La nuda vita. Congedo

Per una volta, lasciamo che l’assenza di un’opinione, di una tesi, di una certezza, di una verità, di una fede muova la penna; che la parola non dica niente, si rilassi, si astenga dal commento, dalla parafrasi, rifugga dalla critica, dalla pubblicità –  promozione o autopromozione, non importa -. Che il reale scompaia e venga in primo piano il possibile. Allora sì che tutto potrebbe succedere…

A chi potrebbe interessare una simile parola? Non al politico né all’economista e neppure al giurista, meno che mai al professionista, al commerciante, all’industriale, all’artigiano,  al professore, al prete, a nessuna categoria potrebbe interessare una simile parola, perché è una parola che non paga, è una parola inutile come un vuoto a perdere; finché un giorno una persona qualsiasi, per un caso fortuito, che la lascia sbalordita, non scopra dietro la facciata della propria rispettabile posizione, una cosa dimenticata, che questa parola inaspettatamente gli fa vedere: la nuda vita.

Che cos’è la nuda vita? E’ quel che si è prima di essere qualcuno, l’indistinto prima del distinto, l’essere privo di un’identità, prima di ogni identità, l’essere sottratto a qualsiasi tecnica assoggettante, la vita come irriducibile fatto primario. La puoi vedere nei paesi di mare che sembrano abbandonati quando d’inverno soffia la tramontana, nelle città alle quattro del mattino quando tutti dormono, nelle case cadenti delle campagne o dei centri storici dove fanno il nido gli uccelli e cresce il fico selvatico,  sul ciglio della strada, dove le auto non schiacciano l’erba e vive il tarassaco, infine, ovunque l’uomo abbia ritirato la sua mano predatrice.

A chi faccia questa scoperta – e chiunque può farla, solo che si cacci di dosso l’armatura dell’abitudine e della presunzione -, si rivela che cosa sia sempre stata, che cosa sia oggi la nuda parola; non quella che si vende, ma quella che si acquista vivendo.

Un giorno tutte le parole finiranno nel nulla, come tutte le cose. Allora, nell’indistinto del nulla, sul gran mare dell’essere, entro il quale tutto si perde, continuerà ad aleggiare come un soffio la nuda parola, testimonianza vivente della nuda vita. E non ci sarà nessuno a chiedere che cosa essa significhi.

[Quel che posso dire, Edit Santoro, Galatina 2016, pp. 188-190]

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