Il desiderio di conoscere oltre i limiti dell’umano

Così viene da pensare che un giorno l’universo non avrà più segreti, che l’uomo e la sua tecnologia riusciranno a violare ogni limite, a sfondare ogni confine, ad arrivare alla luce indescrivibile, impensabile, da cui tutto ha avuto origine, oppure allo scuro indescrivibile, impensabile, da cui tutto ha avuto origine. Viene da pensare che un giorno l’uomo e la sua scienza, riusciranno a scoprire il fiato del principio, il sibilo potentissimo, le vibrazioni di energia, l’ordine meraviglioso o il caos ugualmente meraviglioso, l’esplosione o il silenzio da cui ogni cosa e ogni essere sono stati generati,  il pensiero che contiene ogni possibile pensiero. Viene da pensare che l’uomo e la sua scienza e la sua tecnologia riusciranno a conoscere l’inconoscibile. A conoscere Dio. Ma l’uomo della strada si chiede semplicemente, innocentemente, non solo se è vero che l’essere mortale si stia sempre di più avvicinando alla conoscenza di Dio, ma anche se il rendersi prossimo alla conoscenza di Dio – o solo considerare la possibilità di questa conoscenza ultima e assoluta – possa rendere l’uomo più felice o meno infelice, oppure se lo lascia tale e quale a come è sempre stato: con le felicità e il loro contrario.

Scriveva Pascal in uno dei suoi pensieri: “Se un Dio c’è “è infinitamente incomprensibile, perché non avendo né parti né limiti, non è a noi rapportabile. Dunque noi non siamo capaci di conoscere né ciò che è né se egli è. Chi tenterà dunque di risolvere tale questione? Non certo noi che non abbiamo alcun termine di rapporto con lui”.

Però c’è chi dice che per conoscere Dio non c’è alcun bisogno di scienza e tecnologia: basta soltanto riflettere un istante sull’esistenza, o più semplicemente guardarsi intorno e chiedersi il motivo dell’armonia e della disarmonia, dell’equilibrio e dello squilibrio dei fenomeni e delle cose. Probabilmente aveva ragione Louis Pasteur quando diceva che poca scienza allontana da Dio ma molta scienza riconduce a Lui. 

In una pagina del “Mondo come io lo vedo”, Einstein sosteneva che il sentimento religioso dello scienziato prende la forma di uno stupore rapito davanti all’armonia della legge naturale, che rivela un’intelligenza di tale superiorità, che, al confronto, tutto il pensiero e l’agire sistematici degli esseri umani sono un riflesso assolutamente insignificante. Ed è questo sentimento a costituire il principio guida della vita e del lavoro dello scienziato, nella misura in cui lui riesce a trattenersi dai vincoli del desiderio egoista.

Forse un giorno la scienza sarà in grado di rivelare il senso del Tutto, di decifrare i codici di Dio, di stringere in una formula l’infinito e l’eterno. Allora, a quel punto, da quel giorno, non ci sarà più ragione nè possibilità di scienza. Perché la scienza ha senso e funzione fin quando c’è qualcosa da scoprire oltre e altrove, fin quando perdura un mistero, un’incognita, un interrogativo. Probabilmente la scienza trova la sua motivazione nel desiderio di raggiungere quell’oltre e quell’altrove, di ridurre o abolire la distanza tra l’umano e il sovrumano, di sfidare l’inconoscibile, di giungere fino all’irraggiungibile, di scandagliare l’insondabile, violare l’arcano, rappresentare con figure l’infigurabile.

Molte scoperte potranno venire  da James Webb, come sono venute da altri strumenti impiegati precedentemente e come verranno da quelli che saranno impiegati in futuro. Ma le scoperte che verranno non consumeranno il desiderio di conoscenza, come non lo hanno consumato quelle che sono venute. Anzi, lo faranno più forte, più intenso. Perché ogni conoscenza richiede, pretende, di essere superata. Oltre quella galassia che James Webb probabilmente ha individuato, ce ne sarà un’altra e poi un’altra ancora e un’altra. Ogni rivelazione di mistero farà supporre, inevitabilmente, l’esistenza di un altro mistero, di  nuovi corpi di luce, nuove stelle, nuove traiettorie, altri pianeti che rassomiglieranno alla Terra oppure no, e ci chiederemo, ogni volta, se qualcuno abita quei mondi, e queste domande muoveranno il desiderio di un’altra rivelazione. Ogni volta si dovrà ammettere che ha ragione  l’Amleto di Shakespeare quando dice: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia”.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 24 luglio 2022]

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