L’entropia di Antonio Pennetta

di Gigi Montonato

Antonio Pennetta ha dato alle stampe il suo secondo romanzo, L’entropia (Roma, Albatros, 2019, pp. 525, € 26,50). Esce a distanza di cinque anni dal suo primo, Il superficiale splendore del mare, annunciato a suo tempo come l’inizio di una trilogia. Aspettiamo, dunque, il terzo.

La scrittura di Pennetta è decisamente lenta e introspettiva. Nel suo primo romanzo tratta di quel che segue nella mente e nel cuore di un giovane dopo aver assassinato la sua ragazza. Ne L’entropia è tutto un ravanarsi dentro del protagonista prima di suicidarsi. La morte, dunque, collega questi due romanzi; quella degli altri e la propria. L’introversione dei due protagonisti le accomuna.

La vicenda de L’entropia, che presenta forti risvolti antropologici e sociali, si svolge in un’atmosfera di esangue decadenza dello spirito, in cui non si trova un’uscita di sicurezza mentre dentro si consuma l’energia vitale. Di qui, forse, la metafora dell’entropia.

Il lettore è messo a dura prova di resistenza trascinato in una condizione di chiusura introspettiva, rappresentata da un’opera massiva, nel senso proprio materiale, con migliaia e migliaia di parole, colate dentro la forma libro, dalle dimensioni ragguardevoli: 17 x 24 x 3,5. Nessuna scansione in parti, capitoli o paragrafi, nessun capoverso: senza spazio per chi l’ha scritto, senza respiro per chi lo legge. Abolito l’indice, del tutto inutile. Ridotto il paratesto ad una dedica A Tutto ciò che ritorna e a una citazione dai Miserabili di Victor Hugo.

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