Inchiostri 114. I solchi di Raoul Ubac

di Antonio Devicienti

Solchi: nelle incisioni, nelle litografie, nelle sculture che Ubac realizza.
Solchi, appunto: linee parallele, tracciate secondo musicali variazioni, andanze del pensiero, emersione allo sguardo delle direzioni che la materia lavorata assume se il pensiero interviene e crea.
Solchi e ardesia, ché l’artista predilige, tra le altre, questa pietra, splendida materia per coprire tetti o creare pavimentazioni. Crea anche stampe da matrici di ardesia.
Scrive André Frénaud, dedicando i suoi versi a Ubac:

DIEUDONNÉ
ou
LES TRACES

Semailles et blessures, ornières et sillons,
les raies de la lumière ou les rides des morts
sur l’homme et sur le sol,
mêmes traces de l’affrontement multiple,
va-et-vient de l’agonique primordial

(in Nul ne s’égare précédé de Hæres, Gallimard, Paris 2006, p. 139)

DIEUDONNÉ
ovvero
LE TRACCE

Semine e ferite, incisioni e solchi,
le righe della luce o le rughe dei morti
sull’uomo e sul suolo,
stesse tracce dello scontro multiplo,
andirivieni dell’agonico primordiale.

(Dieudonné è la località nell’Oise dove Ubac acquistò, nel 1958, una casa che divenne il suo studio, meta di artisti e di intellettuali e questi versi di Frénaud appartengono alla raccolta Alentour de la montagne, un gruppo di poesie che sarà pubblicato insieme con le stampe di Ubac nel 1980).

Questa voce è stata pubblicata in Inchiostri di Antonio Devicienti e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *