Di mestiere faccio il linguista 20. Federico II, il Salento e la Scuola Poetica siciliana

di Rosario Coluccia

Il primo luglio 2017, alle ore 17.16, l’agenzia ANSA (ANSA.it) lancia il seguente comunicato. «È stato inaugurato a Jesi, a Palazzo Ghislieri, il “Museo Federico II Stupor Mundi”, primo grande museo multimediale dedicato alla figura dell’imperatore di Svevia, che attraverso sedici sale tematiche racconta la vita e le gesta di Federico, nato a Jesi nel 1194. L’imprenditore Gennaro Pieralisi, mecenate del museo, ha ricordato che “a Jesi nessuno si ricordava più di Federico II, finché non ho pensato ad un museo dedicato a lui. La scelta di realizzare un museo virtuale è stata dettata dalla mancanza di reperti, ma quello che poteva sembrare un punto debole si è rivelato un vantaggio, perché un museo così può essere cambiato e arricchito continuamente, rendendolo sempre nuovo e quindi quasi eterno”. “Questa giornata deve essere di stimolo per tutti noi che abbiamo ruoli istituzionali” ha osservato l’assessore regionale alla Cultura Moreno Pieroni. “Un museo nuovo significa ricreare movimento culturale, economico e turistico”».

Vediamo di capirne di più. Nel dicembre 1194 un convoglio regale scendeva a marce forzate verso il Sud d’Italia per condurre a Palermo, capitale del Regno di Sicilia, l’ereditiera al trono Costanza d’Altavilla, sposa di Enrico VI, imperatore di Germania. Il convoglio dovette fermarsi a Jesi, una piccola cittadina della marca di Ancona “indegna di accogliere una persona di sì alto lignaggio” (come dice un cronista dell’epoca), perché Costanza, incinta, cominciava a sentire le doglie che annunziavano il parto. La regina ordinò che il travaglio si svolgesse non nel palazzo del podestà (dove era stata in un primo momento accolta) ma sulla pubblica piazza, in modo che tutti i cittadini potessero assistervi. Così avvenne: in una tenda di broccardo e mussolina drizzata rapidissimamente, il 26 dicembre del 1194, nacque quello che sarebbe stato il futuro imperatore Federico II di Svevia. Faceva molto freddo. Il bimbo appena nato, avvolto in una pelle d’agnello per tenerlo al caldo, fu mostrato alla madre che lo accolse gridando: «Io vivrò», un impegno a proteggere lei stessa e il neonato.

La volontà di partorire in pubblico rispondeva a uno scopo preciso. Costanza aveva quarant’anni, per i parametri del tempo era una vecchia che non avrebbe mai potuto generare, tanto più in un matrimonio rimasto sterile per nove anni. La nascita del bambino fu vissuta come un evento miracoloso, la cui verità necessitava di testimoni scelti a caso, i cittadini di Jesi senza alcuna eccezione.

L’intera vita di Federico II si svolge all’insegna del prodigioso. È adeguato l’epiteto (non inedito) di «stupor mundi» ‘stupore del mondo’ che si affianca al nome nell’intitolazione del museo di Jesi. Rimasto orfano di padre a tre anni e di madre a quattro, fu oggetto di manovre da parte di papi e di sovrani che, controllando Federico, aspiravano a controllare il Regno di Sicilia. Il papa Innocenzo III nel 1208, quando aveva quattordici anni, lo dichiarò maggiorenne, quindi in grado di decidere autonomamente, e nel 1209 ne combinò il matrimonio con Costanza d’Aragona. Nel 1215 lo Svevo venne incoronato re dei Romani ad Aquisgrana.

Lasciata la Germania, il sovrano si stabilì nel Regno di Sicilia (isola e regioni del Mezzogiorno), che si impegnò fortemente a trasformare. Riformò i tribunali e l’amministrazione, riorganizzandone le strutture e creando nuove figure di funzionari. Emanò importantissime leggi, tra cui le Costituzioni di Melfi (1231), disegnando uno Stato organizzato e coerente che accanto agli obblighi dei sudditi prevedeva obblighi dello Stato nei confronti dei sudditi. Stimolò l’economia, intervenendo sulla struttura produttiva e rivitalizzando le città. Nel 1224 istituì a Napoli la prima università statale. Spesso ebbe contrasti accesi con il papato. Fu scomunicato nel 1227 e nel 1239, nel concilio di Lione del 1245 fu accusato di spergiuro, rottura della pace, bestemmia ed eresia. Fu in lotta con i comuni del nord Italia, conoscendo vittorie e sconfitte.

A corte confluivano le più importanti personalità della cultura del tempo, dotti ebrei, arabi e greci, non importavano il paese di origine, la lingua o l’appartenenza religiosa. Furono tradotte opere della filosofia greca e araba, redatti trattati scientifici e di matematica, opere sulla caccia e sull’allevamento dei cavalli. Nel regno si sviluppò una rete di castelli, per esigenze di controllo ma anche per favorire svaghi come la caccia. Per diretta volontà dell’imperatore un gruppo di notai, giudici, funzionari di corte diede vita alla prima esperienza collettiva di poesia della nostra storia, la Scuola Poetica siciliana, fondata a imitazione della grande tradizione provenzale.

La fine dell’imperatore sopraggiunse a Castel Fiorentino (presso Foggia), il 13 dicembre 1250. La salma fu portata a Palermo e collocata in un enorme sarcofago nella cattedrale, dove ancora si trova. Fu «il primo uomo moderno a essere salito su un trono» (J. Burckhardt), «il primo Europeo secondo il mio gusto» (F. Nietzsche). Condivido questi giudizi e come uomo del Sud rimpiango il suo regno splendente; dopo è cominciata la decadenza, contro la quale lottano le intelligenze migliori che questa terra genera.

Un figura come lui va celebrata, bene hanno fatto a Jesi esaltando con un museo la circostanza tutto sommato casuale della nascita che lega l’imperatore svevo alla città marchigiana. Non hanno altro. In Puglia abbiamo di più, molto si potrebbe fare. I castelli federiciani sono numerosi nel nord della regione. Il più noto è Castel del Monte, ve ne sono a Trani, a Barletta, a Gravina; federiciana è la cattedrale di Altamura. Castelli di età sveva sono inoltre a Brindisi e a Oria (rimaneggiato); una torre che la tradizione orale colloca in età federiciana si erge a Leverano, una costruzione fortificata d’epoca incerta è a Fulcignano, presso Galatone. Ridotta oggi a un rudere inglobato in un’azienda agricola, importantissima fu l’abbazia di San Nicola di Càsole (distrutta in séguito all’invasione turca del 1480-81), per secoli vero centro di collegamento tra Oriente e Occidente. Lì un gruppo di poeti (l’abate Nettario, Giovanni Grasso di Nardò, Nicola di Otranto, Giorgio di Gallipoli) diede vita nella prima metà del Duecento a un cenacolo poetico molto attivo: alcune poesie in greco bizantino, animate da furente spirito ghibellino, testimoniano il rapporto strettissimo di questo circolo poetico con la figura e con l’attività politica di Federico.

Questo è l’unico legame letterario reale del Salento con il grande imperatore. Non c’entra affatto con il Salento la Scuola Poetica siciliana voluta da Federico, di cui abbiamo parlato prima. Non vi sono salentini in quel gruppo di poeti, non è salentina la lingua, che è un volgare meridionale a forte impronta siciliana. Invece continuano imperterrite le attività promosse dagli animatori del «Premio Scòla Federiciana», finanziate dalla Regione Puglia e dalla Presidenza del Consiglio comunale di Lecce. Il Premio è collegato a un «movimento storico-culturale avente lo scopo di riportare le origini della Lingua Italiana in area siculo-calabro-salentina, alla corte di Federico II». Si tratta di una vera e propria sciocchezza. La Scuola Poetica siciliana si è sviluppata prima di Dante, lo sanno tutti. Ma quei testi si sono diffusi e sono stati il modello linguistico a cui si sono rifatti nei decenni successivi molti imitatori, Dante compreso, in una forma linguistica radicalmente diversa da quella originaria, sono stati “ritradotti” in toscano. Uno di quei poeti scrive: «Tutti li pinsaminti | chi ’l spirtu meu divisa | sunu pen’ e duluri | sinz’alligrar, chi nu·lli s’accumpagna; | e di manti turmenti | abundu in mala guisa, | chi ’l natural caluri | ò pirdutu, tantu ’l cor batti e lagna». La versione toscana, con cui il testo si è diffuso, è: «Tutti quei pensamenti | ca spirti mei divisa, | sono pene e dolore, | sanz’allegrar, che no gli s’acompagna; | e di tanti tormenti | abondo en mala guisa, | che ’l natural colore | tutto perdo, tanto il cor sbatte e lagna». Ha vinto un’altra lingua, il Salento non c’entra.

Non lo dico io, lo dicono studi seri e noti. Nel 2008 nei «Meridiani» di Mondadori sono apparsi, in tre grossi volumi, i testi dei «Poeti della Scuola siciliana». Tutto è spiegato lì, basta leggere. In filologia e in linguistica non è come alle elezioni, dove ognuno decide come gli pare. Nella scienza le opinioni non sono tutte uguali. Il Salento non ci fa una bella figura se con l’avallo delle istituzioni si continuano a divulgare idee fasulle.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 9 luglio 2017]

 

 

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