Esiste ancora un’archeologia della Magna Grecia? Gli effetti al Sud della Riforma Franceschini

di Francesco D’Andria

Un recente articolo di Antonio Ferrara, apparso nel Venerdì di Repubblica, illustra le più importanti scoperte dell’archeologia in Italia, effettuate nello scorso anno: per chi scrive la soddisfazione di vedere, nella mappa del Tesoro, Castro e la scoperta dell’altare di Minerva, risultato tuttavia di lavori eseguiti soltanto grazie alla donazione di un privato! Poi, guardando meglio la cartina, mi sono accorto che, per l’Italia meridionale, gran parte delle nuove scoperte si concentrava a Pompei ed a Paestum; del tutto assenti regioni come la Basilicata e la Calabria dove fiorì la Civiltà della Magna Grecia con città splendide come Taranto, Crotone, Metaponto e Locri, tanto per citarne alcune. Sarà certamente dipeso dalla casualità delle informazioni pervenute al giornalista, ma, effettivamente, la lacuna rappresenta plasticamente lo stato di crisi grave che ha colpito, in particolare, l’archeologia dell’Italia meridionale, dopo l’approvazione di una “normetta” nella Finanziaria del 2016 in cui si autorizzava il Ministro dei Beni Culturali “alla riorganizzazione, mediante soppressione, fusione o accorpamento degli uffici dirigenziali, anche di livello generale, del Ministero”. Il Ministro Franceschini non aveva perso tempo, prendendo a modello il sistema dei Beni Culturali che tanti disastri aveva provocato in Sicilia, e la soppressione ha riguardato soprattutto le Soprintendenze archeologiche, che sono state accorpate in una Soprintendenza unica “olistica”, secondo la espressione ossessivamente ripetuta dai responsabili dell’impresa; sono stati anche istituiti 20 super-Musei, quelli archeologici completamente staccati dal territorio, tranne che per l’area di Paestum. Intanto, con la legge Madia, le Soprintendenze erano messe sotto il controllo delle Prefetture. Perfetto!

Un libro recente di Mariarita Sgarlata, “L’eradicazione degli artropodi” (nel linguaggio di certa burocrazia indica semplicemente il diserbo delle aree archeologiche), descrive la situazione dei Beni Culturali in Sicilia; si legge tutto d’un fiato, per la vivacità e ricchezza di argomenti con cui l’autrice, archeologa all’Università di Catania, descrive la sua esperienza, ahimè di pochi mesi, come Assessore alla Cultura nell’ Amministrazione Crocetta. I pessimi risultati ottenuti dalle Soprintendenze unificate in Sicilia avrebbe potuto orientare le scelte di Franceschini e dei suoi consiglieri, almeno per tracciare un bilancio ed evitare i più madornali errori! Invece, come scrive M. Sgarlata a p. 28: “Tutto si poteva immaginare tranne che una fuga in avanti, portatrice di non poche rogne nel sistema della tutela e della valorizzazione nell’isola, potesse diventare, a distanza di quasi trent’anni, un modello di ispirazione per la riforma “olistica” del Mibact.”.  

A distanza di due anni dobbiamo ormai prendere atto del caos in cui versa la ricerca e la tutela archeologica nell’Italia meridionale. Le nuove Soprintendenze dell’Archeologia, Belle Arti (sic) e Paesaggio sono state prevalentemente affidate ad architetti, rendendo oggettivamente più farraginosa l’organizzazione della tutela e della ricerca sul patrimonio materiale della Storia. Dopo 100 anni la Soprintendenza Archeologica di Taranto, dove è custodita la memoria storica della ricerca in Puglia, è stata ridotta ad un ufficio periferico, perdendo le competenze sulla parte centrale e settentrionale della nostra Regione. Un ulteriore colpo ad una città martoriata da problemi enormi di tenuta economica e civile: e la promessa di Franceschini di farne la “città laconica”, erede dell’eredità di Sparta, sembra davvero una beffa! Anche il Museo Archeologico, tra i 20 super-Musei a gestione autonoma, nonostante gli sforzi della sua Direttrice, tuttavia un’archeologa medievale nel Museo più importante della Magna Grecia, appare completamente avulso dalla ricerca sul territorio, che rimane in capo alla Soprintendenza. Ora che sono andati in pensione le ispettrici che da anni operavano nei territori di Taranto e di Brindisi, hanno fortunatamente preso servizio due nuovi funzionari, vincitori del concorso. Anche loro archeologi medievali: ma per essere “olistici” non c’è bisogno di avere conoscenze specifiche sulla straordinaria civiltà di Pitagora e di Archita! Con buona grazia delle Scuole di specializzazione in Archeologia che continuano a proporre percorsi differenziati per la Preistoria, l’età classica ed il Medioevo.

Ma c’è ancora dell’altro: con la dissennata abolizione delle Provincie, senza pensare a riattribuirne le competenze, anche due Istituzioni come i Musei Provinciali di Lecce, dove sono conservati i tesori di Rudiae, e di Brindisi, con i bronzi di Punta del Serrone, una delle più importanti scoperte dell’archeologia subacquea, boccheggiano da due anni, creando un irreparabile danno all’immagine della nostra Regione ed alla libertà della ricerca scientifica, ormai ostacolata da inimmaginabili cavilli posti da burocrati di varia formazione, messi a dirigere questi Musei. Il caos ormai è totale, con il proliferare di nuove strutture, alla faccia della semplificazione invocata dai nostri Riformatori: mentre restano inossidabili le dodici (dico dodici) Direzioni generali a livello centrale del Ministero, bisogna fare i conti con i Segretariati regionali del Ministero, eredi delle inutili e dannose Soprintendenze regionali, con le Direzioni dei Poli museali, con i Musei autonomi: una macchina infernale dalla quale nessuno può salvarsi, funzionari, cittadini, ricercatori.

Intanto in Basilicata il sistema dei Musei, tutti, tranne uno, archeologici, creato dal mio maestro Dinu Adamesteanu, lui sì, davvero un grande Soprintendente, sono al collasso e la Direttrice del Polo Museale, una storica dell’arte moderna, si interroga sul da farsi; ma mancano funzionari specializzati e i Parchi archeologici di Metaponto e Policoro sono ormai allo sbando. In Calabria il Ministero abbandona allo sbaraglio i suoi funzionari, in situazioni difficili come a Crotone, dove la magistratura indaga, su gravi e inquinate vicende di tutela.

La situazione disperata della tutela archeologica in queste regioni è un ulteriore segno dell’abbandono, da parte degli ultimi governi, di una reale politica di sviluppo culturale dell’Italia meridionale: ancora più grave perché colpisce l’archeologia, una delle risorse maggiori del Sud, anche a livello economico. In questa situazione di caos le Associazioni di archeologi professionisti che operano nel Sud, i giovani che abbiamo formato nelle nostre Università, denunciano la perdita di importanti opportunità di lavoro… e la disoccupazione giovanile cresce. Al di là del trionfalismo con cui il Ministro Franceschini annunciava l’aumento dei visitatori paganti, il nuovo Governo dovrà necessariamente ripensare, in modo radicale, scelte che sinora hanno provocato soltanto disastri. E nel considerare i Musei come macchine per far soldi, magari riflettere su quanto scriveva un grande museologo francese Georges-Henri Rivière: “Il successo di un Museo non si misura dal numero di visitatori che riceve, ma dal numero di visitatori ai quali insegna qualcosa”.

Per il 29 settembre prossimo, nell’ambito del Convegno di studi sulla Magna Grecia a Taranto, si organizza un incontro, proprio per fare il punto sullo stato della tutela di un patrimonio archeologico così importante. Speriamo che in quella occasione potremo registrare un cambiamento in positivo della sconfortante situazione attuale!

Concludo con un appello a smetterla di usare il termine di Policlinici per indicare come si vorrebbero ristrutturare le Scuole di Specializzazione nei Beni Culturali: un termine che evoca medici e malattie incurabili e che sinora ci ha portato parecchia sfortuna. E per chi opera nel Meridione d’Italia non è cosa di scarso rilievo!

Lecce, Università del Salento 22 febbraio 2018.

[“Archeologia Viva”, maggio giugno 2018]

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