Smontare il presepio

Portrait of a woman as Ruth (c. 1853) by Francesco Hayez.

di Luigi Scorrano

Un’azione triste quella di smontare un presepio; anzi, il presepio, la cui unicità  è nel cuore di chi ha costruito la scena devota, l’ingenuo sogno d’infanzia che l’età adulta si sforza vanamente di riafferrare. Il presepio è là, davanti a noi. Costruito con infinita pazienza, oggi con più sbrigativa tempistica, esso risponde ancora in parte alle sollecitazioni che da esso rifluiscono verso di noi, colpo di coda d’un sentimento favoloso più che religioso? Non più il passaggio di suonatori di zampogna, all’alba, discesi nel finire del sonno, venuti – pascolianamente – dai monti oscuri a svegliare ciò che agonizza o è già morto per sempre.

C’è stata (quanto tempo fa?) una diffusa atmosfera di revisionismo mosso baldanzosamente ad atterrare gli idoli d’ogni genere. Si è usata un’arma che ha provocato ferite o scalfitture, ma niente di serio. Si è trattato di una moda del momento; poi i discorsi feroci in cui si preannunciavano in proposito sconquassi  sono stati ridimensionati, riportati  a una stanca ragionevolezza. Sono tanti ormai a capire che con certi argomenti non si viene a capo di niente; o si fa semplicemente dell’accademia. Meglio passare oltre. Glissons!

Avrà avuto ragione il Luca di Eduardo a rifiutare il presepio, ripetere ostinatamente che a lui il presepio non piace proprio? E in casa Cupiello non ha avuto, e certo non avrà neanche in seguito, vita facile. Meglio una bella dormita! O se, per un guizzo di magia, si venisse invitati a partecipare al chilometrico Christmas Dinner di Thornton Wilder, come se ne uscirebbe? Il Luca di De Filippo dovrebbe star seduto a un tavolo in un una sala da pranzo americana e lasciare sulle sue spalle scorrere il tempo di tre generazioni sentendo il tragico che c’è nella vita quotidiana. Il lungo pranzo di Natale wilderiano lo costringerebbe non tanto sull’occasione cerimoniale del pranzo natalizio quanto sulla prospettiva, sia pure in sede di finzione scenica, di partecipare a ben novanta pranzi di Natale. Curiose considerazioni davvero potrebbero accompagnarsi all’atto di smontare un presepio. Bisogna pur ricordare che il presepio come fatto culturale, ha suscitato movimento  fin dalla sua ‘invenzione’, rimane pur sempre un grande riferimento nella storia della religione cristiana, della poesia e delle arti, del folclore. Una produzione formidabile! Forse è bene ricordarsene smontando il presepio! Smontando un presepio può capitare di aprire un colloquio con i personaggi che vi agiscono da attori. Sono quei “pupi” (come vengono chiamati nella nostra tradizione salentina) ai quali ci si affeziona al punto da considerarli fraterni alla nostra vita quotidiana. Forse abbiamo attribuito loro un nome proprio, come si fa con le persone, ma anche con gli animali e perfino con gli esseri inanimati. Non è uno sciupio di nomi, di atteggiamenti, di nascita di rapporti che si direbbero ‘sentimentali’ se la cosa non apparisse vagamente ridicola. Ma perché, in fin dei conti? In famiglia, se vi dominano l’ordine e l’armonia, se prevalgono gli affetti e gli aspetti solidali, può avvenire che anche ciò che non appartiene strettamente al nostro mondo ne sia come risucchiato, incorporato nel nostro vivere familiare. Guardiamo con simpatia il bue e l’asinello, bestie pacifiche colte nella loro funzione di impianto di riscaldamento (vidi, in un presepio, anni fa, la presenza di due buoi e di due asinelli): avevano un proprio nome, rispettivamente Noè (per la longevità) e Allegrino per il suo andare baldanzoso. C’erano gruppi di massaie recanti uova, latte, galletti di primo canto, gustose forme di cacio. E si chiamavano queste donne con una serie di nomi biblici per non guastare l’atmosfera circondante l’avvenimento. Belle pastorelle recavano uova: altre donne portavano acqua con i secchi. Tutto era straordinariamente movimentato: Non erano giunti i Magi; poiché non c’erano a movimentare il corteo. Se ne deduceva che i Magi avessero preferito battere un percorso diverso indicato loro dalla stella che fungeva da guida.  E c’era tra la folla di comparse in corsa verso la grotta di Betlem una bella ragazzona, Ruth l’avevano rinominata in famiglia. Ma aveva veramente quel nome. O era, il suo, un altro nome scritto in fondo al suo cuore?

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