Il “ritorno” di Michele Saponaro

Nell’opuscolo stampato per l’occasione dall’editore Manni ho invece intitolato il mio intervento Riscoprire Saponaro, perché, a mio avviso, bisogna riportare alla luce non solo reperti archeologici, ma anche testimonianze letterarie rimaste sommerse in funzione non soltanto di una valorizzazione dell’opera in sé ma anche delle eventuali ricadute sul territorio (e si pensi soltanto alle forme di turismo culturale, o alle numerose iniziative che si potrebbero realizzare a San Cesario nel nome di Saponaro). Per questo mi sembra giusto recuperare l’opera ampia, articolata di questo scrittore che è stato uno degli autori di maggior successo in Italia nei primi decenni del Novecento. I suoi libri (una cinquantina in tutto, tra romanzi, raccolte di novelle, biografie e altro ancora) sono stati pubblicati dagli editori più importanti del secolo passato, da Treves a Mondadori a Garzanti, e venivano continuamente ristampati, ottenendo sempre un grande favore presso il pubblico dei lettori. La sua firma compariva sui principali quotidiani, dal “Corriere della Sera” alla “Stampa” al “Giornale d’Italia” alla “Gazzetta del Popolo”, e su riviste prestigiose, come la “Nuova Antologia” e “Il Ponte”, tanto per citarne alcune. Ebbe la responsabilità di periodici e collane editoriali e non gli mancarono premi e riconoscimenti. Anche i critici più autorevoli ed esigenti di quegli anni (Cecchi, Borgese, Pancrazi, tra gli altri) si occuparono in varie occasioni, spesso in maniera lusinghiera, della sua opera. Emilio Cecchi, fra l’altro, fu l’estensore della voce a lui dedicata, apparsa addirittura sull’Enciclopedia Treccani nel 1936, che rappresenta il segno della vasta popolarità raggiunta in quegli anni. Per oltre mezzo secolo insomma Saponaro è stato al centro della società letteraria italiana in una posizione se non di primissimo piano certamente di particolare rilievo.

Col passare degli anni però e col mutamento radicale dei gusti e degli orientamenti culturali, il suo nome è caduto quasi completamente nell’oblio. Dello scrittore salentino si sono perdute le tracce nelle storie letterarie, nei manuali scolastici, nelle antologie, nei dizionari, nelle enciclopedie. Al massimo egli viene citato tra gli esponenti della cosiddetta “narrativa d’intrattenimento” senza però uno specifico approfondimento. I suoi romanzi non sono stati più ripubblicati da allora con la sola eccezione, come s’è detto, di Adolescenza. Nessuno s’è più interessato della sua attività letteraria, a parte il professore Michele Tondo, suo concittadino e amico, che curò quella ristampa, Donato Valli e chi vi parla.

Ora però è giunto il momento, appunto, di “riscoprire” Saponaro. Tanto più che l’Università del Salento possiede da qualche anno il prezioso Archivio dello scrittore, donato dai figli Giovanni e Silvia attraverso la mediazione di Tondo, sul quale ritornerò più avanti, nonché tutte i suoi numerosissimi volumi, recentemente acquisiti e conservati, insieme all’Archivio, presso la Biblioteca del  Dipartimento di Filologia, linguistica e letteratura. È giunto il momento anche perché proprio in questi ultimi anni si sta procedendo a un recupero critico dell’opera di altri narratori di successo del primo Novecento.

Recentemente, infatti, uno studioso italiano residente in Svezia, Enrico Tiozzo, ha pubblicato un ampio lavoro, in cinque volumi, dal titolo Il romanzo blu. Temi, tempi e maestri della narrativa sentimentale italiana del primo Novecento (Roma, Aracne, 5 voll,  2004-200), nel quale si è proposto, appunto, di “riattualizzare e, se possibile, di rivalutare l’opera di quattro scrittori italiani del primo Novecento, oggi completamente dimenticati, che furono straordinariamente popolari negli anni della loro attività e che tanto contribuirono alla tipizzazione ed alla diffusione della narrativa sentimentale italiana da poterne essere considerati gli indiscussi maestri” (vol. I, p.7). Questo particolare tipo di narrativa sentimentale in cui si sono distinti gli scrittori esaminati da Tiozzo, e cioè Guido da Verona, Luciano Zuccoli, Pitigrilli e Lucio d’Ambra. e nella quale rientra, almeno in parte, Saponaro, è stata da lui ribattezzata “romanzo blu”.

Ovviamente questa operazione di recupero non va fatta con spirito campanilistico e tanto meno con intenti provincialistici. La produzione di Saponaro deve essere sottoposta a un rigoroso esame critico che la metta costantemente in rapporto con lo svolgimento della letteratura e della cultura italiana dal primo decennio del Novecento fino agli anni Cinquanta, secondo precise linee metodologiche indicate dai nostri maestri della critica letteraria, Mario Marti e Donato Valli, anche perché questo scrittore ha operato fin dall’inizio in una dimensione nazionale rivolgendosi a un pubblico ampio, diffuso un po’ in tutte le zone della penisola. Il momento culminante di questo progetto, che il Comune di San Cesario sta portando avanti in collaborazione con l’Università del Salento tramite il CUIS, sarà costituito da un Convegno nazionale di Studi dedicato a Saponaro previsto per la fine del 2009 in occasione del cinquantenario della morte, al quale parteciperanno studiosi provenienti da varie parti d’Italia che “rileggeranno” la sua opera da differenti prospettive critiche.

Ci sono vari aspetti dell’attività di questo scrittore che meritano di essere riscoperti. Ce ne sono almeno tre principali e altri secondari. Innanzitutto ovviamente c’è l’aspetto del narratore. Saponaro è autore di numerosi romanzi e racconti che rientrano quasi tutti, come s’è detto, nella categoria della narrativa  d’intrattenimento, come è stata definita da Vittorio Spinazzola che l’ha studiata, o di consumo, concepita per soddisfare i gusti del pubblico borghese e piccolo-borghese di quegli anni. A questo proposito, in una pagina del suo Diario, datata 1 agosto 1951, lo scrittore ebbe a confessare, con eccessiva severità verso se stesso, che di tutto quello che aveva scritto si riconosceva soltanto in “qualche pagina potenzialmente autobiografica dei primi romanzi giovanili ingenui, poi delle biografie dell’età matura”. In ogni caso anche questa produzione di carattere più commerciale presenta notevoli motivi di interesse perché permette di conoscere concezioni, valori, ideali che si sono affermati nella società italiana, o in determinati gruppi sociali, in un preciso momento storico. Non a caso di essa si occupa specificamente la sociologia della letteratura.

Ma soprattutto occorre individuare il nucleo più genuino e valido della sua opera e verificarne la tenuta ai nostri giorni, perché Saponaro ebbe anche indubbie qualità letterarie che si rivelano, in modo particolare, in certi romanzi a sfondo autobiografico nei quali è costantemente presente il motivo della terra d’origine. Certo, l’immagine che lo scrittore offre del Salento è di tipo prevalentemente idillico ed elegiaco, come è stato giustamente rilevato dai critici fin dal suo esordio. La propria terra è vista dallo scrittore come una sorta di eden dove ritornare per rinascere quasi a nuova vita, lontano dalla realtà frenetica delle grandi città, a contatto con la natura incontaminata, con la gente forte e accogliente del Sud. Non c’è quasi mai, se non forse nel romanzo Terra madre, un’attenzione ai problemi, anche sociali, del Meridione, come avverrà nella narrativa neorealista del secondo dopoguerra. Permane però un sentimento fresco e autentico della terra natia, che diventa il personaggio principale in molte sue opere.

In definitiva si può dire che Saponaro resta legato a certi canoni della narrativa ottocentesca, non riesce a superare la cosiddetta “barriera del naturalismo”, è lontano cioè dal romanzo novecentesco più inquieto e problematico e dai suoi grandi modelli, Pirandello, Svevo, Tozzi, tanto per fare i nomi degli esponenti principali nel nostro paese, che con le loro opere hanno offerto una nuova visione dell’uomo e della realtà. Il romanzo di Saponaro insomma, per usare una famosa formula di Giacomo Debenedetti, è un romanzo di tipo “esplicativo”, non “interrogativo”. Però, pur restando in questa dimensione, raggiunge comunque risultati notevoli che vale la pena di approfondire. Vediamo allora alcuni momenti della sua produzione in questo campo.

Nella narrativa esordì nel 1908 con un volume di racconti, Le novelle del verde, pubblicato da un editore napoletano, Bideri, che era anche editore e proprietario del periodico a cui Saponaro aveva incominciato a collaborare fin dal 1906, “La Tavola Rotonda”. Questo libro si fregiava della prefazione di un nome importante della letteratura italiana, Luigi Capuana, il grande scrittore verista, e infatti Capuana, Verga, la Deledda, il D’Annunzio delle Novelle della Pescara, cioè il filone regionalistico della narrativa italiana, sono i principali modelli del giovane Saponaro in questo come nel volume successivo composto sempre di novelle dal titolo, Rosolacci, pubblicato ad Ancona nel 1912 dall’editore Puccini.

Questi due libri però non ebbero particolare risonanza negli ambienti letterari italiani, come invece la ebbe sorprendentemente il primo romanzo di Saponaro, La vigilia, pubblicato dall’editore Bontempelli di Roma nel 1914. Questo è un romanzo in forma di diario scritto dalla sorella del protagonista e narra la storia di Mario Alvini il quale dopo essersi allontanato dalla propria terra in cerca di fortuna e di gloria, vi ritorna dopo alcune delusioni in campo sentimentale e artistico (un suo lavoro drammatico aveva avuto un clamoroso insuccesso, proprio come era successo a Saponaro con il suo dramma Mammina), accolto e festeggiato dalla madre e dalla sorella e qui si rigenera a contatto con i luoghi natii, con la natura, con la campagna. Ebbene a La vigilia Luigi Ambrosini sulla “Stampa” di Torino, il…, dedicò una lunga e favorevole recensione, dal titolo L’idillio del figliol prodigo (titolo con cui venne ristampato il romanzo nel 1920 dall’editore Vitagliano), nel quale sosteneva fra l’altro che la vera protagonista di quest’opera era proprio la “terra salentina”. Questo articolo impose dunque Saponaro all’attenzione nazionale. Il romanzo venne accolto favorevolmente anche da altri critici che lo giudicarono il migliore di quell’anno, con l’eccezione a dire il vero di Giovanni Boine, che espresse delle perplessità,  e non sfuggì all’attenzione di Emilio Treves, il maggiore editore italiano del tempo, l’editore di Verga e d’Annunzio, il quale si presentò a Saponaro, come racconta egli stesso nel libro Racconti e ricordi, alla Biblioteca di Brera di Milano dove lo scrittore lavorava e gli chiese di scrivere un romanzo per lui.

E infatti Saponaro nel 1919 licenziò per conto di Treves il suo secondo romanzo, Peccato. Sette mesi di vita rustica, riprendendo e ampliando un suo precedente racconto. Anche qui c’è il motivo del ritorno del protagonista, che stavolta narra in prima persona, alla casa natia, alle proprie origini, nel Salento, dopo la noia della vita cittadina nel nord. Qui ritrova gli affetti familiari e soprattutto l’amore per una giovane donna, Cia,  ma alla fine scopre casualmente che la ragazza di cui si è innamorato è la sorellastra e si allontana dalla sua terra. Il motivo del ritorno quindi è simile all’altro romanzo, ma la conclusione è diversa perché qui il protagonista non trova la pace e la serenità ma un nuovo motivo di sofferenza. Quest’opera riscosse anche più successo della prima tanto è vero che ebbe una immediata ristampa l’anno successivo sempre da Treves e nel 1925 fu poi ripubblicata da Mondadori che nel frattempo era diventato la maggiore casa editrice italiana. Nel 1946 Peccato venne ristampato ancora da Garzanti che aveva assorbito Treves, a dimostrazione che quest’opera anche a distanza di alcuni decenni era ancora apprezzata dal pubblico dei lettori.

Ecco, si può dire che da allora, dal 1919-20 Saponaro diventò uno degli scrittori più richiesti dagli editori e dal pubblico dei lettori. Si pensi che nel 1920, pubblicò ben sei libri con cinque editori diversi, Treves, Mondadori, Vitagliano, “Modernissima”, Formiggini. Da quell’anno però pubblicò in esclusiva con Mondadori, presso il quale uscirono quasi tutti i suoi libri fino al 1940. Da allora Saponaro arrivò a sfornare quasi un volume all’anno, quasi sempre un romanzo o una raccolta di novelle e sarebbe interessante conoscere anche le tirature di queste opere, i dati relativi alle vendite, ecc. Comunque secondo certe statistiche fornite in un articolo della “Fiera letteraria” del 1926, valide in generale per le opere di questi autori più popolari, le copie annue vendute non erano inferiori a una media di tremila. Ora, come s’è detto, lo stesso scrittore ha dichiarato più volte la sua insoddisfazione per questa sua produzione che rispondeva quasi sempre a esigenze commerciali e quando nel 1957 raccolse in un grosso volume mondadoriano dal titolo Romanzi all’aria aperta alcuni romanzi, ne scelse solo cinque che riteneva i più riusciti: PeccatoFiorellaAdolescenzaIo e mia moglieIl cerchio magico. D’altra parte, bisogna anche tener presente che egli già nel 1919 aveva abbandonato il suo lavoro di bibliotecario e viveva unicamente del mestiere di scrittore.

Ora ovviamente non è possibile passare in rassegna in questa occasione tutte le opere di Saponaro. Mi limito perciò a dare qualche altra indicazione. Il motivo del ritorno alla terra, che caratterizza La vigilia e Peccato, è presente in altri romanzi e racconti ed è forse il motivo ricorrente, un vero e proprio leit-motiv, della sua narrativa. Esso è al centro anche del romanzo Terra madre del 1921, che presenta però ulteriori motivi di interesse perché qui affiora forse per l’unica volta nell’opera dello scrittore anche una problematica di tipo sociale, in quanto questo romanzo affronta il tema delle lotte tra contadini e proprietari terrieri nel Salento nel primo dopoguerra per l’espropriazione dei latifondi. D’altra parte, anche se la narrativa d’intrattenimento è caratterizzata in genere da un certo disimpegno di tipo sociale, la realtà e la storia entrano anche in altre opere di Saponaro come La casa senza sole del 1920, ispirato alla prima guerra mondiale e ai lutti portati in tante famiglie da quel tragico avvenimento.

Ma nei romanzi di Saponaro emergono, come s’è detto, anche concezioni legate a quel determinato periodo della storia, della società italiana. Per esempio, sarebbe interessante rileggere in quest’ottica, opere come Io e mia moglie del 1929 e Il cerchio magico del 1939, dove l’autore affronta, in maniera non convenzionale per l’epoca, il tema della condizione femminile, prospettando una ribellione delle due protagoniste che in entrambi i casi abbandonano la casa coniugale e la vita imposta dalle convenzioni sociali del tempo.

Altri romanzi di Saponaro invece, come L’altra sorella del 1922, sfruttano argomenti pruriginosi, allora di moda nella letteratura, come l’incesto, un motivo presente nella narrativa di d’Annunzio e di un seguace dannunziano, Guido da Verona. Altri ancora sono di pura evasione nello spazio e nel tempo come La bella risvegliata del 1924, dove si racconta di un viaggio in un magico mondo popolato da ninfe, maghe e pastorelle. In Paolo e Francesca del 1930 si assiste invece a una sorta di attualizzazione della storia d’amore dei due famosi amanti di Rimini. Ma, da questo punto di vista, la storia d’amore più bella scritta da Saponaro, a giudizio della critica, è forse Fiorella del 1920, che narra la vicenda, ambientata sulle rive del Lago Maggiore, di un pittore il quale cerca di riprodurre sulla tela il volto della donna amata ormai morta attraverso i ricordi, quasi per farla rivivere e scoprire la sua vera natura.

A parte sta l’opera più ambiziosa di Saponaro, solo parzialmente riuscita secondo il giudizio dei critici, il ciclo intitolato Un uomo, che si compone di due soli romanzi, L’adolescenza del 1924 e La giovinezza del 1926. Quella dei cicli narrativi è una tendenza presente nella narrativa d’intrattenimento (e infatti la troviamo anche in Gotta, Brocchi e D’Ambra) che si riallaccia alla tradizione romanzesca ottocentesca, sia pure con caratteristiche sue proprie. Ebbene, dei due romanzi che compongono il ciclo di Un uomo, quello senza dubbio più valido è il primo, L’adolescenza che secondo Tondo che ne curò la ristampa nel 1983 rappresenta anzi “la prova più significativa della narrativa d’invenzione di Saponaro”. Ambientato ancora una volta nella campagna salentina, quest’opera narra la storia dell’adolescente Mario, nel quale si ritrovano elementi autobiografici, che si avvia a diventare uomo attraverso l’esperienza sentimentale con tre donne diverse che rappresentano appunto le diverse facce dell’amore: l’amore fantastico con Nanetta, quello sensuale con zia Elisa, quello romantico  con Noemi.

La giovinezza segue invece la vita di Mario dai diciassette ai trentatre anni, ma non è più ambientato nella terra natia, bensì in una città del Nord dove il protagonista dopo essere stato precettore in collegio e poi traduttore diventa direttore di giornali. Anche quest’opera ha una struttura tripartita perché è divisa in tre parti che corrispondono ai tre avvenimenti che sconvolgono la vita di Mario: la morte del poeta-idolo, Carducci, la morte dell’amore, la morte della madre.

Accanto ai tanti romanzi, Saponaro pubblicò anche numerose raccolte di novelle, dalle prime due già citate, Le novelle del verde e Rosolacci, di impronta verista, a Amore di terra lontana del 1920, da Le mie cinque fidanzate del 1922, dove nel primo racconto che dà il titolo al volume compare nuovamente il motivo del ritorno nella propria terra, a Avventure provinciali del 1931, da Erba tra i sassi del 1932, fino a Racconti e ricordi che esce nel 1957, due anni prima della morte e dal quale sono stati ripresi i tre pezzi pubblicati nell’opuscolo. Quindi anche in questo genere narrativo ha lasciato una produzione ampia che deve essere esaminata attentamente.

Un altro aspetto da riscoprire dell’attività di Saponaro è quello dell’autore di biografie. Com’è noto, lo scrittore incominciò a dedicarsi alla stesura di queste opere alla fine degli anni Trenta, stanco della routine a cui era costretto per soddisfare le richieste del pubblico e del suo editore. La prima biografia, in ordine di tempo, è la Vita amorosa ed eroica di Ugo Foscolo, apparsa nel 1938 sempre presso Mondadori, poi diventata semplicemente Ugo Foscolo. A queste seguirono due altre biografie letterarie, di due classici dell’Ottocento italiano, l’amato Carducci nel 1940 e Leopardi nel 41, pubblicata da Garzanti che diventa l’altro editore di Saponaro in quest’ultima fase della sua attività letteraria. Dopo la vita di questi tre scrittori Saponaro affrontò quella di un importante uomo politico e pensatore dell’Ottocento, Mazzini, in due volumi che escono nel 1943-44, di un genio dell’arte, Michelangelo (1947), di Gesù (1949), che trova un seguito ne I discepoli (1952), e infine di una donna, Bettina von Brentano, amica di grandi scrittori e musicisti come Goethe e Beethoven, nel volume che vide la luce nel 1959 subito dopo la morte dell’autore, Il romanzo di Bettina. Anche questi libri incontrarono un ampio favore popolare, tanto è vero che ebbero varie ristampe e, quelle su Foscolo, Carducci e Leopardi anche edizioni ridotte per ragazzi. Si tratta di ricostruzioni romanzesche, ma sempre accuratamente documentate (come, ad esempio, dimostrano abbondantemente le centinaia di fogli di appunti manoscritti sulla vita di Mazzini), della vita di questi personaggi esposte in uno stile semplice e accattivante. In questo modo Saponaro svolse un importante compito di divulgazione in anni in cui se ne sentiva particolarmente l’esigenza, data anche la mancanza dei mezzi di comunicazione, come la televisione, adatti a questo scopo.

Proprio per  la prima biografia, quella su Foscolo, Saponaro nel 1938 venne candidato al prestigioso Premio Viareggio che sarebbe stato assegnato a lui se non ci fosse stato il veto di esponenti del regime, in quanto, com’è noto, lo scrittore nel 1925 aveva firmato il manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce. E non a caso un’ importante figura del mondo culturale e civile italiano, Piero Calamandrei, che era amico dello scrittore, in una recensione alla biografia di Carducci, parlò di un’implicita motivazione etica che era alla base di quell’opera e questa osservazione si può tranquillamente estendere a tutte le altre.

Particolare clamore e strascichi anche polemici ebbe la biografia di Carducci, nella quale l’autore fa scoprire l’uomo Carducci sotto il cliché del poeta-professore, del vate, l’uomo intero con le sue umane debolezze, che forse lo fanno sentire ancora più vicino ai lettori. In particolare Saponaro sollevò il velo su due importanti rapporti extraconiugali che Carducci ebbe con due donne, Lina Piva e Annie Vivanti, pubblicando le lettere del poeta alla prima. Questo provocò la reazione dei familiari della Piva come emerge dal carteggio, mentre la Vivanti impedì tassativamente con due telegrammi la pubblicazione di quelle inviate da lei al poeta. Sempre nel carteggio sono conservate numerose e importanti lettere di una figlia di Carducci, Beatrice, che fu in rapporto epistolare con Saponaro e gli fornì tante notizie importanti sulla vita del padre.

Ma se l’aspetto del narratore e quello dell’autore di biografie sono aspetti ampiamente noti dell’attività di Saponaro, in questi ultimi anni  ne è emerso un altro ancora più sorprendente, quello dell’operatore culturale, grazie soprattutto al prezioso Archivio posseduto dalla nostra Università, a cui accennavo all’inizio. L’Archivio comprende materiale di tipo diverso: stesure manoscritte e dattiloscritte, con correzioni autografe, di alcuni romanzi; ritagli di articoli e recensioni delle opere di Saponaro di fondamentale importanza per conoscere la sua fortuna critica; e soprattutto un ricchissimo carteggio composto da circa millecinquecento pezzi (tra lettere, cartoline, telegrammi), che vanno dal 1906 al 1959, l’anno della morte. Lo scrittore infatti, per oltre mezzo secolo, fu in contatto epistolare con numerose personalità di primo piano della vita culturale italiana: letterati come Verga, Capuana, De Roberto, conosciuti direttamente a Catania, Marinetti, Di Giacomo, Pirandello, Tozzi, Papini, Panzini, Borgese, Moretti, Ada Negri, Baldini, Montale, Piovene; critici come Cecchi, Russo, Flora, Pancrazi, Binni, Valgimigli; giornalisti e direttori di giornali come Guglielmo Emanuel, Frassati, Oietti, Missiroli, Montanelli: editori come Arnoldo Mondadori, Garzanti, Formiggini; uomini politici come De Gasperi, Einaudi, Bottai, Saragat; autori teatrali come Roberto Bracco, Renato Simoni, Marco Praga, Sabatino Lopez, Dario Niccodemi, Rosso di San Secondo; attori come Vittorio Gassman e Ave Ninchi e inoltre uomini di cultura del calibro di Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Vilfredo Pareto, Lionello Venturi, Giustino Fortunato, Piero Calamandrei, ecc. (e mi sono limitato solo a pochi esempi, giusto per dare un’idea della ricchezza del carteggio). Alcuni di questi scambi epistolari, come quelli con Roberto Bracco, Marino Moretti, Manara Valgimigli, Giustino Fortunato e De Roberto sono stati pubblicati da Michele Tondo che ha rivolto l’attenzione in particolare ai sodalizi più duraturi dello scrittore, mentre io mi sono occupato di altri carteggi significativi, e cioè di quelli con Marinetti, Cecchi, Prezzolini e Papini. Ma ancora molto resta da fare e da scoprire in questo campo.

In particolare stabilì rapporti importanti quando gli venne affidata la redazione di due riviste, “La Tavola Rotonda” di Napoli e, soprattutto, “La Rivista d’Italia” di Milano. Sulla “Tavola Rotonda” Saponaro fece il suo esordio nel maggio del 1906, con lo pseudonimo di Libero Ausonio, pubblicandovi fino al 1909 liriche di intonazione carducciana e dannunziana, come Su l’Ionio, articoli su autori classici e moderni, italiani e stranieri (Alfieri, Foscolo, Carducci, Di Giacomo, Shakespeare, Zola) e curando una rubrica di cronache e recensioni teatrali nella quale apparvero, fra l’altro, note su Ibsen, Serao, Di Giacomo, Bracco, ecc. Ebbene, dal 14 agosto del 1908 al 28 febbraio del 1909, Saponaro, alias Libero Ausonio, diventò il redattore-capo di questo periodico,che era abbastanza aperto alla modernità. E proprio in questo periodo egli entrò in contatto con F. T. Marinetti, il quale lo fece collaborare alla sua rivista milanese “Poesia”, che era l’organo del simbolismo italiano, e gli inviò due importanti lettere. Saponaro, dal canto suo, scrisse due recensioni a due opere di Marinetti e soprattutto pubblicò il manifesto di fondazione del futurismo su questo periodico il 14 febbraio 1909 in anticipo addirittura di sei giorni sul quotidiano parigino “Le Figaro”, come riportano tutte le storie letterarie, oltre che le storie del futurismo. A Saponaro resta perciò il merito di aver dato per primo notizia, sulla rivista di cui in quel periodo era redattore-capo, della nascita del maggiore movimento d’avanguardia del Novecento, del quale tra due anni, nel 2009, si celebrerà in tutto il mondo il centenario della fondazione e quindi resta anche, sia pure forse un po’ casualmente, nella storia di questo movimento.

Quando fu il responsabile unico della redazione della “Rivista d’Italia”, invece, tra il 1918 e il 1920, ne promosse il rinnovamento invitando alla collaborazione i nomi più illustri della cultura italiana del tempo: da Benedetto Croce a Giovanni Gentile, da Luigi Einaudi a Vilfredo Pareto, da Giovanni Papini a Giuseppe Prezzolini, da Luigi Pirandello a Federico De Roberto, da Federigo Tozzi a Emilio Cecchi e a tantissimi altri. La rivista, che aveva trasferito la propria sede da Roma a Milano, diventò in quei tre anni, una delle principali riviste di cultura italiane, se non la principale. In particolare, Saponaro diede ampio spazio alla letteratura, pubblicando in ogni fascicolo testi narrativi, poetici e teatrali, a volte di notevole qualità. Inoltre aprì il periodico alle altre discipline, il diritto, l’economia, la sociologia, la storia, l’arte, la scienza, affidando altrettante rassegne su questi argomenti a illustri specialisti.

Ma oltre a questi che sono gli aspetti principali dell’attività di Saponaro, ce ne sono ancora altri, forse minori ma che meritano ugualmente attenzione. Ci riferiamo, ad esempio, all’autore e critico teatrale. Lo scrittore, all’inizio e alla fine della sua attività, compose alcuni testi teatrali: nel 1912 una sua commedia, Mammina, vinse un concorso drammatico ma poi ebbe uno scarso successo quando fu rappresentata a Roma l’anno dopo; mentre negli anni Cinquanta scrisse alcune tragedie nelle quali erano rivisitate figure del teatro classico, come Alcesti, Andromaca e Antigone, queste ultime due pubblicate. Inoltre svolse per lunghi periodi l’attività di critico teatrale sulla “Tavola Rotonda”, “La Rivista d’Italia” e “Il Corriere della Sera”, a dimostrazione di come fosse forte questo suo interesse. Ancora non è da trascurare l’attività giornalistica svolta su innumerevoli sedi, il cui frutto più significativo è forse un libro di reportage, Viaggio in Novegia, del 1926, che rientra nel filone oggi studiatissimo della letteratura di viaggio. E a proposito di questo aspetto un certo interesse può suscitare ancora oggi un suo scritto, pubblicato probabilmente negli anni Cinquanta, dal titolo Dei doveri del giornalista.  Così pure un’attenzione specifica dovrà essere rivolta all’autore di libri per ragazzi, come Le sette stelle dell’orsa, la cui prima edizione nel 1923 venne pubblicata da Mondadori con le illustrazioni del fratello dello scrittore, lo scultore Salvatore Saponaro e poi nel ’56 con quelle di Vittorio Accornero, e ancora Guerre senza sangue (1923) e Prima del volo. Avventure di fanciulli che divennero grandi uomini (1940). Per ultimo, occorre ricordare che Saponaro ha scritto anche poesie, anzi il suo esordio è avvenuto il 20 maggio 1906 sulla “Tavola Rotonda” proprio con una poesia intitolata A mia madre, mentre il 3 giugno pubblicò Su l’Ionio. E, dopo la morte, nel 1963, a cura dell’Amministrazione provinciale di Lecce, venne pubblicato un volumetto intitolato Poesie, contenente una scelta della sua produzione in questo campo.

Ecco, anche questi aspetti dovranno essere presi in considerazione se si vorrà delineare compiutamente la figura e l’opera di questo scrittore, così prolifico e poliedrico. Insomma siamo solo all’inizio di questo lavoro di riscoperta e valorizzazione che non deve interessare soltanto gli studiosi ma si deve estendere agli studenti, agli insegnanti, ai lettori salentini perché un autore come Saponaro sia conosciuto e apprezzato come merita in campo nazionale ma anche e soprattutto nella propria terra.

[Relazione letta in occasione dell’Incontro di studi “Uno scrittore e la sua terra. Omaggio a Michele Saponaro” (San Cesario di Lecce, 14 dicembre 2007), confluita poi in Modernità del Salento. Scrittori, critici, artisti del Novecento e oltre, Galatina, Congedo Editore, 2009, pp. 45-53].

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