In memoria di Padre Rosario

Quando rifece l’arredamento del Cinema Padre Rosario mi regalò una fila di poltroncine di legno. Con le gomme da masticare attaccate sotto alle sedute a ribalta! Poi il Museo fu trasferito a Sava, e Padre Rosario lo seguì. Gli diedi una mano anche in quell’occasione, e mi invitò varie volte a parlare ai suoi fedeli che, inutile dirlo, lo adoravano. Poi cominciò a stare poco bene. Una Pasqua la passai con lui a Manduria, in un bellissimo convento abitato da tre frati. E poi lo mandarono a Leverano, in una casa di riposo per vecchi frati. Ci telefonavamo e quando potevo lo andavo a trovare. Bronchite che non passava mai, enfisema. Padre Rosario stava a letto, con una bombola di ossigeno al fianco. Ma era sempre lo stesso. Allegro, vivace, arguto. Una delle persone più belle che io abbia incontrato, e oramai posso dire di averne incontrate tantissime, dai principi (due Principi di Monaco: Ranieri e Alberto II), alle rockstar (Frank Zappa), agli indigeni della Papuasia. Ho conosciuto Premi Nobel (quattro) e pescatori. Ma la grandezza umile di Padre Rosario non riesco a ritrovarla da nessuna parte. Forse nel mio amico pescatore Giuseppe, di Porto Cesareo. Natale per me non è Natale se non sento i miei amici Giuseppe, il pescatore, e Rosario, il frate. Di solito sono loro a telefonarmi, battendomi sul tempo. Quest’anno, come al solito, mi telefona Giuseppe. Illuminandomi la giornata. Ora frego Padre Rosario, mi dico. Lo chiamo io prima che sia lui a chiamare me; il suo cellulare non risponde. Lo chiamo ventisei volte. Poi cerco il numero del posto dove sta. Mi risponde il priore. Padre Rosario è in coma. Ieri pensavamo di perderlo. E così il giorno di Natale, con la mia (e sua) amica Valeria e mia figlia Gaia andiamo a Leverano. Gli portiamo due panettoni e una cesta di frutta. Per gli altri frati e per le persone che si prendono cura di lui. Non durerà molto, mi dicono. Dovrei stare con lui, stargli vicino fino all’ultimo momento. Tenergli la mano. Parlargli anche se non mi sente. Lui ha passato la vita a consolare chi andava da lui a confidarsi. In tanti mi hanno raccontato quanto abbia fatto per loro. Apre gli occhi, mi vede, e alza una mano per benedirmi. Gli prendo la mano e la stringe. Quasi sorride. Vorrebbe parlare, dire che sta bene, che gli passerà. Ma non ce la fa. Capisco che non gli fa bene vedermi, si agita. Ce ne andiamo. Stamattina, Santo Stefano, mi telefona Anna. Padre Rosario è morto stanotte, la notte del giorno di Natale. Una volta, attraversando la chiesa di Fulgenzio, affrescata da un frate come lui, ci ritroviamo nel bel mezzo di un funerale, e il frate officiante parla dell’al di là, dove il defunto continuerà ad esistere. Chissà se è vero… mi dice. Però dà tanto conforto a chi resta. Quando le strutture che gestiva Padre Rosario a Lecce se ne andarono (come il Museo di Storia Naturale) o chiusero (come il cinema) quasi nessuno se ne accorse. E forse nessuno si accorgerà che anche Padre Rosario se n’è andato. I frati sono così, non si mettono mica in mostra. Ho scritto questo articolo come antidoto al senso di vuoto per la perdita di un amico prezioso e anche per informare chi lo ha conosciuto, perché temo che non ci saranno grandi commemorazioni. 

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