La tecnologia ha bisogno dell’intelligenza dei sentimenti dell’uomo

di Antonio Errico

Il 10 febbraio del 1996, a Filadelfia, il campione del mondo Garry Kasparov, perde la partita a scacchi con Deep Blue, una macchina.  Sette   giorni dopo, Garry Kasparov riesce a prendersi la rivincita.  Poi riuscirà anche a vincere il torneo. 

E’ una metafora  la partita a scacchi tra Garry Kasparov  e Deep Blue, che  induce, o costringe, a chiedersi se nel processo del progresso vincerà l’uomo o la macchina che l’uomo ha creato. Qualche volta ritorna  alla memoria quell’epigramma di Andrea Zanzotto, che dice così: “In questo progresso scorsoio/non so se vengo ingoiato/ o se ingoio”.

Per la scienza, la tecnologia, la ricerca, non si possono e non si devono stabilire limiti. La loro esistenza è motivata dal continuo tentativo di violare i limiti. Si tratta di trovare i modi per non restarne sopraffatti.

Fino a un certo punto abbiamo avuto la possibilità di prevedere come sarebbe stato il mondo a distanza di venti, trenta, quarant’anni. Quella possibilità non ce l’abbiamo più. Probabilmente risulta difficile anche prevedere come sarà tra cinque anni, o soltanto domani.  Ma come sarà il mondo ci riguarda: perché  coinvolge il nostro destino e il destino di quelli che verranno.

Che cosa accadrà fra trenta, quaranta, cinquant’anni, fra dieci, fra cinque.

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