Sul Carteggio (1859-1874) tra Gino Capponi e Niccolò Tommaseo

di Antonio Lucio Giannone

Il Carteggio (1859-1874) tra Gino Capponi e Niccolò Tommaseo, a cura di Simone Magherini, Firenze, Le Monnier Università, 2022, ha una lunga storia alle spalle che ha avuto inizio più di un secolo fa.  Come chiarisce infatti nella Premessa il curatore, Simone Magherini, esso completa la pubblicazione dell’imponente Carteggio tra Gino Capponi e Niccolò Tommaseo che attesta “un intenso sodalizio intellettuale” tra i due. Di quest’opera, tra il 1911 e il 1933, uscirono i primi quattro volumi (il quarto in due tomi), curati da Isidoro Del Lungo e Paolo Prunas. Quest’ultimo avrebbe dovuto portare a termine il piano editoriale dopo la morte del primo, ma forse a causa di contrasti con l’editore Zanichelli il quinto volume non vide mai la luce.

Si tratta in tutto di centotrentadue lettere (cinquantacinque di Capponi e settantasette di Tommaseo, alle quali devono aggiungersi ventisette senza data poste nelle due Appendici), che “due indiscussi protagonisti della civiltà letteraria risorgimentale” si scambiarono tra il 1859 e il 1874, cioè nel periodo trascorso da Tommaseo a Firenze, che coincide anche con l’ultimo della sua vita. Le missive, ricche di dotte locuzioni latine e di citazioni letterarie, che vanno da Ovidio a Tibullo, da Dante a Petrarca, coprono un arco di tempo decisivo per le sorti d’Italia, che nel 1861 raggiunge l’Unità. E infatti nel Carteggio ci sono alcuni accenni alle vicende storiche di quegli anni: il plebiscito che sancì l’annessione del Granducato di Toscana al Regno di Sardegna, svoltosi l’11 e 12 marzo 1860; il trasferimento della capitale da Torino a Firenze (1864); l’occupazione di Civitavecchia da parte delle truppe italiane che prelude alla breccia di Porta Pia (1870).

 Ma nel complesso, a prevalere nettamente sono gli argomenti di carattere linguistico, letterario, filosofico che costituivano d’altra parte gli interessi principali dei due corrispondenti. Tommaseo, ad esempio, che in questo periodo lavora alla compilazione del famoso Dizionario della lingua italiana, in una lettera del 26 settembre 1869 fa una lunga disquisizione sulla costruzione del verbo con il “si” impersonale  “che – scrive ‒ grammaticalmente corrisponde in qualche maniera al medio e al deponente de’ Greci e de’ Latini”. Nella stessa lettera definisce acutamente  l’Italia dal punto di vista linguistico “una nebulosa in via di formazione, inanis et vacua”.

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