Via Bronzetti, al 3

di Antonio Prete


Amos Cassioli, “Dante e Casella”, 1860 circa. Siena – Alinari

Foglie su foglie nelle strade dell’ autunno.

È questa, non più questa, la via, questo il numero.

“Come il tempo sfrangiò le postille”,

una voce sospira dal divano marrone

mimando un recitativo d’opera.

.

 “Gli anni sono un ventaglio sdrucito”,

le rispondo non so come nella mente.

“Come accadde”, dice ancora la voce, “che presto

l’uno all’altra ci perdemmo,                                      

e  d’aria furono i corpi nell’abbraccio?”.

.

Foglie su foglie nelle strade di Milano,

entrano amici dalla porta che è sul piano

rialzato, il gatto rosso dalla finestra

della cucina balza nel cortile,

si affollano voci, “sei tu che manchi”,

sussurrano dall’ombra, “sei  tu

che non ritorni nemmeno nel ricordo”.

Poi si perdono le voci sopra le foglie

che fanno tappeto ai pensieri.

.

In alto, una nuvola  che cerca la sua forma.

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Orientamento in Biblioteca – Galatina, 19-20 marzo 2024

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Noterellando… Costume e malcostume 1. L’Anno zero dell’Era Cafona

[Il 6 marzo 2024 Antonio Mele, in arte Melanton, ci ha lasciato. Credo che il modo migliore per ricordarlo sia ripubblicare in questo sito i suoi articoli, o almeno quelli che l’amico mi ha affidato man mano che veniva pubblicandoli nelle pagine de “Il Galatino” tra il 2014 e il 2016. (G.V.)]

di Antonio Mele / Melanton

            Va in archivio un’altra memorabile stagione estiva per il Salento, da anni ormai riconosciuto come terra delle vacanze, del mare, del sole, della musica, della movida, del buon cibo, della gioia di vivere, e chi più ne ha più ne aggiunga.

            Capitale di questo autentico ‘polo delle meraviglie’ è stata ancora una volta Gallipoli. La città bella per antonomasia.

            Bella. Ma anche sporca. Spesso terribilmente sudicia – specialmente nelle due settimane a cavallo di ferragosto -, tanto da aver risvegliato l’orgoglio personale e il senso di dignità nei propri cittadini, corsi (finalmente!) a insorgere in Municipio, per chiedere un argine allo stato indecoroso di strade, spiagge, lungomari, arenili…

            «Giovedì 21 agosto – si legge sul sito de La Stampa di Torino – oltre 300 gallipolini hanno manifestato sotto il Palazzo di Città in concomitanza con la seduta del Consiglio comunale per protestare contro il governo cittadino considerato responsabile di aver permesso il degrado. La manifestazione è stata organizzata dal “Comitato cittadino di liberazione” nato spontaneamente sul web in questi giorni, in risposta all’invasione di migliaia di giovani turisti, fotografati mentre urinano o vomitano per strada, mentre dormono sui marciapiedi o negli accessi privati. Le foto ritraggono le spiagge libere trasformate in campeggi abusivi e i cumuli di rifiuti disseminati un po’ ovunque…».     

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Nozze

di Gianluca Virgilio

Iam illic repositorium cum placentis aliquot erat positum,

quod medium Priapus a pistore factus tenebat…

Vi era già posto un trofeo da tavola pieno di

torte in mezzo a cui si ergeva un gran Priapo…

Petronio, Satyricon 60.

Vieni a lamentarti con me perché si deve sposare tuo figlio e non hai i soldi per il matrimonio? Dici che devi fare un mutuo? Come ti capisco! Fra qualche anno toccherà anche a me, che per fortuna ho figlie ancora piuttosto giovani. Però sappi che un mutuo io non lo faccio, perché non ho intenzione di far debiti per dar da mangiare a parenti e amici, che poi, finita la festa, chi s’è visto s’è visto… Ma come, mi dici, non dovrei pagare il matrimonio a mio figlio, per una volta che si sposa? Obietto: che si sposi una sola volta, è dubbio, ma ammettiamo che sia come dici, pagaglielo pure questo matrimonio, ma senza far abbuffare la gente e soprattutto senza buttar via i soldi. Che ne sai, mi risponde, ho visitato molti ristoranti per avere dei preventivi e… non ti dico… i ristoratori hanno fatto a gara nel propormi l’angolo delle mozzarelle prodotte  sul momento da un prestigiatore vestito di bianco, la cascata di prosciutto, la fontana di salumi e quella di formaggi, l’angolo dei frutti di mare con tanto di pescatore che apre le ostriche su una piccola paranza,  e poi gli antipasti e i primi e i secondi e i dolci, metri di tavole imbandite con dolci d’ogni tipo. E vini e spumanti…; lasciate fare a noi, mi hanno detto, ché non vi troverete scontenti: vi prepareremo una torta nuziale a cinque piani, che non dimenticherete… E mentre il ristoratore mi parlava, pensavo: sì, sicuro che non dimenticherò nulla, ma tutto questo chi lo paga?

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Manco p’a capa 189. Riscriviamo l’articolo 3 della Costituzione

di Ferdinando Boero

Inorriditi dalle leggi razziali e dal razzismo, tendiamo a ritenere che le razze siano un costrutto culturale che non corrisponde a realtà: siamo tutti uguali. L’Istituto Superiore di Sanità nega la validità della parola “razza” riferita agli umani, e parla invece di etnie o di popolazioni. A questo punto dovremmo cambiare l’articolo 3 della Costituzione, che dice: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
La Costituzione riconosce l’esistenza delle razze. Un riferimento dovuto, ovviamente, all’onta per le leggi razziali, in cui si stabiliva che non tutti fossero uguali davanti alla legge.

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Inchiostri 109. Leggendo Cristina Annino

di Antonio Devicienti

Cristina Annino (da Chanson turca, LietoColle, Faloppio 2012, pag. 20).

Concentrazione guardando Hopper

Corre vento tra
loro due, nel silenzio ch’è
l’udito maggiore. Si sente
le mani infinite già dentro
lo spirito. Così ascolta
nell’aria le mosche – basta
un paio – spaccare in volo
la trave. Per teoria del corpo
innalza il viso a quel
tronco docente di
dolore, lo mastica (ci sa
fare perdio) con gote di
grazia orrenda o legna
di camino un focaio.

La poesia antilirica di Cristina Annino, così determinata a fare i conti sia con la lingua usurata e colloquiale del sermo cotidianus sia con l’insospettabile capacità di metamorfosi e d’illimitata inventività della stessa, trova in un artista come Edward Hopper un interlocutore privilegiato.

Nel caso qui citato l’impressione è che siamo davanti a un’ékphrasis la quale sembra proporsi come eco di suggestioni hopperiane.

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Gaetano Minafra, Opere grafiche 25. Ritratto di bambino capriccioso

Matita, 2010, cm. 30 x 35.
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L’epatire delta: eziologia, profilassi, cura

di Rocco Orlando


Struttura del virus delta

Riassunto

L’epatite da virus D (HDV) è una malattia rara, ma altrettanto grave con  maggiore evoluzione verso la cirrosi e l’epatocarcinoma (HCC). Ll virus da solo  non può moltiplicarsi ed ha bisogno del virus B (HBV). Non c’è il D senza il B.  Il virus D funge come acceleratore verso le complicanze. La vaccinazione  contro il virus B in Italia ha quasi azzerato l’infezione da HDV. Viene riportata  il quadro epidemiologico del HDV, la sintomatologia, la diagnosi, la terapia  attuale, la profilassi. Importante è lo screening del paziente positivo HBV per  scoprire se in esso è latente anche il virus D. Se positivo va inviato ai centri di  cura.

***

 L’epatite delta (HDV) è la meno conosciuta tra tutte le epatiti virali che  colpiscono il fegato, ma è anche la più severa perché progredisce con una  velocità dieci volte maggiore delle altre epatiti virali. 

 Il virus venne scoperto nel 1977 nel fegato e nel siero di un paziente con  epatite cronica positiva per l’antigene di superficie HBs Ag dell’epatite B. Il  merito è di Mario Rizzetto, professore onorario di Gastroenterologia  dell’Università degli studi di Torino. Inizialmente era considerato un  epifenomeno dell’epatite B con la quale era associato, ma studi successivi  hanno dimostrato che era il componente di un nuovo virus e che dipendeva dalla  concomitante infezione da virus B (HBV). Si chiama virus dell’epatite D o  virus delta. È un virus a RNA, difettivo che colpisce i portatori di epatite B,  causando una doppia infezione con il meccanismo della co-infezione o della  sovra-infezione. Dal punto di vista clinico la doppia infezione HBV/HDV  rappresenta una delle forme più aggressive tra le epatopatie croniche evolutive,  con elevato rischio di rapida progressione dell’insufficienza epatica e di  sviluppo di cirrosi ed epatocarcinoma. Nel mondo esistono dai 10 ai 20 milioni  di persone coinvolte, e solo il 5% di quelle affette da epatite B ha anche il virus  D. In Italia le persone contagiate da HDV assommano a circa 15.000. Meno di  un paziente su due affetti da HBV viene testato per il virus delta, lasciando  un’ampia quota di sommerso; questo, insieme al fatto che la diagnosi è spesso  tardiva, lascia che il virus danneggi il fegato e che tra coloro che non sono  protetti dal vaccino contro HBV, si diffondano i contagi che possono avvenire  per via parenterale e sessuale.

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Presentazione di Piero Tafuro, Passaggi di cuore – Casarano, 16 marzo 2024

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Breve storia urbanistica di Galatina (parte seconda)

Memorie, cronaca e tracce dal secondo dopoguerra ad oggi, tra legislazione, pianificazione e abusivismo

di Rosario Scrimieri


La Masseria Colabaldi a Noha

(continuazione)

Le frazioni

Noha

La sua vicinanza con Galatina faceva pensare che, quanto prima, il suo tessuto edilizio, sociale ed economico si sarebbe congiunto e integrato con quello di Galatina stessa. A sorpresa, il piano Panella interruppe proprio la sua espansione verso il Capoluogo, sulla vecchia via comunale, appena prima della Masseria Colabaldi e programma il suo sviluppo a sud-ovest, in direzione di Aradeo e Collepasso

Collemeto

Distante dal Capoluogo circa 9 Km rimase, storicamente, più autonomo da Galatina rispetto a Noha, non solo per la distanza ma anche per la sua economia prevalentemente agricola impostata intorno alle sue numerosissime Masserie. Il Piano consolida il suo sviluppo edilizio in tutte le direzioni con al centro la Chiesa parrocchiale della madonna di Costantinopoli.

Santa Barbara

Quasi un’appendice di Collemeto, con un modesto numero di abitanti, il Piano propose un piccolo sviluppo lineare sulla strada per Copertino con baricentro piazza Andriani e modalità di edificazione uguali a quelle del Capoluogo

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Annalisa e guêpière

di Paolo Vincenti

Si è alzato negli scorsi giorni un gran polverone sulle esibizioni di Annalisa in intimo sexy e sulla parità di genere. Specie in occasione dell’8 marzo, l’ostentazione della cantante ai Billboard Women in Music a Los Angeles, dove ha vinto il premio Global Force Award, ha scatenato il furor belli di molti. Potrei dire semplicisticamente che molte delle polemiche siano state innescate da una questione di “outfit” e quindi di estetica. Molti ricorderanno che qualche anno fa vi fu una fitta polemica sul burkini, quando il Sindaco di Nizza aveva emesso un provvedimento che vietava alle donne islamiche di indossare il burka sulle spiagge della città. Alcuni davano al politico del fascista e dello xenofobo, altri lo giudicavano un eroe. Vi erano stati diversi attentati da parte dell’Isis. In spiaggia, le islamiche, si diceva, devono spogliarsi come le occidentali, non è ammesso che in nome della religione vadano così “indecentemente” coperte. Ragioni di sicurezza pubblica e questioni politiche si intrecciavano con fattori culturali, in un guazzabuglio fra l’antropologico, l’etico, il sociologico. Giustamente (a mio avviso) Alessandro Perissinotto, in un articolo pubblicato su “Il Messaggero”, intitolato Il divieto di burkini non riduce l’asservimento delle donne, scriveva: “La verità è che gli uomini di potere continuano a decidere quanti centimetri di stoffa deve avere addosso una donna per essere decente… il divieto di indossare il burkini in quanto intervento esterno ed autoritario sulla donna, non serve a ridurne l’asservimento e la espone ad un asservimento di segno opposto. Per smontare l’ideologia di asservimento non si possono imporre livelli minimi di nudità ma bisogna educare uomini e donne alla libertà di scelta, anche all’interno di un dialogo con l’islam”.

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Occhiate a San Gregorio

di Nello De Pascalis

          Il suo negozio d’articoli sportivi era punto d’incontro degli appassionati di pesca e non c’era posta, sia sull’Adriatico che sullo Ionio, o tecnica di cattura che non conoscesse a menadito quel simpatico sbruffone di Ernesto. Vendeva anche pulici e malote che traeva dagli accumuli algosi spinti a riva dalle correnti.

          Ventotto luglio, scirocco umido e ventoso. Ultimate le operazioni connesse agli esami di maturità, sentivo l’urgenza di scaricare le mie tensioni; bastava un salto da quel negozio, un cesto d’esca, e poi niente e nessuno mi avrebbe precluso ore e ore sul mare. Ernesto mi propose di andare (insieme) dalle parti di San Gregorio, a pochi chilometri da Leuca, sullo Ionio; accettai, cogliendo l’opportunità che mi si dava di conoscere una marina a me ignota. A mezzanotte e mezza  prendevamo un caffè nell’unico bar aperto d’un paesino a metà strada. Lungo il tragitto parlavamo, ovviamente, di pesca, e dopo una serie di ‘vai dritto, gira a destra’, San Gregorio mi si parò davanti: un leggero pendio, quattro case, una piazzetta (più terrazza) vista-mare coronata da alberi bassi di fronte ad un bar; sullo sfondo a sinistra, isolata, villa Filograna. Tutto qui.

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Luigi Latino, Autoritratto

2024, acrilico su tavola, cm.70 X 210.
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Nuove Segnalazioni Bibliografiche 27. “Saper stare sulla soglia”

di Gianluca Virgilio

Una giovane allieva interroga il suo maestro, gli chiede di parlargli della sua opera, della sua vita, dei suoi progetti. La differenza dell’età, che di solito appare così divisiva, è colmata da questo interrogare che invita al racconto, al ricordo, alla riflessione. L’interrogazione diventa una conversazione, il desiderio di sapere si muta in volontà di condividere un’esperienza che si intende trasmettere agli altri perché evidentemente in essa si scorge chiaramente un messaggio che non deve andare perduto.

Carla Saracino ha incontrato Antonio Prete in due tempi diversi: una prima volta nel 2006, per un’intervista che avrebbe chiuso la sua tesi di laurea; poi, sedici anni dopo, nel 2022, questa volta spinta non da un fine pratico, ma dal desiderio di continuare una conversazione solo apparentemente interrotta tanto tempo prima e che, evidentemente, richiedeva d’essere messa per iscritto a vantaggio del lettore. Da questi due incontri è nato il libro che qui segnalo: Antonio Prete, Carla Saracino, Dal tempo raccolto. Una conversazione, Fallone Editore, Taranto 2024, quarto volume della collana I labirinti concentrici.

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Una lanterna aggiunta. Romanzo 8

di Salvatore Carachino

(continuazione)

21

C’era da aspettarsi l’intenzione della compagnia di festeggiare in casa di qualcuno facendo anche mattina. Sarebbero fioriti i commenti. Ripetizione di battute del testo, forse di intere scene con variazioni personali a far montare l’allegria. Scontata la presenza dell’autore.

   «Andiamo via, Gaia, cerchiamo un bar ancora aperto. Prima che io debba rifiutare inviti. Scappiamo.»

   Quasi che la fuga equivalesse ad un annuncio.

   «Abbandoni?»

   «Ho te.»

   «In passeggiata.»

   Ormai isolati dagli ultimi gruppi in uscita dal teatro ascoltavano solo il rumore dei loro passi sul marciapiede ombreggiato dagli alti pini. La sera di ottobre tiepida e senza vento li immergeva in una leggera umidità odorosa. Dalle strade laterali ricompariva la luna, vincente sul succedersi dei lampioni. Avanzavano come se lo spazio intorno fosse ristretto, limitato, nel desiderio di raggiungere il grande, il vasto e senza confine.

   «Dove vuoi portarmi?»

   «In albergo a passare la notte.»

   «Hai anche lasciato detto quale a tua figlia?»

   «Certo. Così sentiremo cantare sotto la nostra finestra.»

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Roberto Vecchioni, tutta la vita tra il silenzio e il tuono

di Antonio  Errico                     

In un’esistenza impastata di scrittura, prima o poi viene sempre il tempo che le parole rassomigliano alle rughe, prendono la stessa natura dei dolori, hanno il sorriso delle gioie vissute, diventano come i colori delle stagioni, come i  sapori che hanno i ricordi, si fanno  esperienza bellezza passione, assorbono il ritmo  di una preghiera silenziosa, di un canto sommesso, di una speranza segreta. Così è il libro di Roberto Vecchioni che esce per Einaudi in questi giorni con il titolo  “Tra il silenzio e il tuono”. Centosettantuno pagine di vita vera, concreta. Sua. Uno sprofondamento della memoria. Un transito dentro i giorni che vengono e che vanno. Uno sguardo fiondato all’orizzonte. Tutto quello che accade intorno, che accade dentro, si strige nelle frasi, nelle parole. Non vorrei dire di che cosa parla Vecchioni in questo libro. Forse sarebbe semplice. (Forse). Forse la struttura non è complessa. (Forse). Ma ci sono libri che non sopportano sinossi. Questo libro non la sopporterebbe. Si deve leggere. Perché nel libro c’è tutto quell’uomo che ha valicato  gli ottanta, che ha visto acqua tumultuosa passare sotto i ponti,  ma che guarda ancora il mondo con lo stupore di un’infanzia, che guarda negli occhi il tempo con la razionalità fantasiosa del poeta, che si entusiasma per la bellezza delle creature, che si indigna per la bruttezza dell’ignavia, che non nasconde sotto il mantello nessun amore. Nel libro c’è l’intellettuale lucidissimo e il sognatore ad occhi  aperti e chiusi. Ci sono i suoi dolori senza rimedio e i suoi fantasmi buoni e i suoi sbalordimenti e le illusioni, le delusioni. C’è Roberto e c’è Vecchioni: uno dei migliori cantautori d’Europa, che da quarant’anni sale e scende dai palchi ma che ogni volta ha paura, anche se sa che quelle generazioni che lo stanno a sentire gli vogliono bene. Forse è proprio per questo che ha paura.

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Premessa a Dal tempo qui raccolto. Una conversazione

di Carla Saracino

Il titolo di questa conversazione è un omaggio ad Antonio Prete. È tratto da un suo verso contenuto nella silloge Tutto è sempre ora (Einaudi, 2019) e completa il senso del nostro incontro, il suo manifestarsi negli anni tra intervalli, nuove occasioni, ritrovamenti. Soprattutto, arriva dal desiderio di non porre fine a una conversazione, ovvero da quell’antica volontà di richiamarsi, dando alle parole la direzione di una traccia in cui abitare. 

Nondimeno, sintetizza bene il proposito del seguente lavoro, che è un percorso dialettico a ritroso come pure una ricerca sui temi portanti dello stato esistenziale e poetico.

Incontrai per la prima volta il professore Antonio Prete nell’estate del 2006. Mi era stato da poco assegnato l’argomento della tesi di laurea in Critica Letteraria e Letterature Comparate, presso l’Università degli Studi di Lecce. Si affacciava già alla mente quello che successivamente sarebbe diventato il titolo del lavoro di ricerca: “Ermeneutica e Pensiero Poetante negli scritti critici di Antonio Prete”. Talvolta, ai titoli spetta il privilegio del cominciamento, anche quando si stagliano all’alba di propositi non ancora avveratisi.

Per la redazione di quello studio così denso e articolato, andai a trovarlo nel suo paese natale, a Copertino, dove aveva scelto di soggiornare per qualche settimana. Ricordo il cielo chiaro del pomeriggio e un’aria di affabilità che dava luce alla casa. Mi accostavo alla sua opera critica con molta apprensione, consapevole di avere l’oneroso impegno di elaborare una estesa esperienza biobibliografica: dalla genesi del suo metodo critico all’ermeneutica aperta, interrogante, intima, capace di un atto euristico di alto spessore, di un rapporto ampio con la testualità intesa come fenomeno di richiesta di senso e come fatto conoscitivo.

A quell’incontro ne seguì un successivo. Nel frammezzo, una corrispondenza di qualche lettera e diverse email. Nell’ottobre dello stesso anno andai a trovarlo a Siena. Giorni tiepidi di inizio autunno trascoloravano nella fusione di suggestioni primaverili. Ancora, discorremmo, ci conoscemmo.

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Inchiostri 108. Leggendo Camillo Pennati

di Antonio Devicienti

Camillo Pennati (da Paesaggi del silenzio con figura, Interlinea, Novara 2012, pagg. 104 e 105).

Se l’ékphrasis non imita, ma costruisce un ponte tra l’opera di riferimento e il testo poetico, quest’ultimo, se riuscito e vivente di una propria, compiuta autonomia, conduce al più alto grado di espressività le capacità stilistiche del suo autore. Riconosciamo così subito i versi lunghi di Pennati, la loro sintassi elaboratissima e complessa, vicina al movimento ampio e articolato della sinfonia, il lessico straordinariamente ricco e la capacità di far risplendere la bellezza della lingua italiana. Il testo che segue è intessuto attorno alla pala d’altare d’una chiesa sul mare, simile alle molte che si possono ammirare lungo tutta la costa italiana eppure resa singolare dall’attenzione che il poeta vi presta:

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Gaetano Minafra, Opere grafiche 24. Innocente meraviglia

Matita, 2010, cm. 30 x 40.

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La IX Giornata mondiale della lingua ellenica

di Pietro Giannini

Si svolge anche quest’anno la Giornata mondiale della lingua ellenica, la nona. Come in passato è organizzata dall’Università del Salento (in particolare dal Dipartimento di Studi umanistici), dalla Comunità ellenica “San Nicola di Mira” di Brindisi e dall’Unione dei paesi della Grecìa salentina, con il patrocinio della Consulta Universitaria del Greco, dell’Ambasciata di Grecia a Roma, del Ministero degli Esteri greco, del Ministero della Pubblica Istruzione Ellenica, del Consolato onorario di Grecia a Brindisi.

Il tema di quest’anno è: “θάλαττα, θάλαττα. La Grecia e il mare”. Come è noto, θάλαττα, θάλαττα è il grido con cui i soldati greci, che si ritiravano dalla campagna persiana, accolsero la vista del Mar Nero dopo un lungo viaggio all’interno dell’Anatolia. Era un grido di sollievo perché prefigurava il ritorno in patria. 

Tradizionalmente la Giornata si compone di due momenti. Il primo è costituito da una seduta scientifica, che si è svolta il 4 febbraio, e nella quale hanno tenuto relazioni Paola Angeli Bernardini, dell’Università di Urbino, su “Mito e storia nei rapporti marittimi tra Grecia e Fenicia nel Mediterraneo antico”, Edoardo Bona, dell’Università di Torino, su “«Stendi la mano sul mare e dividilo» (Gen. 14, 16: il Mar Rosso negli autori cristiani greci dei primi secoli”, e Francesco Scalora, dell’Università di Padova, su “«…E nuovamente naviga nell’Egeo nelle onde così amabili tanto…». Storie di uomini, voci di mare”. I tre interventi hanno illustrato lo stato delle nostre conoscenze sul rapporto tra Greci e Fenici nell’antichità, la presenza del mare negli autori cristiani e le interpretazioni del passo della Genesi che descrive il famoso passaggio del Mar Rosso da parte degli Ebrei in fuga dall’Egitto, e infine alcuni testi di poeti greci moderni che hanno come tema il mare.

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