In principio era la grotta

di Francesco D’Andria

La grotta del cavallo a Porto Selvaggio.

C’erano una volta, in Puglia, le “cripte basiliane”. Durante tutto il Medioevo, nelle gravine e lungo i pianori calcarei, le cavità, scavate dalla mano dell’uomo, erano decorate da pitture di stile bizantino, figure raffinate di angeli e santi che sembravano in contrasto con il selvaggio contesto geologico e naturale. Anche per questo furono attribuite all’opera di monaci orientali, eremiti legati alla figura taumaturgica di S. Basilio, vescovo, nel IV secolo, di Cesarea in Cappadocia (l’attuale città turca di Kayseri). Poi, negli anni sessanta del secolo scorso, grazie ad un nuovo approccio storiografico, promosso da Cosimo Damiano Fonseca, ed all’opera di valorizzazione del Circolo “La Scaletta” di Matera, si capì che quelle “cripte” erano soltanto una parte di veri e propri abitati, dei quali esse costituivano i luoghi di culto. Il paesaggio delle gravine, come a Massafra, era dunque testimonianza di una modalità diversa di insediamento, in armonia con le risorse dell’ambiente naturale, e fu coniata la felice espressione di Civiltà rupestre. Ora, con il Convegno della Fondazione San Domenico, Fonseca propone di leggere il fenomeno dell’abitare in grotta in una dimensione diacronica più ampia, e con un approccio antropologico che permetta di risalire alle origini dell”uomo delle caverne”, come avevamo imparato a definirlo nei primi anni di scuola.

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