Le colpe degli economisti

di Ferdinando Boero

Il Nobel per l’economia va a due declinazioni della sostenibilità. William Nordhaus, dell’Università di Yale, analizza le ripercussioni economiche degli sconvolgimenti climatici, mentre Paul Romer, della Stern School of Business dell’Università di New York elabora la teoria della crescita endogena: la crescita economica resa sostenibile attraverso tecnologie incentivate dagli stati. 

Se il mondo è in condizioni catastrofiche lo dobbiamo agli economisti che, da sempre, condizionano le scelte politiche chiedendo la crescita del capitale economico in termini di produzione e di consumi. Nelle loro analisi costi benefici l’erosione del capitale naturale a seguito della crescita del capitale economico è un’esternalità: non viene contabilizzata. Ora si accorgono che i costi della distruzione della natura devono essere contabilizzati nelle analisi costi benefici: era ora! Il cambiamento climatico, a causa di irresponsabili scelte economiche, danneggia il pianeta e, di conseguenza, la nostra economia. Bisogna far qualcosa, magari mostrando che non far nulla costa denaro. Che fare, allora? Dopo la contabilizzazione di Nordhaus, Romer propone l’innovazione tecnologica per risolvere i problemi creati dalla crescita insostenibile che distrugge il capitale naturale. Dobbiamo crescere, ma in modo sostenibile: la crescita economica non può avvenire a spese del capitale naturale. La tecnologia ci aiuta attraverso nuove tecniche per produrre energia senza emissioni di anidride carbonica, possiamo inventare materiali biodegradabili che sostituiscano la plastica, le future tecnologie porteranno non solo alla crescita economica ma anche alla salvaguardia dell’ambiente. Gli stati devono guidare questa transizione verso la sostenibilità.

Prima si pensava che il mercato potesse regolarsi da solo, poi si è visto che non prova interesse verso la distruzione dell’ambiente. Ora capiamo che non possiamo vivere senza la natura. 

Correndo il rischio di apparire presuntuoso, rilevo che nelle motivazioni c’è ancora la parola “crescita”. Gli economisti non riescono a staccarsene, e ora la accompagnano a “sostenibile”, una foglia di fico. Mi permetto di chiedere: ma se oggi siamo quasi otto miliardi, possiamo pensare di continuare a crescere indefinitamente? Quanti umani può sostenere il pianeta? La prima cosa che ci serve è il cibo e per ottenerlo abbiamo sviluppato l’agricoltura e l’allevamento del bestiame. Non c’è uno spazio infinito, sul pianeta. Per quanta tecnologia potremo inventare, non è possibile che la crescita demografica e quella economica possano continuare all’infinito. Il pianeta non ci può “sostenere” se superiamo i suoi limiti di tollerabilità. 

Non riesco a vedere il concetto di limite nelle motivazioni di questi Nobel. Nel 2007 il Nobel per la Pace andò ad Al Gore e al Panel Internazionale sul Cambiamento Climatico per i loro sforzi nel disseminare conoscenza sugli impatti del cambiamento climatico e sulle misure necessarie per contrastarlo. Le misure ora le troviamo nel Nobel per l’Economia. Il problema, purtroppo, è che le soluzioni proposte partono dalla stessa “cultura” che ha generato i problemi. Una cultura che non riesce a liberarsi dall’ossessione della crescita e che non accetta limiti. Lo sviluppo, primo o poi lo capiranno, non è sinonimo di crescita: un essere umano cresce durante lo sviluppo ma, arrivato a maturità, smette di crescere perché ci sono limiti alle dimensioni che possiamo raggiungere. Se li superiamo entriamo in uno stato patologico. Oggi la nostra economia ha dimensioni patologiche, e non si può curare presupponendo ulteriore crescita: la crescita non può essere sostenibile oltre un certo limite. Gli ecologi, per i quali non sono previsti Premi Nobel, dicono queste cose da sempre e, da sempre, sono visti come guastafeste. 

[“Il Secolo XIX” di martedì 9 ottobre 2018]

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