Gino Pisanò, Lettura della “Vita Nova” di Dante – Galatina, 22 novembre 2010

Lezione tenuta presso l’Università Popolare “Aldo Vallone”

Presentazione di Luigi Scorrano

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La mente colorata che muove pensiero e azione degli innovatori

di Antonio Errico

Ci sono quelli che scrutano l’orizzonte e quelli che concentrano lo sguardo sulle proprie scarpe.  Quelli che aprono le strade e quelli che le percorrono mettendo i piedi sulle impronte lasciate dagli altri.

Ci sono quelli che hanno un pensiero nuovo e quelli che hanno un vecchio pensiero. Quelli che cercano formule diverse e quelli che usano le solite formule. Quelli che scoprono significati nuovi e quelli che rimasticano significati consumati.

Quelli che si accontentano della solita minestra, che guardano sempre dalla solita finestra, che non osano storie nuove, parole nuove, metodi nuovi, che non leggono libri nuovi, non si incuriosiscono di teorie nuove, che per anni dicono e ridicono le stesse cose, leggono e rileggono lo stesso testo, formulano e riformulano lo stesso problema, applicano e riapplicano lo stesso procedimento, adottano e riadottano la stessa soluzione. Quelli che rinnovano le conoscenze e quelli che riusano vecchi quaderni. Quelli che vedono che il mondo cambia ogni istante e quelli che pensano che non cambi mai. Quelli che fanno ricerca e quelli che non ricercano proprio niente. 

Ci sono quelli che sperimentano e quelli che si negano a ogni sperimentazione. Quelli che fanno come Cristoforo Colombo e quelli che se ne stanno con i piedi nell’acqua del secchiello.  

Ma è stato Cristoforo Colombo a scoprire il Nuovo Mondo.  Quegli altri se ne stavano nel loro piccolo mondo antico, e lì sono rimasti.

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Sugli scogli 12. Una persona corretta

di Nello De Pascalis

          Non lo conoscevo di persona, ma ne avevo sentito parlare. Correva voce che pescasse occhiate di fronte al suo bar, in Santa Caterina di Nardò. Esagerando, qualcuno diceva che lo facesse da sopra il muretto che delimita il marciapiede, tenendo d’occhio il bar aperto. Ero stato informato del tipo di macchina che possedeva (una Renault 5, carta di zucchero), e tutte le volte che mi trovavo in zona cercavo di adocchiarla. La sua ‘fama’ era arrivata anche a Soleto, da Ernesto, che all’epoca vendeva esca e articoli sportivi.

          Un pomeriggio di settembre ero allu Vasciu e, dopo tante sfide andate a male, avevo imbroccato una corrente propizia: s’afferravano occhiate una dopo l’altra, di piccola pezzatura ma buone da friggere. Ogni tanto giravo lo sguardo verso la macchina parcheggiata sulla piazzuola. Nessuno s’era visto da quelle parti o sceso verso di me a curiosare. Ero intento a pescare in totale solitudine, quando una macchina, Renault 5, carta di zucchero appunto, s’accostò alla mia. Scese un uomo vestito normale, di bassa statura; cominciò ad osservarmi e questo m’infastidì non poco, anche se la distanza era ragguardevole. Poi si mosse, prendendo a destra verso la Dannata; uscì dal mio cono visivo, ma presto riapparve e questa volta puntò decisamente verso di me. “Salute”, disse appena giuntomi vicino, “vedo che ti stai divertendo”; fece un paio di passi e… “Pippi Filoni, piacere”. Conobbi in questo modo il pescatore di occhiate, la cui fama aveva varcato i confini della marina. Seguì una pausa in cui nessuno dei due disse una parola; poi, con fare garbato, gentile e garbato, mi chiese di poter “scendere gli attrezzi” e mettersi al mio fianco. Le furbissime occhiate vanno pescate stando da soli, ma dinanzi a quel fare educato e corretto non potetti che dirgli di sì. Risalì la scogliera, poi scese con una busta d’esca e una sola canna: l’essenziale. Continuammo a pescare entrambi sino a quando la luce non andò a morire. Nel cesto contai novantadue occhiate.

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Danilo Nobile, Sagoma II


2010. Tecnica mista su tavola. 50×70 cm. Coll. priv.
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Decontribuzione Sud e il problema della qualità dell’occupazione nel Mezzogiorno

di Guglielmo Forges Davanzati

La sospensione di “Decontribuzione Sud” da parte del Governo non è una buona notizia per il Mezzogiorno, sebbene questa misura sia essa stessa criticabile. Partiamo da questo secondo aspetto.

Il provvedimento si iscrive in una linea di politica economica che l’Italia assume da altre esperienze e deve essere, dunque, inquadrato nel contesto internazionale ed europeo.

1) La convinzione per la quale la competitività va sostenuta con sussidi alle imprese trova la sua massima realizzazione, al momento, nell’Inflation Reduction Act (IRA) statunitense; un pacchetto di stimolo fiscale di ampia portata destinato alle imprese statunitensi operanti soprattutto nel settore delle energie pulite. Questi trasferimenti si prestano a essere interpretati come strumenti di protezionismo più o meno occulto (discriminano, infatti, le imprese nazionali dalle imprese di altri Paesi concorrenti, come nel caso dell’IRA) e tendono a produrre ritorsioni da parte di Paesi concorrenti. Dunque, vi sono buone ragioni per ritenere rischiose queste politiche, dal momento che possono riflettere e, al tempo stesso, generare il rallentamento del commercio globale.

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Inchiostri 118. Sposata con il vento

di Antonio Devicienti

Sposata con il vento (e con la luce che sale dall’Adriatico dilatato spazio) Villa Sticchi si è ancorata per sempre in un sogno che non cessa e in uno spasmo di parole e d’immagini che la consacrano apparizione del genio di Carmelo.

Santa Cesarea, la strada litoranea stretta tra la discesa alle Terme e l’Albergo Palazzo, sapeva già tutto ancor prima d’iniziare: nelle stanze sotto le cupole moresche, tra la notte di temporale e la mattinata che sgrondava l’acqua dagli oleandri, la febbre salentina esperta di visioni e di danzanti deliri tendeva fino a spezzarla la fune per la fuga nell’immaginazione, altissima libertà.

Villa Sticchi a Santa Cesarea Terme.
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Gaetano Minafra, Opere grafiche 34. Delusione

2010, Matita e pastelli acquarellabili, cm. 30 X 40.
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Fié, al laghetto

di Antonio Prete

Il sentiero, il laghetto, il pontile di legno

sopra il ghiaccio, il disgelo che frantuma.

.

I torrioni dello Sciliar nel cielo.

.

Un’azzurra metafisica oppone

al rumore della storia il suono del bosco.

.

Il cane, ricordo, era sopra la lastra che s’aprì,

ti sporgevi ansioso,

ma lui già scivolava verso di te

lasciandosi afferrare.

.

Trema il riflesso della roccia, dei pini.

Più lieve ancora l’ombra dei giorni:

trascorre nel ricordo, e vanisce,

inconsistente.

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Parole, parole, parole 17. La gentile signorina di Eco e le ciane di Carducci

di Rosario Coluccia

Il tema cattura l’interesse dei lettori: nell’italiano contemporaneo si va estendendo l’uso del “tu” anche tra interlocutori che non si conoscono (o si conoscono poco) e quindi dovrebbero avere relazioni formali (commesso e cliente, venditore e acquirente, ecc.). È normale questo uso crescente del “tu”? Come va giudicato il fenomeno?  Se un barista pluritatuato  e con il codino tratta confidenzialmente con  il “tu” uno sconosciuto anziano cliente viola contemporaneamente le regole del buon senso, della buona educazione e della lingua.  A volte l’interlocutore a cui capita una simile avventura resta interdetto. Non tutti hanno la prontezza di Umberto Eco che, ad una sedicenne che lo trattava con il “tu”, replicava: «Gentile signorina, come Ella mi dice…». Facendo entrare in crisi (senza alzare di un solo decibel la voce) la malcapitata ragazza, la quale probabilmente non conosceva altro pronome personale e avrà pensato che quel signore affabile e un po’ strano veniva da un mondo sconosciuto, forse da uno di quei vecchi film che qualche volta passano in televisione. A quel punto, in difficoltà, la sedicenne chiudeva il rapidissimo dialogo con un “Buona giornata”», rinunziando al “Ciao” usato abitualmente.

Il barista del nostro esempio e la ragazza che interagiva con Eco non intendono insultare, parlano normalmente così, trasferiscono nella loro conversazione i modelli televisivi («Uomini e donne», «Amici») e i social a cui sono abituati. Senza rendersi conto che la lingua possiede anche altre forme, che bisogna saper variare a seconda dei momenti. Sintomo della perdita di memoria che caratterizza la società contemporanea: viviamo appiattiti in un eterno presente che per molti ha un solo tono, dimenticando l’importanza (e il fascino) della complessità che il passato ci consegna.

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Una lettera di … 3. Una lettera e una poesia manoscritta di Giovanni Bernardini

di Antonio Lucio Giannone

Monteroni, 18 maggio 2017

Carissimo Lucio,

ti mando quattro manoscritti che mi sembrano abbastanza significativi: Le vecchie faticano ancora (duplice copia), Udremo gridare l’autunno, la poesia per Lorca. Se un giorno avrai interesse e pazienza dovresti controllare le varianti fra i due testi di “Le vecchie…” e poi confrontarlo col testo finale in “Segni del diluvio” (già apparso sul “Campo”). Anche “Udremo gridare…” va confrontato con “Segni del diluvio” per le varianti. Fu pubblicato pure sulla rivista fiorentina “Quartiere” e in una Antologia de La Nuova Italia con una strana ed errata interpretazione del verso ”echeggianti voci in corsa di ragazzi” (vedi elenco mie pubblicazioni n. 49).

La poesia per Lorca si trova in “Emblema e metafora”, ma non credo ci siano varianti oltre quelle del manoscritto. Scusami, ma ho seguito la tua richiesta. Altrimenti non mi sarei permesso.

Superfluo ripetere che ti sono gratissimo per l’interesse da te sempre mostrato per le mie cose.

Un abbraccio affettuoso.

Giovanni

A Giovanni Bernardini (Pescara, 1923 – Monteroni di Lecce, 2020) sono stato legato da un rapporto di amicizia e di collaborazione per quasi un cinquantennio. L’avevo conosciuto già intorno alla metà degli anni Sessanta del secolo passato, quando frequentavo il Liceo-Ginnasio “G. Palmieri” di Lecce dove Giovanni insegnava e svolse anche, per un certo periodo, le funzioni di vicepreside. Poi lo rividi quando studiavo alla facoltà di Lettere dell’Ateneo salentino e scoprii la sua attività letteraria. Appena laureato, seguii la presentazione del suo secondo libro, Compare brigante (Bari, Adda, 1973), che Donato Valli tenne il 17 aprile 1973, a Lecce, presso il Centro Studi “L’Esagono”. Qualche giorno dopo Giovanni me ne diede una copia con la seguente dedica: “A Lucio Giannone | con i migliori auguri | per il suo avvenire | Giovanni Bernardini | Monteroni. |1° maggio 1973”. Del suo primo libro, invece, Provincia difficile, apparso sempre presso Adda di Bari nel 1969, mi fece omaggio un po’ di tempo dopo con quest’altra lusinghiera dedica: “A Lucio Giannone | giovane e caro amico | studioso e critico attentissimo | Giovanni Bernardini”.

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Prefazione del libro intitolato Pietro Marti e i suoi tempi. Atti dell’Incontro di Studi (Casarano di Lecce, 21 aprile 2023), a cura di Fabio D’Astore e Paolo Vincenti

di Fabio D’Astore e Paolo Vincenti

 Il 21 aprile del 2023, novant’anni dopo la scomparsa di Pietro Marti (1863-1933), il Comitato di Casarano della Società Dante Alighieri, in collaborazione con la Sezione di Lecce della Società di Storia Patria e con il Liceo Docet di Casarano, ha organizzato un Incontro di Studi intitolato Pietro Marti. Un intellettuale inquieto tra Otto e Novecento. L’evento, più che la pretesa di affrontare nel suo complesso la cospicua produzione letteraria, giornalistica, critica di Marti, aveva l’obiettivo di sottoporre a rigoroso esame critico alcuni aspetti della multiforme e prolifica attività scrittoria dell’intellettuale di Ruffano e la funzione, attiva e costante, da lui svolta nell’ambito della temperie culturale, civile e politica tra fine Ottocento e primo trentennio del Novecento: a partire da una ricognizione degli studi finora dedicati all’intellettuale di Ruffano, necessaria per cercare di emendare le non poche inesattezze contenute in tali studi e, quindi, suggerire nuove prospettive d’indagine. Nel corso dell’incontro, coordinato da Mario Spedicato, Presidente della Sezione di Lecce della Società di Storia Patria, si sono succedute le relazioni di Paolo Vincenti, Ermanno Inguscio, Alessandro Laporta, Luigi Marrella, Luigi Montonato, Lucio Giannone, Fabio D’Astore e Ennio De Simone; queste ultime due hanno riguardato rispettivamente l’attività letteraria di Luigi Marti e la produzione scientifica di Raffaele Marti, due dei numerosi fratelli di Pietro. A quest’ultimo, autore di saggi d’argomento vario, fondatore e direttore di numerose testate giornalistiche, rinomato conferenziere, impegnato docente e dirigente scolastico, instancabile promotore culturale, sono state rivolte le attenzioni degli studiosi, ai fini di una più attenta e ravvicinata rivisitazione della sua parabola esistenziale e intellettuale. Ora le relazioni di quell’incontro, seguito da un attento e folto pubblico, sono raccolte in questo volume di Atti.

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Marcello Toma, La pesca


Olio su compensato, 55×42 cm, 2024.
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Marco Leone, L’idea di Unità d’Italia nelle storie letterarie d’epoca moderna – Galatina, 18 aprile 2011

Lezione tenuta presso l’Università Popolare “Aldo Vallone”

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Al di là

di Luigi Scorrano

 Una spigolatura nell’opera di Montaigne, nei celebri e celebrati Essais, consente di soffermarsi proficuamente su osservazioni che forse senza lo stimolo della lettura di quell’opera non avremmo mai fatto. Di che cosa si tratta? È presto detto: Montaigne ci intrattiene sull’al di là. Detta così, la cosa può risultare poco attraente. Vediamo a distanza ravvicinata e intanto leggiamo un breve saggio (et pour cause!): «Noi non siamo mai in noi, siamo sempre al di là. Il timore, il desiderio, la speranza ci lanciano verso l’avvenire e ci tolgono il sentimento e la considerazione di ciò che è per intrattenerci su ciò che sarà quando appunto noi non  saremo più» (Essais, libro I, cap. III).

L’al di là, o quello che così chiamiamo e che in tanti modi fantastici si configura, è un argomento che ci fa toccare, almeno toccare, la soglia di un mondo sconosciuto ed inquietante. Ma, rassicuriamo subito il lettore, non di fare un salto in un oltremondo quale che sia ci parlano le pagine di Montaigne, ma di un di qua inquietante moderatamente. Ma, diremmo,                 che è al di qua di ogni “invito” al mistero. In questo caso, infatti, il mistero siamo noi.

Montaigne ci ricorda una situazione generale: noi siamo sempre al di là di noi stessi, continuamente protesi verso quel che sarà; affacciati, si può dire, ai balconi dell’avvenire.

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Noterellando… Costume e malcostume 8. Cave Dominum…

di Antonio Mele / Melanton

Ci avete fatto caso?…

Ma sì che ci avete fatto caso! Come si fa a non notare quella che ormai è un’autentica invasione (e fors’anche inflazione) degli “amici a quattro zampe”, soprattutto cani, cagnolini e cagnoloni?…

Siamo circondati. Essi cani (peraltro incolpevoli, poiché scontano gli eccessi dei loro padroni) sono ormai ovunque: per strada, sulle spiagge, d’inverno come d’estate, nei giardini pubblici e privati, affacciati con tanto di lingua pendula e insalivata, e digrignando i denti (canini, ovviamente) dai balconi e dai terrazzini di casa oppure dai finestrini delle automobili, dove sono messi forzosamente in mostra con una certa goduria. Le quali automobili, a loro volta – in specie nei giorni prefestivi e festivi –, guidate con magistrale nonchalance, ciondolano ostinatamente su e giù per il corso in cerca del nulla, scartando di tanto in tanto qualche avventuroso pedone, quindi lampeggiando, strombettando appena (per non disturbare il volume non proprio soft dell’autoradio di bordo), ruotando pigramente attorno alle rotatorie (…che l’hanno messe a fare, sennò?), e finalmente – qualora trovino, beninteso, uno straccio di posto libero per parcheggiare – calando alla conquista dei marciapiedi, insieme al loro cagnolino o cagnolone, che non vedeva l’ora di farla da tutte le parti.

E infatti la fa. Un po’ qua e un po’ là. Sotto lo sguardo vigile del padrone e/o della padrona che, sempre con nonchalance, ma stavolta anche con rara perizia di attori consumati, recitano la parte del perfetto non-vedente, non-udente, e non-me-ne-frega-niente. Pulire o raccogliere il bisognino? Ma che bisognino c’è, scusi?

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Intervista ad Antonio Errico in occasione della pubblicazione di Stralune, edito da Manni, 2008

di Gianluca Virgilio

Il titolo del romanzo, Stralune, è già un invito all’interpretazione. Puoi spiegare al lettore un titolo all’apparenza così bizzarro.

Stralune è il senso di un eccesso, l’oltrepassamento di una soglia dell’ordinarietà, della consuetudine. Non è la visibilità delle cose ma la visionarietà. Non è la linearità ma il garbuglio. I personaggi sono attratti  dai fondigli della coscienza. Stralune è un titolo che vorrebbe esprimere  il delirio, dare forma alla sovrabbondanza delle sensazioni e delle emozioni, tradurre l’inquietudine del pensiero, i suoi deragliamenti, i suoi stralunamenti.

Se parli di “garbuglio” io penso subito a Gadda. Ma poi leggo la parola “visionarietà”, e allora penso a Celati e una certa linea emiliana della letteratura attuale. Mi sbaglio? Ti chiedo,  in sostanza, di parlarmi per così dire dei tuoi padri letterari.

Gadda, sì, certamente. Soprattutto La cognizione del dolore. Anche Celati, soprattutto il primo. Confesso di aver letto molto anche se in modo asistematico, disordinato, orientato più dalla passione che da un progetto. I miei padri letterari sono tanti. Se dovessimo riferirci agli italiani, direi subito Consolo, Bonaviri, Bufalino, D’Arrigo, Malerba di cui ho avuto la fortuna di essere amico.  Poi indubbiamente Proust. Credo di avere stratificazioni profonde di autori meridionali, soprattutto poeti, comunque. Dante mi attrae sempre di più. Tutto il Due e Trecento mi attrae sempre di più. Ho letto tutto Pavese in un luglio e agosto, a quindici anni. Poi mai più. Un libro che amo moltissimo è  Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Robert M. Pirsig. Ho letto e leggo molta saggistica letteraria. Mi incantano Virgilio e Omero.

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Manco p’a capa 197. Una domanda per i Ministri dell’Ambiente del G7

di Ferdinando Boero

Sono a Torino, nella Reggia di Venaria, dove i Ministri dell’Ambiente dei sette paesi del G7 parlano di clima, energia e ambiente. La Fondazione Marevivo e la Fondazione Dohrn sono presenti con la mostra Only One, in una sala della Reggia: esiste un solo pianeta con caratteristiche idonee a soddisfare le nostre necessità, e lo dobbiamo tenere da conto. Per raggiungere obiettivi di sostenibilità occorre attuare l’economia circolare, evitando gli sprechi, la transizione energetica verso le rinnovabili, affrancandoci dai combustibili fossili, e la transizione alimentare, per produrre cibo in modo rispettoso dell’ambiente. Non abbiamo inventato noi questi concetti, predicati da innumerevoli dichiarazioni nei vari consessi internazionali, a cui raramente seguono i fatti. L’Unione Europea ha iniziato questo processo di transizione con la direttiva Uccelli, nel 1979, a cui hanno fatto seguito la Direttiva Habitat (1992), la Direttiva Acque (2000), la Direttiva Marina (2008), la Politica comune della Pesca (2013), la Direttiva sulla Pianificazione Spaziale Marittima (2014) e, finalmente, il Green Deal (2019), la Missione sulla Salute degli Oceani, dei Mari, delle Acque Costiere e Interne (2021), fino alla Legge sul Restauro della Natura (2022). L’Unione Europea non attende che altri paesi facciano il primo passo. Di solito, infatti, pur essendo tutti d’accordo sulla necessità di preservare il capitale naturale, tutti attendono che siano gli altri a iniziare, prima di tutto la Cina e l’India. Nell’attesa, gli obiettivi non sono raggiunti e il cambiamento climatico prosegue con conseguenze catastrofiche in campo economico e sociale. Non ci dobbiamo preoccupare per la natura: quel che le possiamo fare non può annientarla. Affronterà la sfida e troverà nuove strade, come ha fatto in occasione di cinque estinzioni di massa, ognuna preludio di un nuovo fiorire di biodiversità e di nuovi assetti degli ecosistemi. Saranno le specie dominanti a pagare il prezzo di una sesta estinzione di massa, e la specie dominante, oggi, è la nostra. Le società e le economie dipendono dal capitale naturale. Possiamo modificare la natura a nostro vantaggio, ma siamo stati troppo bravi nel farlo e stiamo deteriorando il capitale naturale che ci sostiene, sfruttandolo oltre i limiti di tollerabilità.

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I punti critici del Documento di Economia e Finanza

di Guglielmo Forges Davanzati

Il Governo rivede al ribasso le stime di crescita, nel documento di Economia e Finanza (DEF) presentato lo scorso 9 aprile. Nel 2024, il disavanzo arriverebbe al 4.3% del Pil, per ridursi al 3% e successivamente al 2.2% nel 2027. Si prevede un aumento del rapporto debito pubblico/Pil del 2.5% per il 2026. Per l’Esecutivo, questa dinamica è da imputare alle spese sostenute per gli incentivi edilizi introdotti dal Governo Conte II.

Il DEF predisposto dal Ministro Giorgetti non offre il consueto quadro programmatico di finanza pubblica, ma il solo quadro tendenziale, a legislazione vigente. È stato fatto osservare (per esempio, da Giuseppe Pisauro su LaVoce.Info) che si tratta di una prassi inedita, dal momento che qualunque Governo deve dar conto della programmazione dei suoi interventi e dei loro effetti. Questa decisione sembra essere influenzata da tre considerazioni: innanzitutto, le imminenti elezioni europee; in secondo luogo, il termine del percorso di revisione del Patto di Stabilità e Crescita (rivisto, dopo la sospensione del 2020, nel dicembre scorso, con approvazione da parte del Governo italiano) e, infine, l’elevata incertezza connessa ai conflitti in corso. Si anticipa, in tal senso, il superamento dell’appuntamento del DEF di aprile previsto dalle nuove regole europee, in vista della predisposizione con un orizzonte quadriennale di un piano strutturale tale da soddisfare il “sentiero tecnico di aggiustamento fiscale” previsto dalla Commissione europea.

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Donne di potere nell’Alto Medioevo

di Paolo Vincenti

Nel libro Donne di potere nell’Alto Medioevo. Elena-Teodora-Irene-Marozia[1], ci si occupadi quattro donne di potere, tre delle quali, Elena, Teodora e Irene, sono state fatte sante.

La domanda che si pone nella Premessa è come mai queste donne, protagoniste del volume, dalla dubbia moralità, ree di congiure di palazzo, epurazioni ed assassinii, siano potute essere santificate. Ma gli interrogativi sulle modalità di santificazione vengono facilmente fugati se si dà un’occhiata prospettica alla letteratura di settore, in parte già elencata nel volume stesso[2]. Come poi questi culti siano giunti in Italia e assorbiti anche dai nostri calendari romani, non è difficile immaginare se si tiene conto dei proficui rapporti commerciali fra le due sponde del Mediterraneo e ancor di più del profondo

scambio culturale che a cavallo del secolo Mille diventa quasi osmotico, in particolare fra l’Italia meridionale e Bisanzio[3].

Siamo a cavallo fra due mondi caratterizzati da riti e culti diversi che però con la dominazione bizantina si compenetrano fra loro. In particolare, con lo scisma del 1054, le due chiese, invece di dividersi definitivamente, si ritrovano, anche se ciò può sembrare paradossale. La cultura greca è profondamente radicata nel Meridione d’Italia e in questa sedimentazione sono da ritrovare le origini di molti culti come per esempio quello di Sant’Irene a Lecce, di San Cataldo a Taranto, di San Teodoro a Brindisi. Mario Spedicato sottolinea il ruolo centrale svolto dal mare nell’alimentare i traffici e gli scambi di varia natura fra i due mondi, quello bizantino orientale e quello latino occidentale. Anche se le varie città di Puglia, Basilicata, Calabria seguono protettorati diversi, questo, scrive Spedicato, “non oscura i segni di una presenza bizantina a lungo predominante […], segni che, per restare solo alle superstiti tracce artistiche, richiamano con pochissime eccezioni quasi sempre il culto dei santi di origine orientale, come a Lecce che si affida alla protezione della santa di Tessalonica [Irene]”[4].  A proposito della beatificazione di Elena, madre di Costantino, Teodora, moglie di Giustiniano e Irene, Imperatrice di Costantinopoli, ci si è chiesto come si possa essere giunti alla santificazione di donne e uomini di potere che certo modello di una specchiata moralità non erano. Eppure, nonostante alcuni regnanti abbiano fatto dell’intrigo, della corruzione politica e finanche del delitto la propria cifra, essi sono saliti agli onori degli altari e la chiesa occidentale ha accettato ed incluso nei propri calendari religiosi certe beatificazioni. È sicuramente una forte contraddizione, un alternarsi di intransigenza e compromessi. Del resto, «ogni processo di acculturazione necessita in realtà di questa mescolanza di rigorismo e di lassismo. Nella sua ultima opera, il filosofo Jacques Maritain si servì del concetto di “inginocchiarsi di fronte al secolo” per designare il comportamento ambiguo della Chiesa di fronte ai valori non cristiani, che rispetta fino a capitolare di fronte a loro»[5]. Se non vogliamo in questa sede riprendere una simile riflessione, ci basti d’altro canto aver instillato nel lettore, su un argomento così spinoso, la curiosità per approfondirlo.

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Danilo Nobile, L’Albero d’Oro


2000. Tecnica mista su carta. 248×127 cm. Coll. priv.
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