In aure melos: d’una sympatica melodia per continuamente curarsi. Il Tarantismo, fra gesuiti, impostori e commedianti

di Francesco Frisullo – Paolo Vincenti

     Un testo del 1661 mai fino ad ora studiato né citato sul tarantismo, vale a dire su quel complesso fenomeno storico, medico, antropologico, etnico e musicologico su cui nei secoli è stata prodotta una corposa bibliografia scientifica. Il testo, che fa un chiaro riferimento al tarantismo pugliese, è il Pregio XXV ammirabile il santissimo nome di GIESU, come melodia d’ogni harmonia all’orecchio, opera del gesuita milanese Ortensio Pallavicino tratto da I PREGI MARAVIGLIOSI DEL SANTISSIMO NOME[1]. Rosario Quaranta, nel suo saggio La tarantola nella predicazione sacra (secoli XVII – XVIII)[2], affronta il tema del tarantismo o tarantolismo nella predicazione sacra. In particolare l’autore propone alcuni testi tratti dalle opere di quattro famosi predicatori dei secoli XVII-XVIII. Di Caspar Knittel (Glatz/Klodzko 1644-Telc 1702), gesuita boemo, famoso predicatore, matematico e filosofo, propone l’opera Conciones Academicae in precipua totius anni festa[3], ovvero “Discorsi accademici per le principali feste di tutto l’anno”, stampato postumo nel 1718 a Praga. «Abbiamo ritrovato, con nostra grande meraviglia», scrive l’autore, «un discorso dedicato alla “Festa della Visitazione della Beata Vergine Maria” in cui egli si serve con disinvolta arguzia (ma non sappiamo con quanta efficacia da un punto di vista spirituale e pastorale) appunto della nostra Tarantola per costruire un discorso strabiliante rivolto “a sollievo e a utile diletto per tutti gli amanti della parola di Dio” e specialmente alla prima nobiltà e a tutti gli Accademici che si riunivano per ascoltarlo nell’Auditorium»[4]. Secondo Knittel, la Tarantola è «il Peccato Originale, anzi ogni peccato mortale, perché, come afferma San Giovanni Crisostomo “il peccato lascia nell’anima un veleno”»[5].

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