“Orizzonti di luce” tra natura, memoria e simbolo

Alle opere di Giovanni Segantini già facenti parte del patrimonio della Galleria Civica di Arco, si aggiungono dunque quelle del Segantini Museum di Sankt Moritz in Svizzera, quest’ultima istituzione ha contribuito con sei opere, tra le quali figura il dipinto Il ritorno dal bosco, un olio su tela di cm. 64 x 95 (proprietà Fondazione Fischbacher): soggetto caratterizzante l’intero evento e che esprime pienamente la relazione tra l’artista e la natura, ma anche il rapporto avuto da Segantini con le correnti del secondo Ottocento europeo, su tutte Divisionismo e Simbolismo: memoria e simbolo per l’appunto.

L’allestimento della mostra Orizzonti di luce con opere di A. Morbelli G. Sottocornola e C. Cressini.

Dunque, come già avvenuto nel «Trittico per l’Engadina», tre imponenti tele dedicate a La Vita, La Natura, La Morte, realizzate tra il 1897 e il 1899, sempre appartenenti alla raccolta del Segantini Museum in Engadina, il pittore nato ad Arco e cresciuto artisticamente tra la Lombardia e la Svizzera, ritraendo una donna che trascina una slitta carica di legna, rappresenta in sintesi l’intera umanità: la sua esistenza, la sua condizione, l’essere attore e non artefice della scena. Protagonista della tela una figura femminile stanca dalle fatiche della giornata di ritorno a casa al tramonto, in un panorama alpino immerso nella luce e ritraendo in secondo piano un tipico villaggio svizzero: si noti la tavolozza di colore essenzialmente composta da bianchi, con una luminosità diffusa dominante l’intera composizione, caratteristica che porterà l’artista a dipingere opere di dimensioni ragguardevoli e da punti di osservazione inusitati.

Sul finire dell’estate del 1899, pochi giorni prima di morire appena quarantunenne, Giovanni Segantini, pittore-scalatore, «come il Der Wanderer di Friedrich sale sullo Schafberg (2.731 m.s.l.m.) con una tela di dimensioni grandiose (cm. 235 x 403), percorrendo sentieri scoscesi impensabili»[1]; ma «dal Munt de la Bes-cha sopra Pontresina»[2], da dove «Segantini aveva dipinto La natura»[3], ovvero l’effimera esistenza umana, «guardando la maestosità dei ghiacciai Röseg e Morteratsch, l’imponente gruppo del Bernina con il temibile Piz Diavolezza, il 28 settembre 1899 sarebbe morto giovanissimo (forse di peritonite, forse per le esalazioni velenose dei bianchi usati abbondantemente)»[4], lasciandoci un’eredità artistica potente, capace di far discutere animatamente studiosi e non, esprimendo e provocando ancora oggi sensazioni forti: «e allora ho capito che con l’arte si potevano esprimere dei sentimenti e anche provocarli da parte di chi guarda, e questo […] era la culla della mia arte»[5], come lo stesso pittore ebbe modo di affermare.

L’Engadina e St Moritz vista panoramica dal Munt de la Bes-cha sopra Pontresina.

Segantini, sempre impegnato nella ricerca della luce e delle sue innumerevoli gradazioni di tono, era costantemente impegnato nella ricerca di punti di osservazione nuovi, posti in una posizione sempre più privilegiata: Vittore Grubicy De Dragon, artista e gallerista, recatosi a Savognino, nella Svizzera grigionese, racconta come «tutte le sere quando la luce veniva a mancare, egli si poneva alla finestra, la fronte sui vetri, e rimaneva là in contemplazione scrutatrice, sino a che il chiarore, declinando poco a poco, si spegneva completamente, e subentrava la notte»[6].

Ecco che il titolo della mostra di Arco, «Orizzonti di luce» per l’appunto, indaga la gestione luministica di Segantini tanto in chiave di ricerca dell’effetto provocato dall’applicazione del Divisionismo cromatico, quanto in quella più intima, lirica, del più tipico Simbolismo segantiniano: come avviene per esempio in L’ora mesta, di cm. 45,5 x 83, coevo del poco più grande Il ritorno dal bosco, in cui la donna raccolta in una sorta di Angelus millettiano sta per essere avvolta dalla luce tenue di un crepuscolo divisionista; in questo caso «memoria» e «simbolo» sono completamente immersi in una «natura» imponente.

Inoltre, tra le trentatré opere ospitate dalla rassegna, curata da Alessandro Botta e Niccolò D’Agati, sono esposte le opere, molte di grandi dimensioni, di altri sedici autori che in conferenza d’apertura Botta definisce di seconda generazione: tra gli altri pittori esposti spiccano i nomi di Giuseppe Pellizza da Volpedo, Angelo Morbelli, Emilio Longoni, Vittore Grubicy De Dragon, Luigi Conconi, Giovanni Sottocornola, Cesare Maggi e molti altri ancora.

La rassegna offre ai visitatori l’opportunità di mettere a confronto le molteplici declinazioni sul tema del paesaggismo e dell’indagine luministica a cavallo dell’Otto-Novecento. Un itinerario espositivo che restituisce la necessaria attenzione del pubblico e della critica su una delle più interessanti e significative stagioni dell’arte italiana ed europea; e soprattutto avvalora la capacità di mettere in atto collaborazioni pianificando eventi espositivi con cadenza annuale – organici e con allestimenti di pregio – da parte di una piccola realtà museale come può essere considerata una Galleria Civica di periferia.

Note

[1] Massimo Galiotta, Arco e il Segantinismo – pittura eroica e sedimentazioni romantiche nell’opera di Giovanni Segantini, in Arte Trentina, Ed. d’Arte Dusatti, Rovereto, a. IV, n.15, aprile 2023 (pp.42-47);


[2] Dora Lardelli, Il Museo Segantini a St. Moritz, Calanda Verlag, St. Moritz, 1992;

[3] Ibidem;

[4] Massimo Galiotta, Op. cit., 2023;

[5] Cfr. Gioconda Segantini, Giovanni Segantini. Della Vita e della Morte, in Giovanni Segantini nella cultura di fine Ottocento, Atti del convegno di studi, Arco, 26 settembre 2008 (pp. 37-43);

[6] Primo Levi, Segantini, in L’Italico, Società Editrice Dante Alighieri, Roma, 1900 – Estratto dalla Rivista d’Italia, Fasc. 11-12, 1899.

Questa voce è stata pubblicata in Arte e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *