Continuità e innovazione. Il conflitto delle idee con il tempo

di Antonio Errico

Le nuove idee, le vecchie idee. Le buone idee, le idee cattive. Quelle che servono a tutto, quelle che non servono a niente. Quelle che il mondo lo fanno migliore, quelle che invece lo cambiano in peggio. Le idee giuste, le idee sbagliate, quelle alla moda, quelle d’antan, le idee nostalgiche e le progressiste, le idee originali e le patacche. Le idee dei vecchi e quelle dei giovani, quelle superflue e quelle essenziali, le idee superate e le idee stravaganti, le idee autentiche e quelle false.

Le idee. Ogni tempo ha un’idea sulle idee. Ogni tempo le giudica, le assolve, le condanna, le innalza, le sotterra, le conferma, le cambia. Ogni tempo ne avverte la sovrabbondanza o la mancanza.

Avverte il desiderio ansioso di una idea nuova, che riesca a superare tutte le altre, a resistere all’assalto di quelle che verranno, alla corrosione dei secoli, al declino culturale. Ma mentre avverte questo desiderio, mentre coltiva questa bella ambizione, si tiene stretto alla vecchia idea, perché dà sicurezza, perché nei confronti di quell’ idea prova una consapevole o inconsapevole affezione.

Forse il tempo che attraversiamo è così: proteso verso una nuova idea di cui, oltre al desiderio, sente il bisogno, eppure legato sentimentalmente ad una vecchia idea, della quale conosce i limiti e le possibilità, dalla quale sa cosa aspettarsi e cosa no, che lo richiama, lo rassicura, lo conforta. Questo tempo conosce i vizi e le virtù delle sue idee, per cui sa come tenerle sotto controllo, come governarle e assecondarle; sa come non farle sconfinare, come impedirne le esagerazioni, come non farle degenerare. Con esse si confronta, si scontra, poi si riappacifica e continua a convivere alternando entusiasmi, noie, fastidi, amore e disamore.

A volte questo tempo si allontana dalla sua vecchia idea, e poi ad essa ritorna. Rassomiglia ad un uomo che sente l’attrazione per altre storie, altri luoghi, altre esperienze, e allora esce da casa senza dire niente, oppure dice soltanto arrivo un attimo al bar, e se ne va per la città cercando qualcosa, qualcuno che gli faccia vivere storie ed esperienze nuove, ma non sa cosa cercare, chi cercare, non sa nemmeno se veramente vuole quelle storie e quelle esperienze nuove, non sa se, eventualmente, dei personaggi di quelle storie si potrebbe fidare. Allora ad un certo punto se ne torna e si accorge che, insomma, in quella casa non ci sta per niente male: anzi, che ci sta bene.

Se ne torna a casa, allora, e mentre guarda i libri negli scaffali, si rende conto che alcuni sono superati. Poi c’è una gamba del tavolo in cucina che tiene malamente. Nell’armadio ci sono giacche che non gli vanno più, camicie con il collo un po’ sdrucito, cravatte fuori moda. Nei cassetti ritrova agende con numeri di telefono di persone che una volta gli sono state care, foto, lettere che non hanno più significato, ritagli di giornale che non ricorda perché ha conservato.

Potrebbe disfarsi di tutto, certamente, recuperare un po’ di spazio, rinnovare. Già: rinnovare. Di tanto in tanto occorre rinnovare; occorre rinnovarsi. Senza dubbio.

Però se non avesse letto quei libri che ormai sono superati non avrebbe neanche quelle poche conoscenze che ha, e la gamba del tavolo in fondo si può riparare.

Però quelle giacche gli sono costate tanto, le camicie erano belle quando le ha comprate, con le cravatte faceva un figurone.

Però con le persone che avevano quei numeri ci ha trascorso al telefono intere nottate, le foto, le lettere sono universi sentimentali, quando ha conservato i ritagli di giornale pensava che gli sarebbero serviti, che un giorno o l’altro gli sarebbero serviti: che potranno servigli ancora, un giorno o l’altro.

Ma bisogna rinnovare. Di tanto in tanto bisogna rinnovare, rinnovarsi. Senza dubbio.

Così rinnova un poco il guardaroba, ma senza disfarsi di niente.

Probabilmente con le idee si verifica o si dovrebbe verificare la stessa cosa.

Probabilmente si dovrebbe assimilare idee nuove, continuamente, senza rinunciare a quelle vecchie. Si dovrebbe procedere ad una integrazione, determinare possibilità di interazione. Perché le vecchie idee servono alla comparazione ed alla verifica delle nuove, a ipotizzare i rischi che queste ultime potrebbero portare, a contenerne le esagerazioni.

Si ha l’impressione che la contemporaneità realizzi un movimento, molto spesso sapiente – quasi inaspettatamente sapiente – fra due sponde. Da una parte sono schierate le idee nuove, che aspettano di collocarsi anche sull’altra sponda. Qualche volta lo fanno con pazienza; qualche volta impazientemente.

Dall’altra sono schierate le idee vecchie, pronte a difendere strenuamente la sponda alla quale si sono affezionate.

Le idee vecchie sono innamorate degli uomini che le hanno generate. Le idee vecchie non hanno mai tradito. Anzi no: qualche volta hanno tradito; forse hanno tradito anche spesso. Ma poi si sono pentite. Sono state tristi come si è tristi quando si tradisce. Poi hanno cercato di riparare. Hanno cercato di farsi perdonare.

Sono cambiate. Sono maturate.

Le idee vecchie dicono: non vi fidate delle idee nuove ad occhi chiusi. Non vi fidate della loro bellezza. Potrebbero anche essere vuote dentro, non avere un’anima. Guardatele bene in faccia. Ascoltate quello che propongono. Valutate se le loro proposte sono compatibili con voi, se rispondono alle vostre speranze, ai vostri progetti, ai bisogni che avete, a quello che sognate.

Le idee vecchie dicono: siamo state nuove anche noi, una volta. Siamo state belle anche noi. Un po’ vi abbiamo sedotti; un po’ vi abbiamo convinti. Vi siamo servite, ve ne siete serviti. Avete imparato a distinguere quelle che tra noi erano di una bellezza vera e di una bellezza falsa. Ormai avete capito quando potete fidarvi. Con quelle altre possiamo stare insieme. Possiamo coesistere, comprenderci, compenetrarci.

Forse è questo il rapporto che il nostro tempo ha stabilito con le idee vecchie e nuove.

Un rapporto di ordinaria convivenza, di reciprocità, di interdipendenza. Senza particolari entusiasmi, senza grandiose insofferenze. Non si stringe fortemente alle idee vecchie ma neppure si avventura superficialmente verso la sponda delle nuove idee. Di tanto in tanto si fa tornare alla mente quello che diceva Alessandro Manzoni nel suo saggio sul romanzo storico: non sempre quel che viene dopo è progresso.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 15 luglio 2018]

 

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