarmi di certe pesanti passività che mi tolgono forze e serenità… Non avrei mai pensato di dover tanto darmi da fare in così tarda età, unicamente per estinguere tributi e contributi vecchi e nuovi, giusti e ingiusti presso gli sportelli di un Fisco bestiale e crudele… Sono vere fregature, e non solo per i poeti del mio “tipo”.

            Avrei estremo bisogno, come del resto tanti di noi, di un lungo periodo di riposo assoluto, per una astenìa generale che il peso della età rende più grave. Così vado avanti a furia di “tranquillanti” e di progetti di… possibile tranquillità.

            Per fortuna ho conosciuto, a traverso l’esercizio della poesia e della fede, un certo stato di gioventù – (di cui tanto spesso è menzione nel mio ultimo libro) – che mi aiuta a sorridere di certi inevitabili (e direi: provvidenziali) declinii…

            Caro Bocelli, grazie dunque con tutto il cuore (d’amico e di poeta) della tua generosa testimonianza letteraria che è anche una testimonianza di affetto, cui tu non ignori come e quanto io sia sensibile.

            Accenni alle sue delicate condizioni psicofisiche sono contenuti anche in altre lettere di questo periodo, come nella seguente:

            Io sono sempre in stato di ‘trance’ o di allarme o di eretismo… psico-cosmico: non riesco a vincere certi stati di ansietà, di angoscia e di irrequitezza, e non riesco quindi a riprendere l’equilibrio e la serenità necessarii per un lavoro regolare e metodico.

            (Forse abuso di tranquillanti, forse sono certe preoccupazioni costanti – sia d’ordine morale che… economico – che mi tengono in un perpetuo stato di allarme.

            Spero, comunque, non appena avrò raggiunto il traguardo di una sistemazione – sia pure relativa – di uscire un po’ dal mio guscio e di accordarmi una licenza. (Lett. del 31 ottobre 1959);

e in quest’altra:

                In questi ultimi tempi – e per alcune settimane di seguito – sono stato anch’io provato molto duramente da una insonnia crudele contro la quale non so mai trovare rimedi: i famosi tranquillanti non agiscono contro la insonnia, e di barbiturici non ne voglio sapere. Comunque, da qualche giorno riesco a dormire almeno quattro ore su 24. E mi accontento.  (Lett. del 18 gennaio 1960).

             Nel 1959 si crea un’altra occasione di collaborazione tra i due. Infatti il 23 giugno del 1959 Comi comunica all’amico che la Casa editrice Ceschina aveva intenzione di pubblicare una scelta di sue composizioni, tratte da Spirito d’armonia  e da Canto per Eva, col titolo, proposto da lui stesso, di Sonetti e altre poesie e così continua nella sua lettera del 23 giugno:

            L’invito mi è venuto inaspettatamente da Riccardo Marchi che vorrebbe da te – e proprio da te… – una breve “Presentazione” e del poeta e della sua poesia. Egli mi ha pregato di chiedertela. Io penso che potrai fare a me e a lui questo omaggio in nome della amicizia e della colleganza che ci unisce, da anni e anni – rinunziando (sempre in omaggio alla poesia e ai poeti…) a qualsiasi compenso…

            Come sai, la poesia inorridisce al rumor del vil metallo, per quanto poeti e critici ne hanno quotidiano assillante bisogno…

            Io sto cercando di sistemare  alla meno peggio le mie cose in modo da riuscire a prendere una lunga licenza che valga a tirarmi fuori da un’astenìa generale durata fin troppo.

            Ho ripreso la mia attività ma sempre più “handicappato” dal rigore da certe mie esigenze (o fisime…) d’ordine spiritual-letterario: tu mi comprendi…

            Ho aspettato sempre invano tue notizie dirette: spero che questa volta troverai modo di darmene, anche per dirmi che farai la “Prefazione” che ti ho chiesto per l’Antologia. La raccolta  è già in possesso dell’editore.

                In risposta, Bocelli, dopo aver accennato a una serie di disgrazie capitategli in quel periodo (“una grave caduta”, “l’aggravamento delle condizioni” prima e poi la scomparsa di sua madre, il grave stato di salute della sorella e del cognato), gli confessava che accettava questo invito solamente perché gli veniva da lui:

            Ora, per quanto riguarda la prefazione alla scelta delle tue liriche per Ceschina, io – malgrado la mia scarsa simpatia o netta antipatia per tal “genere” letterario – non intendo tirarmi indietro. ma non posso fare altro che rielaborare o adattare il già scritto su te: anche perché non saprei dire diversamente ciò che, bene o male, di te ho detto. Vorrei quindi sapere – nel caso che questa soluzione ti paresse accettabile – di quale lunghezza dovrebbe essere la mia introduzione, e di quanto tempo potrei disporre. Perché ho tanto lavoro arretrato, e anche una rielaborazione richiede il suo tempo. Se credi, per una più diretta intesa, fammi scrivere da Riccardo Marchi o dall’editore. Mi auguro che ci sia un certo respiro. Comunque, per quanto sta in me, io sono disposto ad accettare l’invito: ma proprio, e solamente, perché si tratta di te. (Lett. del 7 luglio 1959)

             Nei mesi successivi Comi torna a chiedere ripetutamente, quasi in maniera assillante, la prefazione di Bocelli alla sua antologia, fino a rivelare nella lettera del 4 gennaio 1960 le ragioni di ordine anche pratico di questa sua richiesta, collegate a quella difficile situazione finanziaria a cui si è fatto cenno prima:

            Caro Bocelli, sono mortificato di dover tornare a pregarti di mandare a Marchi la breve prefazione-presentazione promessa per l’antologia di Ceschina. Marchi mi scrive che è urgente anche perché gli editori “s’infischiano della poesia e si stancano di aspettare il ritorno delle bozze in sofferenza”.

            Voglio augurarmi che tu possa e voglia accontentarci: non ho bisogno di ripeterti che con qualche piccolo taglio e qualche piccola aggiunta agli articoli da te già pubblicati, puoi “mettere insieme” senza troppa fatica le poche paginette che servono per l’Antologia. Se tuttavia, per dannata ipotesi, tu non potessi mantenere la promessa, ti prego di farmelo sapere subito perché io possa correre ai ripari e rimediare in qualche altro modo alla faccenda.

            L’Antologia ha da uscire anche perché questa pubblicazione mi è utile agli effetti di una pratica in via di sviluppo presso l’Ente dell’Amm.ne provinciale di Lecce.

            Io sto sempre poco bene: (soliti disturbi del circolo e psico-motori…) ma ho iniziato col nuovo anno il 3° ciclo del mio itinerario poetico che sarà assai diverso dai precedenti.

            Come farei a tirare avanti senza il solo capitale… (spirituale) che mi resta: quello della poesia.

                Qualche giorno dopo, il 18 gennaio di quell’anno, Bocelli informa Comi di aver spedito a Marchi lo scritto e il poeta, lo stesso giorno, dopo avergli inviato un telegramma,  lo ringrazia con la seguente lettera, nella quale gli rivela che ci teneva molto che fosse proprio lui a scrivere la prefazione alla sua antologia

            Caro Bocelli, torno a ringraziarti per la tua affettuosa premura e per la non lieve fatica cui hai dovuto sottoporti per accontentarmi… Sono testimonianze che apprezzo. D’altra parte tenevo per più d’una ragione – e non meno di Marchi – che fossi tu a scrivere la Prefazione: per questo mi son preso il diritto di “insistere” in nome dell’amicizia e della reciproca stima che ci lega. Ignoravo però che il tuo stato di salute avesse subìto un’altra “prova”: e ti mando i più affettuosi augurii perché tu riacquisti la sanità fisica e la serenità spirituale indispensabili a tutti i “lavoratori” – (e in particolare ad ogni uomo di penna, di cuore e d’intelletto…).

            Credo di sapere anch’io (un poco) che cosa significhi dover lavorare afflitti da certe disfunzioni e menomazioni: puoi quindi immaginare con quale spirito ti auguri di ristabilirti.

                Nel prosieguo  inoltre Comi lo informava dell’inizio di un nuovo “ciclo” lirico, che avrebbe dato vita nel 1966 alla sua ultima raccolta poetica, Fra lacrime e preghiere:

                Ho posto mano (coraggiosamente) il 23 novembre scorso al mio nuovo “ciclo” lirico, di cui il titolo sarà probabilmente: “Fra lacrime e preghiere”. Atmosfera e clima, come puoi intuire, assai ardui: per quanto mi presuma spiritualmente abbastanza ricco e preparato, non lo sono al punto da esser sicuro di “sorpassarmi”… Procedo su due binari non sempre e non necessariamente paralleli: suscettibili quindi d’intersecarsi se non d’incontrarsi… L’uno sul piano di una esperienza spiritual-religiosa di una certa profondità, l’altro sopra un piano più umano-poetico-letterario: non so come dire… Con qualche nostalgia: ti lascio immaginare di che sottile e terrestre origine e natura.

            Nella lettera del 18 febbraio 1960 il poeta tornava a ringraziare l’amico della sua prefazione, anche se ripeteva di non concordare su qualche “particolare” proprio come era avvenuto trent’anni prima, dopo la prima recensione di Bocelli:

            La tua prefazione è un modello di stile critico-letterario che io apprezzo per la sua sobrietà, precisione e concretezza anche se – come è inevitabile – non concordo su qualche “particolare”. È una “presentazione” particolarmente felice, a me pare, per una scelta come quella che si presenta, tanto più che cominci col premettere che “sei costretto a prescindere dai limiti della raccolta ecc.”. Tornerò a ringraziarti a voce della tua generosa e paziente fatica se – come spero – riuscirò a muovermi in aprile.

                In effetti anche in quest’ultimo scritto, nel quale riprendeva ancora una volta i suoi precedenti articoli, Bocelli riproponeva le sue  ormai ben note obiezioni critiche nei confronti del primo tempo della poesia comiana, in cui – scriveva – l’ispirazione panico-sensuale “si risolve piuttosto in un immaginismo rutilante e simbolico, ottenuto con il ricorso e direi la percussione ossessiva di certe note, di certe frasi o formule quasi rituali, che in un analogismo aderente alla simultaneità della visione lirica”[8]. A parte queste limitate riserve, però, la sua prefazione costituiva un’organica e approfondita interpretazione della poesia comiana, alla quale veniva dato atto di una coerenza durata quasi un cinquantennio.

                 Al 4 marzo di quell’anno risale pure una lettera di tono assai diverso, più intimo e raccolto,  con la quale Comi cercava di confortare l’amico colpito da una serie di  disgrazie, indicandogli una possibile via per superare questo momento di crisi:

            Caro Bocelli, il saperti solo e depresso, dopo le ultime disgrazie che ti hanno colpito, mi rattrista profondamente – credilo – e vorrei potere esserti di qualche conforto. Probabilmente perché ho una certa fede (travagliatissima) da mantenere efficiente in modo continuativo e impegnativo, sono diventato più sensibile che mai ai mali e alle disgrazie del prossimo, e in particolare – s’intende – di quel prossimo rappresentato dagli amici-fratelli più vicini e  più cari.

            Caro Bocelli, la sera cala per tutti – e per ognuno in modo diverso: e bisogna che ognuno di noi l’affronti con un minimo di fede, di coraggio e di fiducia… So che è facile dirlo, ma so che non c’è altro da dire… Sono d’altra parte persuaso che quando si è passati da esperienze di una certa drammaticità e intensità non si parla più per parlare, – ma per comunicare e per una necessità spirituale di amore a ogni costo. Con questo non presumo e non voglio dire che io mi senta più ricco (spiritualmente) di te: – al contrario -: ma che non vedo altra ricchezza se non quella che nella solitudine mi pare di avere, sia pure in proporzioni modestissime, intravisto e conquistato.

                Non continuo perché sai dove voglio arrivare: non ho la stoffa del predicatore, come sai… E a certe persuasioni ognuno deve arrivare per proprio conto giovandosi dei mezzi e degli strumenti più indicati al proprio caso e alla propria personalità.

            Negli ultimi anni di vita del poeta si diradano notevolmente le occasioni di incontro e di collaborazione tra i due e così anche le lettere che si scambiano. Nel 1962, dopo un periodo di silenzio, così Comi scrive all’amico, informandolo delle sue condizioni di salute e della sua attività con le consuete espressioni affettuose, ma esprimendo, anche stavolta in maniera assai aperta,  un giudizio piuttosto severo sul “Mondo”:

Ci siamo perduti di vista: ma io ti seguo col pensiero (d’amico) e sul settimanale ‘Il Mondo’ – anche se questo settimanale non mi entusiasma per il suo spirito fazioso e spesso illiberale”.

Penso che ti sei ripreso in pieno – e che il tuo lavoro procede con ritmo felice… Anch’io, coi miei… imminenti 72 anni, non posso ( e non voglio) dolermi del mio stato di salute. Avrei da dolermi per qualche difficoltà di ordine economico: ma non oso, perché non sono sicuro che certi poeti ne abbiano diritto… (Sono già dei privilegiati sul piano spirituale…) […].

Sto diventando anch’io – per intervento di non so chi… – collaboratore della Enciclopedia Vallardi (voci francesi). Non è un lavoro che mi entusiasma ma servirà a farmi guadagnare qualche soldo e a mantenermi allenato nella mia qualità di amatore di certi settori della letteratura francese.

Quanto alla poesia, non vorrei che tu credessi che la ho piantata… Un vero poeta non va mai in pensione – intendo come e in quanto poeta…

Non dispero di fare una “gita” a Roma quando mi sarò liberato di certi impegni e che avrò qualche soldo. Ti porterò un poco di olio, di quello della mia terra, non meno buono di quello di mio genero… Ma ha un altro sapore…

Nel 1965 i due amici si incontrano a Bari e Comi, qualche giorno dopo, ringrazia Bocelli della visita resagli:

            Caro Bocelli ho aspettato di avere 75 anni (… oggi …)- per ringraziarti dal profondo del cuore di essere arrivato, di essere venuto fino a Bari il 13 c…

            Sei stato caro e generoso come sempre: e tu sai quale e quanto bene mi faccia sentire la presenza di qualche amico antico che non ha perduto il senso dell’amicizia e dell’amore. Non dispero di renderti la visita. Fui molto, molto contento di sentire, di vedere al mio tavolo i miei amici più cari, immutati spiritualmente. Ricordami a Tecchi, se lo vedi: voglio tanto bene anche a lui. E vi abbraccio tutti. (Lett. del 23 novembre 1965).

            Al 1968, l’anno della morte, risale invece l’ultima lettera del poeta, ancora vitale nonostante i malanni che lo affliggevano:

            Caro Bocelli, da molto tempo non so nulla di te, né se hai ricevuto il mio ultimo libro (essenzialissimo…) “Fra Lacrime e Preghiere” e il 13° fascicolo de L’Albero.

            Se non li hai ricevuti, te li farò rispedire. (Ma fatti in qualche modo vivo…) Non perché tu segnali la mia attività ai tuoi lettori ma perché tu esprima (come hai fatto sempre) il tuo giudizio critico sul mio “Lavoro”.

            Grazie.

                Pensa che ho 77 anni e che non mi arrendo ancora ai malanni che m’insidiano, ultimo disfunzioni cardiache e arteriosclerosi cronica.

            Mi batto e ribatto da vari mesi per mantenere desta almeno quella gioventù spirituale che è la mia unica difesa e corazza in vista dell’immortalità.

            Fatti comunque vivo: dimmi in quale foglio collabori – come stai e se ti sei deciso a credere nell’immortalità dell’anima ecc.

            Ti rivedrei tanto volentieri ma dovresti arrivare fin qui, tu che sei tanto più giovane di me.

            Ieri c’è stato Gatto con altri amici. Io non mi muovo perché non ho mezzi e perché non saprei da chi farmi ospitare a Roma… Mia figlia vive per conto suo obliosa del Padre. (Lett. del 5 febbraio 1968).

                Con questa commovente lettera Comi si congeda in un certo senso dall’amico. Solo la sua morte, in fondo, mette fine a un rapporto durato quasi quarant’anni, che iniziato per un’occasione puramente letteraria era maturato col tempo fino a diventare un sodalizio molto importante per entrambi anche dal lato umano.

[In A.L. Giannone, Tra Sud ed Europa. Studi sul Novecento letterario italiano, Lecce, Milella, 2013]


[1] Spesso in questi anni le lettere di saluti e auguri di Comi contengono la firma di altri letterati amici e suoi ospiti, quali: Rosario Assunto e Luciano Anceschi (4 gennaio 1951); Bonaventura Tecchi, Giuseppe Ungaretti e Francesco Gabrieli, in occasione di un’edizione del Premio Salento (30 ottobre 1954); Luigi Russo (17 novembre 1959).

[2] A. BOCELLI, Spirito d’Armonia, in “Il Mondo”, 10 agosto 1954. Questo articolo, col titolo Poesia di Girolamo Comi, venne ripubblicato in “La Fiera letteraria”, 10 ottobre 1954.

[3] Ibid.

[4] A. BOCELLI, Due poeti, in “Il Mondo”, 27 marzo 1956.

[5] Ibid.

[6] A. BOCELLI, Canto per Eva, in “Il Mondo”, 11 novembre 1958.

[7] Ibid.

[8] A. BOCELLI, Poesia di Comi, Prefazione a G. COMI, Sonetti e poesie, a cura di V. Vettori, Milano, Casa editrice Ceschina, 1960, p. 9. Questo scritto venne pubblicato, in forma di recensione,  in  “Il Mondo”, 19 luglio 1960 e poi in A. BOCELLI, Letteratura del Novecento, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia, 1975, pp. 264-269.

Questa voce è stata pubblicata in Letteratura, Scritti letterari di Antonio Lucio Giannone e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *