Il Salento e il mare

di Ferdinando Boero

L’inizio d’anno offre occasione di bilanci di ogni tipo. Proverò a farne uno sullo stato delle nostre coste ma, invece che limitarmi all’anno appena trascorso, prenderò in considerazione gli ultimi 30 anni, quelli su cui ho una personale esperienza. Correndo il rischio di rovinare la sorpresa, anticiperò il risultato delle mie considerazioni: la situazione è migliorata moltissimo. E ora proverò a spiegare perché. Trent’anni fa il Salento era considerato una terra “ai confini dell’impero” dal resto del paese, ma questo non lo aveva salvato dalle devastazioni ambientali del turismo costiero mordi e fuggi. Le grandi multinazionali del turismo ne avevano valorizzato alcuni siti, costruendovi villaggi turistici, e  producevano ricchezza che veniva immediatamente esportata. Le popolazioni locali avevano scoperto il mare come luogo di villeggiatura e in pochi anni avevano devastato gran parte dei siti costieri realizzando decine di migliaia di costruzioni abusive senza alcun progetto urbanistico, senza una visione “marina” dell’abitare. I primi costruirono le case direttamente sulle spiagge, e gli altri in seconda, terza, quarta fila. Si sbancarono le dune. Alla devastazione delle coste si aggiunse quella dei fondali. La domanda di prodotti del mare da parte di una cucina tradizionalmente terrestre come quella salentina, si focalizzò su ingredienti che richiedevano forti impatti delle tecniche di raccolta. Primi tra tutti i datteri di mare. La smania per i datteri stava portando rapidamente alla desertificazione dei fondi rocciosi del Salento e non c’erano neppure leggi che la proibissero. La pesca era totalmente incontrollata e ancora c’era chi usava gli esplosivi, per non parlare dello strascico sotto costa. A parte il periodo metà luglio-fine agosto, per il resto dell’anno i salentini dimenticavano il mare, ricordandosene solo per escursioni gastronomiche nei fine settimana. 

La sola idea di protezione del mare e delle coste veniva considerata una intollerabile limitazione alla libertà delle popolazioni locali. Democraticamente, i salentini avevano deciso che la casetta al mare e un bel piatto di datteri fossero un diritto per tutti. La deturpazione di luoghi un tempo bellissimi non era minimamente percepita. 

Questa visione del mare come territorio da spremere e poi, eventualmente, gettar via ha visto il suo culmine nella trasformazione delle spiagge in megadiscoteche dove migliaia di persone si cimentano in riti quasi tribali al suono di musiche martellanti. Ma, per fortuna, è una moda destinata a finire e, nella mia analisi, la considero l’ultimo fremito di un uso dissennato della costa. 

Questa la situazione di partenza trent’anni fa. Oggi ci sono due Aree Marine Protette, in Salento: a Torre Guaceto, e a Porto Cesareo. Una terza è in via di istituzione tra Otranto e Santa Maria di Leuca. Quella di Porto Cesareo ha ricevuto il massimo punteggio da parte del Ministero dell’Ambiente in termini di qualità della gestione, e Torre Guaceto è al quarto posto nazionale. Porto Cesareo, in particolare, è passata da capitale dell’abusivismo edilizio a capitale delle Aree Marine Protette. I datteri di mare sono scomparsi dai menu dei ristoranti e il loro prelievo è ormai un residuo di frange culturali poco evolute. Gli stabilimenti balneari, costruiti spesso in modo per nulla rispettoso dell’ambiente e abbandonati per dieci mesi all’anno, tendono a svilupparsi in modo differente, e chiedono di essere aperti tutto l’anno, per diventare presidi costieri che offrono servizi a una popolazione che ha compreso la bellezza del mare d’inverno. Ci sono imprenditori illuminati che pensano di trasformare Lecce in una città di mare, trasformando le “marine” leccesi da quartieri dormitorio per i mesi estivi, a quartieri da vivere tutto l’anno. Nelle città di mare una casa sulla costa è molto ambita. La distanza tra Lecce e il suo mare si percorre in pochi minuti. La riqualificazione dell’edilizia di rapina offre una visione nuova dell’abitare a Lecce, abbinando la bellezza del centro storico alla bellezza della costa. Lecce ambisce a diventare una città di mare.

C’è ancora moltissimo da fare, ma è cambiata la cultura, la visione dell’uso del territorio. 

L’Università di Lecce, diventata poi Università del Salento, ha dato un contributo significativo a questa evoluzione, preparando un capitale umano che oggi, ad esempio, gestisce con grande efficacia le aree marine protette. Ma non solo. Centinaia di nostri laureati insegnano nelle scuole di tutto il Salento e contribuiscono in modo capillare a generare una coscienza ambientale nei giovani cittadini e, di riflesso, nelle loro famiglie. La ricerca marina ha contribuito in modo determinante a far sì che il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali sia l’unico Dipartimento di Eccellenza dell’Università del Salento, anche grazie a un notevole successo nella progettualità nazionale ed europea. Per non parlare dei progetti a forte ricaduta territoriale in collaborazione con la regione, le province e i comuni. Le scienze marine e costiere sono il fiore all’occhiello dell’Università del Salento e i corsi ad esse dedicati attirano studenti da tutto il mondo, trasformando un’Università che offre formazione ai locali che non si possono permettere di studiare “fuori” in un’Università dove si formano studenti che vengono “da fuori”. 

L’Università non è più un posto dove i docenti arrivano per tornarsene presto nella sede originaria, lasciando un rinnovato deserto ad ogni ciclo di reclutamento. Oggi lavorare nelle scienze marine all’Università del Salento è un traguardo appetibile anche per gli stranieri che, infatti, iniziano ad arrivare. Le altre Università non considerano più l’Università del Salento come trampolino di lancio per piazzare i propri rampolli con temporanee colonizzazioni o per smaltire il surplus del proprio personale. Oggi, se un’Università o un Ente di Ricerca decide di valorizzare le scienze marine si rivolge chi si è formato nell’Università del Salento, e ai docenti “senior” si offrono opportunità di trasferimento con inviti a “fare da noi quel che avete fatto a Lecce”. È successo anche a me, e ho accettato l’invito dell’Università di Napoli Federico II, lasciando “posto” a ricercatori più giovani che, ne sono certo, sapranno fare ancora meglio dei “pionieri”, se non altro perché oggi l’Università del Salento si è dotata di infrastrutture di tutto rispetto. 

Inutile dire che il legame con la “mia” Università, con Lecce e con il Salento non si interromperà: i tempi che abbiamo davanti sono troppo interessanti per non cercare di vivere ancora un po’ questa straordinaria avventura che sta trasformando il Salento da una regione sul mare a una regione di mare.  

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di Sabato 5 Gennaio 2019]

 

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