Professori: da ricercatori a burocrati

di Ferdinando Boero

Non parteciperò al blocco degli esami, così come non ho partecipato all’astensione della presentazione dei prodotti della ricerca ai fini della valutazione del sistema universitario. Questo non significa che non reputi giustissimi i motivi della protesta dei professori universitari. Ce ne sono molti altri che, secondo me, richiederebbero una mobilitazione generale. Quel che più mi sta a cuore è contrastare la proliferazione di adempimenti burocratici che i prof. sono chiamati a svolgere. Le riunioni sono sempre più frequenti, abbiamo complicati registri da compilare, e ci sono schede su schede con la quali dobbiamo documentare ogni nostra mossa. Tutto viene misurato con indicatori e, paradossalmente, se davvero dovessimo ottemperare a tutti questi obblighi passeremmo più tempo a documentare quel che facciamo che a farlo realmente.

Le procedure burocratiche sono opprimenti. Non possiamo comprare il computer che ci serve, dobbiamo comprare quello proposto dal mercato elettronico. Non siamo liberi di usare come pare a noi i fondi che riusciamo ad ottenere con la nostra progettualità, dobbiamo seguire le indicazioni di ottusi burocrati che non hanno mai praticato la ricerca scientifica. Certo, ci sono stati abusi, qualcuno ne ha approfittato. Ma questi fenomeni si verificano anche negli apparati burocratici. Come mai è la burocrazia ad assumere sempre maggiore rilievo? In molte università le unità di personale amministrativo superano le unità di personale dedicato alla docenza e alla ricerca. Sembra che il fine primario dell’università non siano la didattica e la ricerca, ma la produzione di impeccabili scartoffie. I prof. dovrebbero ribellarsi a tutto questo, prima ancora di ribellarsi a tagli nei loro stipendi. Essere trasformati da ricercatori a burocrati, perché questo ci viene chiesto, è la negazione del nostro progetto di vita. 

Fatichiamo molto a trovare fondi per svolgere ricerca scientifica e, una volta che ci riusciamo, essi sono taglieggiati dalle amministrazioni che, oltre a prendersi sostanziose percentuali, ci rendono molto difficile adoperarli. Se si applicano alla lettera tutti i regolamenti risulta impossibile fare alcunché; la risposta più frequente, se si chiede qualcosa, è: non si può fare. Poi andiamo all’estero e vediamo che si fa. Tutti gli ostacoli che qui paiono insormontabili non sussistono nei paesi più avanzati. Anche in quelli, comunque, la burocratizzazione avanza. L’Italia potrebbe essere il laboratorio in cui, per a prima volta, l’università si ribella all’oppressione burocratica. Tutte le università dovrebbero smettere di inviare quelle assurde schede al ministero, e dovrebbero proporre sistemi di gestione alternativi e semplici. Dovrebbero spendere i fondi della ricerca in modo razionale, affrontando poi i rilievi dei tribunali amministrativi con la forza dei risultati e del raggiungimento degli obiettivi. Bassanini, nella sua riforma, propose preminenza degli obiettivi rispetto agli adempimenti. Gli apparati burocratici resistettero e vinsero la battaglia. L’accanimento burocratico continua. E dato che le procedure sono complicate, c’è sempre più bisogno di burocrati per espletare la mole di lavoro escogitata dai burocrati. La burocrazia, non vorrei essere frainteso, è di vitale importanza, e avere burocrati capaci è un presupposto imprescindibile per far funzionare qualunque apparato produttivo. I bravi burocrati sanno indicare vie rapide e efficienti per fare le cose. I cattivi burocrati complicano. Se le vie sono rapide e efficienti non c’è bisogno di un enorme apparato burocratico. Se i reparti di “produzione” (nel caso dell’università i docenti) sono meno supportati dei reparti di amministrazione, c’è qualcosa che non va. Si investe più negli adempimenti che negli obiettivi, come se il compito dell’università fosse di produrre impeccabili scartoffie e non didattica e ricerca di livello internazionale.

A questo ci dobbiamo ribellare. E dobbiamo trovare forme di lotta che non danneggino l’università e gli studenti. Non presentare i prodotti per la valutazione ha danneggiato l’università, far saltare gli appelli d’esame danneggia gli studenti. Gli obiettivi dell’università, lo voglio ripetere, sono solida ricerca su cui basare solida didattica. Non ha senso, per i prof., rivendicare alcunché andando contro gli obiettivi del proprio lavoro.

Non conosco un solo professore universitario che non dica che l’oppressione burocratica è oramai intollerabile e costituisce una palla al piede per tutto il sistema della ricerca e della didattica. Finisco con i precari. Il sistema procede perché un esercito di precari opera nell’università svolgendo attività di cruciale importanza. Sono di solito pagati con i fondi dei progetti di ricerca e il loro futuro è sempre più legato a un filo. Anche per loro dobbiamo protestare, soprattutto per loro. Non dico che il riconoscimento degli scatti di anzianità ai fini della pensione non mi interessi, come non dico che non mi interessino gli incrementi stipendiali da essi derivanti, ma ritengo che ci siano ben più gravi motivi per protestare in modo radicale su come l’università è stata trattata fino ad ora. La criminalizzazione dei prof. universitari, dipinti come baroni autoreferenziali e nullafacenti, trova conferma se le nostre rivendicazioni mirano a tener nascosto il nostro lavoro (come avviene quando non si presentano i prodotti per la ricerca) o a danneggiare gli studenti. La criminalizzazione della categoria è talmente avanzata che i nostri curricula vengono derisi se sono troppo dettagliati ed elencano troppe attività, come è successo all’attuale Presidente del Consiglio, accusato di aver “gonfiato” il proprio curriculum con attività che non erano sufficientemente supportate da adempimenti burocratici. Poi si è visto che le aveva svolte, ma che importa? Se manca il pezzo di carta che lo prova, quel che facciamo non esiste.

Lo snellimento burocratico è una condizione imprescindibile per risollevare il paese.

Ultima nota. Collaboro a diverse testate giornalistiche e, quindi, mi reputo un giornalista dilettante. Mi vien da chiedere: ma potrebbe funzionare un qualsiasi periodico se il numero di addetti all’amministrazione superasse il numero dei giornalisti?

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di giovedì 7 giugno 2018]

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