I libri d’arte e di poesia di Luisella Carretta

di Maurizio Nocera

Nel 2008, presso il Fondo Verri (Lecce) ebbi occasione di presentare due libri di Luisella Carretta, l’artista-performer di Genova, amica e assidua frequentatrice del Salento. I due libri in questione erano:

– Atelier nomade, Campanotto editore, Pasian di Prato (Udine) 1998, pp. 80. Edizione numerata di 500 esemplari.

– Il mondo in una valigia. Atelier nomade 2, Campanotto editore, Pasian di Prato (Udine), 2006, pp. 176. Edizione numerata di 500 esemplari.

Più o meno, le parole che l’autrice disse sono queste: «Sono un  amante dei libri, nel senso che mi piacciono i libri, quindi sono una bibliofila, e su tale amore mi ritrovo sullo stesso cammino tracciato dall’illustre stampatore del secolo scorso, Alberto Tallone di Alpignano (Torino), oggi indicato come il continuatore della tradizione italiana della bella stampa accanto al grande Gianbattista Bodoni della fine del ‘700. Ritrovarmi sullo stesso cammino tracciato da Tallone, significa per me ritenere i libri come se fossero dei figli, appunto come egli scriveva e diceva dei suoi libri “figli di carta”».

Questa premessa è necessaria per dire che quando ho avuto tra le mani i due volumi di Luisella, la prima cosa che ho fatto è stato di considerare i due volumi dal punto di vista della loro fattura, della loro veste tipografica.

Il primo libro ha per titolo Atelier nomade, in-16° (cm.14 x 21), il cui numero progressivo di edizione è il 427 (pp. 80) ed un’amichevole dedica alla prima pagina, che recita: «A Maurizio, altri viaggi, affettuosamente. Luisella, Genova 13 novembre 2004». Questa data mi ricorda da quanto tempo conosco Luisella e nella mente si affollano le cose belle che da lei ho ricevuto e quante me ne ha insegnate allargando notevolmente l’orizzonte delle mie conoscenze. Il libro fa parte della collana “Le carte nascoste”, n 7, curata da Federico Santini, e come tutti i libri a cui l’editore vuole dare una certa importanza relativa al tempo di vita futuro – almeno così è sempre nelle intenzioni – è lo stesso Campanotto editore che lo cura, scrivendo che «è stato impresso a Pasian di Prato nel laboratorio d’arte Grafiche Piratello nel mese di luglio 1998». Ovviamente la carta è quella pregiata uso mano, come pure il cartoncino della copertina, che ha il pregio di mostrare le scanalature del telaio sul quale s’è depositata la pasta cartacea. Le immagini, tutte tavole riprese dalle incisioni della Carretta, sono in bianco e nero e impresse in monocromia a due passaggi, tanto da far emergere il pur minimo particolare dell’ideogramma o del pittogramma che l’artista aveva elaborato. Il contenuto del libro, i testi per intenderci, sono scritti quando in forma di versi, quando in forma di prosa. Il tutto però è sempre pervaso da un tratto esplicitamente poetico, che la Carretta sa curare con maestria. Le tematiche, tipiche dell’autrice, spaziano dall’epistola al taccuino di viaggio, dalle riflessioni sui sudari alla mitica Atlantide, tematica da lei molto amata.

Il secondo libro ha per titolo Il mondo in una valigia. Atelier nomade 2, in-4° (cm 17,50 x 25) con il numero progressivo 136 su 500 esemplari (pp. 176), e non ha dedica. È il 42° della collana “Le Carte Nascoste”, curata sempre dallo stesso Federico Santini, mentre il volume continua a essere curato dalla Casa Campanotto editore e stampato dallo stesso tipografo; cambia solo il mese e l’anno di stampa, che in questo caso è novembre 2006. Dal punto di vista della carta sono confermate le stesse caratteristiche di Atelier nomade, mentre sia il corpo come pure il carattere, che sono gli stessi dal punto di vista tecnico, appaiono qui più luminosi grazie alla maggiore ampiezza della pagina. Bellissimi gli incipit ai volumi.

Nel primo volume, a p. 11, l’autrice spiega il suo percorso scrivendo: «Atelier Nomade/ è un progetto, un percorso che attraversa la vita e l’arte.// Atelier Nomade/ è essere curiosi dei luoghi lontani e vicini.// Atelier Nomade/ è gettare le maschere e porsi ad un ascolto attento del mondo// Atelier Nomade/ è un gesto di libertà dagli schemi dell’arte.// Atelier Nomade/ è guardarsi dentro per pensare a sé e agli altri».

Nel secondo volume invece (a p. 12), titolata Indefinizione del viaggio, scrive: «Il viaggio è andare/ il viaggio è preparare un bagaglio/ prendere poche cose/ lasciarne molte/ il viaggio è fuga/ il viaggio è ritorno/ il viaggio è viaggio dentro/ il viaggio è arrivare in qualche luogo/ il viaggio è ritrovare se stessi diversi/ il viaggio è incontro con luoghi/ persone/ luci e colori e odori/ il viaggio è riconoscere/ altri uomini/ diverse culture/ il viaggio è droga/ il viaggio è attesa di un nuovo andare/ il viaggio è curiosità/ il viaggio è non avere paura/ il viaggio è perdersi/ il viaggio è ritrovarsi/ il viaggio è andare per fermarsi/ il viaggio è essere un punto/ su una carta geografica// il viaggio è essere soli/ il viaggio è incontrare amici e nemici/ il viaggio è il piacere dell’andare/ il viaggio è il piacere del guardare/ il viaggio è sapere di essere/ il viaggio è essere dall’altra parte/ il viaggio è guardarsi da lontano/ il viaggio è un nuovo sguardo/ il viaggio è cambiare il punto di vista/ il viaggio è perdere e trovare/ il viaggio è imparare ad essere soli/ il viaggio è non avere regole/ il viaggio è dimenticare/ il viaggio è ricordare/ il viaggio è essere felici/ il viaggio è disperazione del ritorno/ il viaggio è voler ritornare/ il viaggio è sentirsi estranei/ il viaggio è essere nel proprio spazio/ il viaggio è la vita/ forse, la vita è un viaggio».

Che dire? Io non ho frasi per definire questo essere viaggiatori nel tempo e dello spazio. Io non ho parole per dire della bellezza di questo canto omerico. Io non posseggo una punteggiatura che sia all’altezza del compito per giudicare la forza di questo messaggio poetico. So solo dire di sentirmi anch’io, sia pure in toni molto più modesti rispetto all’autrice, un viaggiatore nel tempo e dello spazio.

Ho avuto la fortuna di vivere uno di questi straordinari viaggi di questa Venere bendata. È accaduto non molto tempo fa, qui, nel Salento, anno 2004, quando Luisella, su invito di Vincenzo Ampolo, è venuta a regalarci la sua performance Oltre il giardino, una lunga triste gioiosa storia d’una donna che si fa sudario di Cristo e acqua per la redenzione di alcuni alberi di noce che stanno per essere spiantati a pro di una selvaggia urbanizzazione edilizia. E ancora oggi mi porto dietro la sua nenia lontana e carezzevole rivolta alla mia terra, al Salento. Scrive: «Quella terra è ora di nuovo lontana./ Mi mancano profumi, mari scintillanti, luci chiare, suoni di parole, musica./ Forse tornerò per sdraiarmi ancora sulla sabbia in riva allo Ionio» (p. 41).

La magia del viaggio di ritorno s’è poi avverata: Luisella Carretta tornò in Salento il 22 maggio 2008, presso la sala-conferenze del Fondo Verri di Lecce, con appreso l’amica valigia sempre pronta per le partenze e i ritorni. Ora gli anni sono passati, e tanti ormai, eppure Luisella è divenuta per me una sorta di sfondo permanente della coscienza che, come bambino stralunato, mi porto dentro un cesto di cara nostalgia.

Nella postfazione al libro Atelier Nomade 2, Angela Biancofiore scrive: «L’artista scrive, dipinge e iscrive il divenire storico nell’opera. Il suo nomadismo si pone immediatamente al cuore delle contraddizioni che sono il motore della creazione. I conflitti creano opposte tensioni nell’opera e arrivano a esprimersi: la creazione artistica e la scrittura si rivolgono a una rete di esistenze, una costellazione di affetti, di amicizie che costituisce un gruppo eterogeneo che abita il mondo» (p. 168).

Quel mondo, quegli affetti, quelle amicizie, quelle parentele attraverso le quali si è dipanata la vita di Luisella Carretta, vita che lei non ha mai dimenticato in quanto figlia di in un ingegnere genovese morto nel 1963. Proprio quella morte che per lei significò rottura, disperazione, scompaginante depressione. Il padre fu (ancora oggi lo è) per Luisella un riferimento essenziale.

Nella seconda guerra mondiale era stato ufficiale artificiere, disinnescatore di bombe e di mine inesplose. Ma come sempre accade in missioni come quelle di disinnescare una bomba può accadere poi di saltare su una di esse. Ed è quello che accadde al padre di Luisella, che saltò su una di quelle bombe. Era il 1943, Luisella era ancora bambina, ma quando gli fecero vedere il babbo per puro atto di ufficio per il riconoscimento, fu per lei come se si fosse accesa una torcia quasi del tutto consumata. Un calvario di sofferenze fu salvarlo da quella esplosione. Per mesi e mesi, Luisella guardò il corpo del padre sempre avvolto in delle garze, in un continuo permanente sudario. Una mummia, una statua ingessata. Soffriva lui, soffriva lei. Alla fine, il padre si salvò, ritornò a fare lo stesso lavoro di prima, questa volta con maggiore attenzione, ma anche con grande coraggio. Poi la sua vita continuò fino alla morte, avvenuta appunto nel 1963. Per i due anni successivi Luisella, che all’epoca non aveva ancora compiuto 25 anni, non riuscì a parlare, non riuscì a camminare; soffriva spesso di allucinazioni, sentiva voci che provenivano da un aldilà che non riusciva a percepire da dove. Il suo peso corporeo spaventosamente diventò un nulla: divenne anoressica, non trovò più pace, la vita le divenne un tormento. Quando ormai stava per morire anoressica, subì un’ultima allucinazione: nella stratosfera della mente vide, percepì un tunnel e su in alto, sulla cima di una montagna, verso quota 2000, dalle parti delle Dolomiti, vide una baita circondata da prati verdi con panorami mozzafiato. Riconobbe i luoghi. Erano quelli frequentati da lei bambina col padre, del quale ora risentiva la voce nei meandri dell’allucinazione. Quella voce le diceva: «Guardare questi luoghi bellissimi è come vedere la bellezza in assoluto, il paradiso in terra».

Fu allora che si convinse che forse l’unica possibilità di vita rimastele era quella di cercare in tutti i modi di raggiungere quei luoghi. Lo fece. Lei, ormai quasi morta, gettò via tutte le medicine delle terapie che i medici le avevano prescritto per la sua salvezza. Accompagnata da una vecchia zia rintracciò i luoghi dell’allucinazione, e qui si rifugiò in un piccolo albergo. Ormai percepiva che questo suo tentativo di salvarsi era l’ultimo della serie. Dopo ci sarebbe stata la morte. Sapeva di non potere uscire viva da questa esperienza in extremis. Però, sempre, rimase convinta di doverla fare, perché, anche nell’eventualità della morte in corso d’opera, lei aveva tentato di ricongiungersi col padre, di sotterrarsi assieme a lui, già sepolto ormai da più di due anni. Stremata dalla depressione, abbattuta dall’anoressia, debilitata dalla sofferenza, tentò di sopravvivere alla nuova esperienza. Ancora non mangiava, non camminava, non riusciva a muovere gli arti, in particolare quelli superiori. Ma, qualcosa sentì muoversi a livello di corteccia cerebrale. Non era ancora passata una settimana da quando era arrivata al rifugio alpino che cominciò ad alzarsi dal letto, cominciò a guardarsi intorno, a fare i primi passi dal letto alla finestra, chiedere dell’acqua da bere, dei succhi di frutta. Prima bevve con gli occhi, poi cominciò a farlo con le labbra e la bocca. Rivide i panorami bellissimi, i prati sempre verdi, cominciò così a sentirsi attorno anche la figura del padre. La “morta” Luisella sentì di rinascere. Il sudario che la teneva stretta nella morsa della morte cominciò, come per miracolo, a sciogliersi. Ricominciò a respirare meglio, le energie cominciarono a ritornare nei muscoli, cominciò a muoversi, ritornò a cibarsi. Questo suo lento emergere dal sottosuolo, questo suo rinascere alla vita durò non pochi mesi. Ma ce la fece.

Ritornò nella sua amata Genova. Finalmente il ritorno in quello studio che il padre anni prima le aveva donato affinché lei avesse un luogo tutto suo, per il suo psichico sé, per i suoi interessi artistici. Così la vita per Luisella ricominciò, un po’ come per ognuno di noi c’è sempre un incominciamento dopo una caduta. Ed è dentro a questo mondo comune dell’Inizio che lei si vide emergere con forza l’attaccamento alla natura, al mondo dei voli, prima quello dei rapaci, poi quello dei gabbiani, delle api, delle poiane, di ogni altro tipo di volo, compiuto da esseri alati. Non ci volle molto tempo perché uno scienziato del calibro di Giorgio Celli (Verona, 16 luglio 1935 – Bologna, 11 giugno 2011) si accorgesse di quanto andava facendo. Il passo successivo per Luisella fu, tuttora lo è, il suo studio sui voli pubblicati e studiati da diversi scienziati nei secoli passati.

Oggi, Luisella Carretta continua le sue ricerche e i suoi disegni sui voli degli uccelli. Una riflessione profonda, non episodica, mi dà l’idea della sua straordinaria capacità d’artista sempre aperta all’esperienza viva della vita, quella vera e profondamente umana, che la porta spesso a fare esperienze estreme, come quella per me indimenticabile vissuta in Salento quando lei l’avvolgemmo in un sudario come quello di Cristo e come quello di suo padre ferito. Fu allora che il cuore mi tremò per questa cara amica.

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