Catherine Morland, una giovane ragazza di campagna e assidua lettrice di romanzi gotici, si ritrova a trascorrere un periodo in villeggiatura a Bath insieme agli Allen. Qui, tra passeggiate e banchetti, si rende conto di come le persone dell’alta società, fatta di apparenze, trascorrono le giornate. Sempre qui conosce la famiglia dei Thorpe, diventando amica di Isabella, e quella dei Tilney ed è proprio di Henry Tilney che si innamora a prima vista. Il padre di Henry, credendola benestante, invita la ragazza nell’abbazia dove la famiglia risiede. L’imponenza e il mistero dell’edificio impressionano la giovane Catherine che, a causa della sua fervida immaginazione, inizia a pensare ad ogni sorta di mistero, anche se, ogni volta, le sue fantasiose teorie vengono smentite da una banalissima realtà. Il padre del ragazzo, dopo aver scoperto che la famiglia di Catherine non è tanto benestante, fa interrompere la relazione dei due, che però alla fine si ritrovano. Il linguaggio della scrittrice, semplice, lineare e intriso di ironia, è l’unica caratteristica tipica dei romanzi ottocenteschi; numerosi sono i dialoghi, resi attraverso il discorso diretto e l’utilizzo dello stile epistolare.
La protagonista è descritta dall’autrice nelle prime pagine come un’antieroina, ma il lettore si accorgerà che la ragazza è in grado di assumere una dignità e consapevolezza di sé che fanno di lei una vera, semplice eroina del quotidiano. Giunta alla conclusione che «non era forse in quei libri [i romanzi gotici] che andava cercata la realtà della natura umana, o quanto meno non nelle contee del centro dell’Inghilterra» (p. 204), il matrimonio con Henry Tilney realizza un equilibrio tra fantasia e realtà. Il lieto fine esprime, quindi, l’equilibrio tra ragione e sentimento, una restaurazione dell’ordine raggiunta con una completezza che non appartiene agli altri romanzi.
[Recensione a Jane Austen, Northanger Abbey, a cura di Anna Luisa Zazo, Milano,Mondadori,2016, pp. 263, €10.00 – ISBN 978-88-04-67145-9]