La scienza del mare

di Ferdinando Boero

Il 71% del pianeta Terra è coperto dagli oceani. Se però consideriamo il volume abitabile dalla vita, allora più del 90% dello spazio “vivibile” è costituito dagli oceani. Da animali terrestri, tendiamo a dimenticarcene. La comunità scientifica si sgola nel ricordare il mare, ma con scarsi risultati. Colpa nostra. Non riusciamo ad essere abbastanza convincenti.

Convincere i politici è compito dell’European Marine Board (Consiglio Europeo per il Mare) l’organo che collega la ricerca marina con i decisori europei. L’Italia è presente con il Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale, e il Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare.

Uno dei compiti del Board è delineare le priorità della ricerca marina europea con la serie Navigating the Future, già arrivata al suo quarto volume. Stiamo preparando il quinto, e ci vorrà quasi un anno per farlo, esplorando i temi emergenti, per disegnare il percorso verso una migliore comprensione dei sistemi oceanici, per non comprometterli e garantire un futuro alla nostra specie. Sulle nostre indicazioni l’UE disegnerà le sue politiche, se riusciremo a convincere i decisori. Uso il plurale perché faccio parte del gruppo di scrittura, come ho fatto parte di quello del quarto volume. 

Ci siamo riuniti a Bruxelles, per definire le priorità. Ogni membro del comitato di scrittura ha evidenziato le sue e alla fine ci siamo detti: se qualcuno ci chiedesse, individualmente, quali siano i temi più importanti, ognuno di noi darebbe una risposta differente. Mettere tutte le risposte assieme, in un lunghissimo elenco, ci indebolirebbe. Dove sono le priorità più stringenti? Fin dove arrivare nel sostenere le ricerche? Ecco perché non siamo convincenti!

Le scienze del mare comprendono fisica, chimica, geologia, biologia e ecologia, per non parlare dell’economia, e tutte sgomitano per mettersi in evidenza: un coro di voci discordanti.

La filosofia della scienza ha dato un’etichetta a questo modo di operare: riduzionismo. Si prende un fenomeno complesso e se ne riduce la complessità, analizzando le singole componenti. E la sintesi? Sappiamo che il tutto è più della somma delle parti. Abbiamo approfondito le analisi con l’esasperazione degli specialismi, e quasi non riusciamo più a comunicare tra noi.

Il quinto volume della serie Navigando il Futuro sarà dedicato proprio a questo: la sintesi. Facile a dirsi, difficilissimo a farsi. Come rappresentante del mondo universitario lo so bene: la specializzazione impera, la quantità di informazioni da fornire agli studenti è enorme, ma questo va a scapito della conoscenza. Bisogna cambiare marcia. Senza dimenticare la profondità, dovremo anche pensare all’ampiezza dei nostri approcci.

Affrontare un problema alla volta ci ha portato a generare disastri. Ogni micro-soluzione ha generato macro-problemi che ci sono capitati addosso senza preavviso. La plastica ha risolto tantissimi problemi, ma ora gli oceani ne sono pieni, e non sappiamo come toglierla. Ai tempi di Natta, che meritò il Nobel proprio per i polimeri, non lo sapevamo. Ora lo sappiamo.

Il futuro da inventare sta diventando chiaro. Sappiamo cosa fare, ma come riusciremo a farlo? Come riusciremo a far dialogare le scienze del mare per farle diventare la scienza del mare?

Ho scritto documenti di indirizzo persino per due G7. I politici apicali non li leggeranno mai. Li leggeranno i loro consiglieri diretti, che più di una pagina non leggono. Il loro compito è di condensarla in poche parole comprensibili al politico. Me lo hanno spiegato nell’ufficio di Angela Merkel. Ovviamente lei era altrove, era un suo consigliere a spiegare. Ci proveremo. Anche se la missione è apparentemente impossibile.

Intanto, alcuni “colleghi” dicono: oramai la terra è condannata: ci salveremo solo colonizzando altri pianeti. Frase breve e tragicamente convincente.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” e “Secolo XIX di mercoledì 21 febbraio 2018]

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