Elogio del cartaceo. Meno male che la stampa locale c’è!

di Gigi Montonato

Leggevo da qualche parte che la stampa locale, cartacea s’intende, resiste agli attacchi dei social e del web. Non ho a portata di mano dati sufficienti per poter dire se si tratti solo di un augurio o di una constatazione. Vorrei che fosse la seconda. Frequento da anni le tipografie e posso dire che quel fervore di testate di prima oggi non c’è più. Erano giornali paesani, quelli che si stampavano, il più delle volte a periodicità mensile. Qualcuno ha resistito di più, altri di meno, altri ancora hanno cessato.

Prima di dire che la funzione della stampa paesana sia oggi soddisfatta dalle redazioni provinciali dei quotidiani (“Nuovo Quotidiano di Puglia” e “Gazzetta del Mezzogiorno”) o dai social e dal web, vediamo in che cosa consisteva – e in parte ancora consiste –, quale ruolo ricopriva, a quale bisogno rispondeva, chi la pagava, chi ne era il destinatario.

Intanto c’è una prima divaricazione da sottolineare, tra il cartaceo e il web. Molta stampa locale, che prima era cartacea, ora è web (vedi la gallipolina “Piazza Salento”); altra, come il tricasino “Il Gallo”, è su entrambi i piani, seguendo l’esempio della grande stampa nazionale.

Il confronto è duplice, fra locale e nazionale, fra cartaceo e web; con un occhio di riguardo allo stato di salute e alle prospettive della stampa locale cartacea.

Essa nasceva per iniziativa di giovani professionisti o cultori locali, insegnanti e professori per lo più, a volte come personale ingresso nella vita pubblica, altre volte per innato bisogno di esprimersi e comunicare con gli altri o più semplicemente per “fare paese”, compito avvertito tradizionalmente dalla categoria docente.

Più generalmente era una sorta di diario di paese, in cui si registravano nascite, morti, matrimoni e anniversari, si rievocavano fatti e personaggi locali, note di costume, detti popolari, poesie dialettali, tematiche politiche, sociali, economiche e ambientali, curiosità varie. Tipo “Il nostro Giornale” di Supersano, che ancora esce. Più circoscritta la stampa parrocchiale, come “La voce di S. Rocco” di Torrepaduli o “Il Santo dei voli” di Copertino, tuttora editi.

Il periodico locale, specialmente quello a forma di giornale, riproduceva nel suo piccolo il modello del quotidiano, perfino nell’impaginazione. A caratterizzarlo erano disponibilità e competenze di direttore e redattori. Vi poteva prevalere la vivacità politica, la letterarietà dei testi, la militanza ambientalistica, la memorialistica, la scrittura creativa, l’attività filantropica.

Rispondeva ad un bisogno socializzante nell’immediato, di testimonianza di sé e del proprio tempo in prospettiva, nella consapevolezza che comunque la scrittura pubblica è di per sé un fattore di maturità civica, di crescita urbana, di cultura. Non c’era, poi, amministrazione comunale che non ambisse ad avere un foglio a sua disposizione, per pubblicizzare il proprio operato e difendersi dagli inevitabili attacchi di avversari; in ciò contesa dalle altre forze politiche.

A finanziare questa stampa era lo stesso destinatario, anche sotto forma di pubblicità, ossia il pubblico dei lettori, che comprendeva i residenti ma anche gli originari del luogo che temporaneamente o stabilmente risiedevano fuori e conservavano col paese un legame affettivo.

Questo tipo di stampa ebbe negli anni dell’emigrazione (Sessanta/Ottanta) un importante ruolo informativo e partecipativo. Essa rafforzava il senso di appartenenza e di aggregazione, andava a raggiungere il compaesano ovunque si trovasse; era fattore di vivacità culturale.

Viene di dire subito che con la diffusione dei social e del web un simile tipo di stampa è del tutto superato. Superato, però, non significa vanificato. Se oggi, infatti, si può informare in tempo reale un amico o un famigliare di quanto accade in paese a distanza di migliaia di chilometri – ma già lo si poteva fare anche prima col telefono – allegando perfino foto e filmati, non si può dire che si tratti esattamente dello stesso tipo di informazione. Sono prodotti diversi, l’uno non sostituisce l’altro. Il periodico locale cartaceo ha uno specifico esclusivo. Teoricamente non c’è nulla che il web non possa fare di quel che fa il cartaceo; ma, quand’anche riproducesse totalmente il cartaceo, come può fare e fa, resterebbe qualcosa di diverso. Dalla sua il cartaceo ha l’autoepifania, la rappresentazione di sé. Esso è aperto, mostra tutto quel che è e nel tempo che è; il web è chiuso nel suo involucro. Nessuno può leggere un tablet spento come può leggere un giornale anche solo prendendolo in mano per caso. Il cartaceo è sempre “acceso” e immediatamente consultabile. Il web finisce per essere, pur nella sua immensità di notizie, muto. La stampa è, per definizione, cartacea o non è.

Né si può oggi sottovalutare l’allarme lanciato dagli esperti del web, i quali sostengono che nessuno può garantire la memoria dei computer e che pertanto se si vuole essere certi di conservare i testi meglio stamparli su carta.

Ovvio che tra cartaceo e web è radicalmente diversa la scrittura, e non è solo questione di lunghezza. Di ogni testo si può fare il commento, il riassunto e l’analisi critica. Una notizia sul social non trasmette che un dato arido, essenziale; una notizia sul cartaceo veicola dettagli, informazioni, emozioni. Il web informa laddove il cartaceo comunica, nel senso che è comunione di notizie, ma anche di emozioni, fra un numero imprecisato di persone nello spazio e nel tempo.

La lettura di un giornale ti apre al mondo, ti dà l’idea di appartenere ad un mondo più vasto; il web ti riporta al piccolo contenuto di qualcosa che senti quasi riservato. L’informazione è come l’imbuto: la locale esce dal piccolo e stretto e va verso il grande e il largo; l’altra, dal grande e largo s’infila nel piccolo e stretto.

E’ innegabile che i social e il web abbiano messo in crisi il cartaceo, non tanto perché offrono prodotti più immediatamente fruibili, ma perché hanno disabituato le persone a leggere, indebolendone le facoltà intellettive. Appena i lettori, che in Italia peraltro non sono stati mai in gran mumero, hanno avuto la possibilità di conoscere una notizia da altri mezzi di informazione si sono buttati a capofitto, disabituandosi dalla lettura lenta e riflessiva che solo il cartaceo offre. Basta vedere in qualsiasi locale pubblico quanti sono con lo smartphone in mano, come i martiri cristiani con la palma. Il web ha iconizzato le persone, le ha impigrite e impoverite, le ha banalizzate, ne ha ridotto le capacità di riflessione e di intelligenza critica.

La stampa cartacea si deve arrendere all’aggressione del web, come il romanzo allo sceneggiato e il vetro alla plastica? Nient’affatto. Occorre puntare sullo specifico, su quel che il cartaceo ha di insostituibile e di straordinariamente buono, per rilanciarlo.

La lettura della carta stampata impone tempi, che apparentemente sembrano penalizzanti, in realtà sono premianti. Che la lettura avvenga seduti in poltrona a casa o in attesa in un ufficio o al dottore poco importa. Si tratta di uno spazio terapeutico contro l’ansia e la fretta, allo stesso tempo sviluppa l’intelligenza e rafforza la riflessione critica.

Alcuni studiosi in Italia e nel mondo, di recente, hanno dimostrato che perfino la scrittura a mano, con la sua lentezza, ha insospettati effetti terapeutici contro l’ansia che, come ognuno sa, è uno dei mali più brutti e diffusi del nostro tempo.

Quanto alla stampa cartacea locale, da dove si è partiti, è senza scadenza, ti dà perfino la scelta di leggere a tuo piacimento ed è, ripassandola dopo – mai buttarla! – una sorta di album del proprio paese, che è poi anche il tuo. Che fa tanto bene, di tanto in tanto, sfogliare.

[“Presenza taurisanese” XXXVII,  n. 3 – marzo 2019, p. 13]

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