Avanti (o) pop! 11. Ancora sul fine vita

di Paolo Vincenti

Alla Camera finalmente è arrivato il via libera alla legge sul “fine vita”. Si tratta di una battaglia di civiltà che moltissimi, a partire dall’Associazione Luca Coscioni, stanno portando avanti. Il rischio è che la legge, dopo tanti tentativi esperiti da singoli parlamentari nel corso della legislatura, possa arenarsi ancora una volta nelle secche dell’incuria, del disinteresse e delle contrapposizioni politiche. Il rischio cioè è che la legge non arrivi nemmeno al Senato e resti lettera morta. Il testamento biologico prevede che ognuno possa stabilire come morire con un atto pubblico o scrittura privata, davanti a un notaio, pubblico ufficiale o medico, può disporre che in caso di grave e irreversibile malattia possa rifiutare i trattamenti sanitari come le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali, e il medico è tenuto ad attenersi alle disposizioni del malato terminale o di chi ne fa le veci. Il malato può sempre ritirare o modificare queste disposizioni fino all’ultimo istante. L’importante è che ci siano almeno due testimoni. E così anche il medico può rifiutarsi di eseguire le disposizioni e ne verrà chiamato un altro. Come è chiaro, non si tratta di suicidio assistito né di eutanasia, come, a mio parere, andrebbe invece fatto, perché se si tratta di libertà, essa deve essere estesa e totale. È una disposizione più morbida, diciamo, che riguarda solo la possibilità di scegliere a quali trattamenti essere o non essere sottoposti. Il DAT, così si chiama il documento firmato dal malato, può essere compilato in qualsiasi momento della vita e rimane valido fino a disposizione contraria. Ovviamente le gerarchie ecclesiastiche si oppongono a questo provvedimento e “Avvenire”, quotidiano della Cei, sta conducendo una battaglia per dimostrare che  la norma è molto contraddittoria e viola il sacrosanto diritto alla vita e punta ad “agevolare la morte a richiesta”. Ciò non mi trova per niente d’accordo, pur comprendendo, da cristiano, le ragioni che motivano la Cei e Avvenire. In altri paesi, come in Svizzera in Germania e in Spagna esiste la legge sul suicidio assistito cioè quando il malato viene aiutato a togliersi la vita con l’aiuto di un medico o sull’eutanasia passiva cioè quando più semplicemente vengono interrotte le cure. In Italia invece chissà mai se e quando ci sarà. Ma intanto sarebbe già un passo importante sul cammino dei diritti civili approvare questo provvedimento, senza ulteriori lungaggini e manfrine politiche.

Aprile 2017

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