Migranti: la falsa narrazione della Lega

di Guglielmo Forges Davanzati

In Italia, il numero di immigrati residenti è passato da 4.5 a 5.9 milioni, dal 2009 al 2017, con un aumento del 30.9%. La gran parte di loro è residente nel nostro Paese da oltre cinque anni. Più della metà proviene da un altro Paese dell’eurozona e solo il 21% da altre aree. Nel complesso, i residenti non nati in Italia costituiscono il 10% della popolazione, a fronte del 13.3 del Regno Unito e dell’11.3% della Francia. Per la Lega di Salvini i c.d. extracomunitari (termine ambiguo, giacché includerebbe anche i migranti provenienti da Paesi ricchi, mentre lo si usa solo per chi fugge da povertà estrema e guerre) sono troppi e danneggiano innanzitutto i lavoratori italiani. L’argomento utilizzato è una variante – del tutto impropria – della teoria marxiana della sovrappopolazione relativa, la quale stabilisce che un aumento dell’offerta di lavoro riduce il potere contrattuale dei lavoratori e ne riduce conseguentemente i salari. Innanzitutto, si rileva l’aberrazione di un Marx spostato a destra: gli extracomunitari, nell’accezione di Salvini, rientrerebbero semmai nel sottoproletariato e non entrerebbero in concorrenza con i lavoratori salariati nativi; Marx prefigurava il superamento del capitalismo non il ritorno all’era della caccia alle streghe, alla barbarie.

L’argomento leghista è smentito teoricamente e fattualmente, per la gran parte dei lavoratori italiani.

Va infatti riconosciuto che i fenomeni di deindustrializzazione (globali, ma molto accentuati in Italia) hanno prodotto una rilevante compressione della domanda di lavoro qualificato e, considerando che molti immigrati sono scarsamente qualificati, va riconosciuto che per alcuni segmenti del mercato del lavoro vi è concorrenza effettiva fra immigrati e nativi. La Lega vede esclusivamente questo effetto – amplificandolo mediaticamente a dismisura rispetto alla sua reale misura – e lo propaganda come IL male per i lavoratori italiani. In ciò assumendo che, per un’assunzione di carattere morale, anche questa del tutto estranea al pensiero di Marx, sia in sé preferibile che ad essere assunti siano gli italiani. Si tace, per contro, su un assunto di carattere morale che avrebbe valenza superiore, ovvero il dovere di accogliere chi fugge da miseria estrema e guerre. Con un paradossale ribaltamento semantico, chi si riconosce in questi valori viene etichettato “buonista”: colui, cioè, che non fa i conti con gli stringenti vincoli del bilancio pubblico (che peraltro la Lega stessa intende sforare), per questa sola questione assunti come esogeni e antepone valutazioni di ordine morale a quelle economiche, più rilevanti.

Il punto in discussione è che questa narrazione è radicalmente falsa. L’immigrazione è un fattore di crescita e, al di là di specifici casi, non riduce i salari dei lavoratori italiani. In linea generale, si può osservare che le più recenti indagini empiriche mostrano che la c.d. curva di Phillips (la relazione fra tasso di disoccupazione e tasso di variazione dei salari monetari) tende, per l’Italia – in linea con i Paesi OCSE – a diventare piatta. Fuori dai tecnicismi, questo significa che un aumento dell’offerta di lavoro non ha effetti sui salari degli occupati.

L’arrivo di extracomunitari presenta numerosi vantaggi macroeconomici, fra i quali:

1) La tenuta del sistema pensionistico, come a più riprese fatto rilevare dall’INPS. Il versamento di contributi da parte di chi arriva in Italia e lavora costituisce un vantaggio dal momento che consente il pagamento di pensioni anche ai nativi.

2) Un saldo demografico positivo o almeno non negativo. È un vantaggio averlo sul piano macroeconomico, dal momento che la denatalità, come ampiamente documentato sul piano teorico ed empirico, riduce il Pil potenziale, ovvero il massimo livello di produzione che l’economia italiana può generare, date le risorse di cui dispone.

3) Maggiori consumi e dunque maggiore domanda interna, soprattutto a ragione del fatto che l’età dei migranti è relativamente giovane e in quella coorte di età (25-35 anni) si esprime una più alta propensione al consumo rispetto a quella espressa da individui più anziani.

Al di là di considerazioni economicistiche, il punto reale di discussione attiene alla dimensione morale e, dunque, alla scelta che attiene al lasciar morire nel deserto e poi in mare esseri umani per salvaguardare i salari e l’occupazione degli italiani (cosa peraltro non vera).

Va rilevato che parte della base elettorale della Lega è composta dalla gran parte di imprese italiane (prevalentemente settentrionali) che, non essendo in grado di competere innovando, ha perso rilevanti margini di profitto negli anni della crisi. Si tratta cioè delle imprese meno efficienti, quelle che non rientrano nel 10% che ha preservato i propri utili nel periodo considerato. Queste imprese hanno bisogno della svalutazione per provare a recuperare margini di profitto sui mercati internazionali (e, dunque, guardano con favore all’exit) e, per quanto attiene ai flussi migratori, non trovano conveniente un aumento dell’offerta di lavoro, dal momento che, con margini di profitto ridotti e restrizione del credito, non effettuano investimenti e, per conseguenza, non domandano lavoro. La saldatura fra la paura dell’immigrato, indotta dalla propaganda leghista, e la convenienza del capitale italiano meno competitivo può spiegare gran parte dell’aumento dei consensi alla Lega. Il problema sta nel fatto che il combinato di uscita dall’Unione Monetaria Europea (anche solo annunciato o paventato) e il duro contrasto all’immigrazione rischia di produrre esiti recessivi e di danneggiare i lavoratori stessi. Nel primo caso, per effetto dell’aumento del differenziale fra interessi sui titoli di Stato italiani e i bund tedeschi, che comporta un aumento degli interessi sui titoli del debito pubblico con conseguente aumento della tassazione (prevalentemente sul lavoro, come già implicito nella proposta della flat tax). Nel secondo caso, perché il blocco dei flussi migratori – al di là di questioni giuridiche ed etiche – riduce il tasso di crescita e per conseguenza l’occupazione. Anche degli italiani. E soprattutto dei lavoratori più poveri.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di Domenica 8 luglio 2018]

 

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