27 maggio 2019: Centenario della nascita di Andrzej Nowicki

Amava ogni forma di arte e di pensiero e non di rado faceva incursioni da filosofo nella poesia, nella pittura, nella scultura, nella musica. Riteneva che la filosofia stesse in tutte le Muse. Egli stesso si cimentò come poeta. In una sua poesia disse a chi avesse voluto incontrarlo dopo morto di non andare in cimitero ma in biblioteca, di non soffermarsi sulla sua tomba ma sui suoi libri.

Per lui ogni incontro dell’uomo con altri uomini o con animali o con luoghi o con oggetti era un arricchimento, un passo verso la formazione.

Ci sono i grandi sistemi di pensiero – diceva – ma ognuno se ne può creare uno. Il suo era l’Eismo, la presenza dell’uomo nelle cose. “Il mio sistema filosofico ha una struttura polimerica, è divisibile cioè in infinite particelle che hanno la forza di staccarsi dal sistema per condurre una vita indipendente, e policentrica: le particelle, concatenandosi, formano dei potenti centri ovvero dei campi di tensione che mettono il mio pensiero in movimento continuo […]. Eismo, dalle iniziali dei primi tre nuclei: ergantropia, incontrologia, spaziocentrismo”.

Era un uomo straordinariamente curioso di sapere e questo probabilmente gli nocque sul piano della ricerca e degli studi filosofici perché gli impedì di concentrarsi e di approfondire una disciplina o un indirizzo. Conosceva molte lingue moderne, padroneggiava il greco e il latino, ad un certo punto si mise a studiare il cinese, affascinato dagli ideogrammi, interrompendo i suoi studi sulla filosofia rinascimentale, dove poteva vantare competenze importanti. Altra incursione sua fu nel mondo dei sogni. Il suo concettualismo spesso scadeva in forme che da noi appaiono banali e ingenue. Era suggestionato dal mito tanto quanto lo era dalla storia. La sua ragione era ossimorica: lo spirito esiste, ma è fatto di particelle materiali.

Le cose più interessanti le scrisse sulla filosofia italiana del Rinascimento; su Giordano Bruno e Giulio Cesare Vanini. Probabilmente per la loro comune vicenda umana, entrambi arsi sul rogo.

In particolare di Vanini diede una lettura rivoluzionaria, per taluni stravagante. L’opera vaniniana può essere smontata pezzo per pezzo e rimontata a piacimento. Non vale accusarlo di plagio perché tutti i brani presumibilmente plagiati sono stati utilizzati da Vanini per sostenere sue personalissime e originalissime idee. Ogni autore esiste per sé ma soprattutto per gli altri; e Vanini resta uno straordinario esempio.

Come tutti i polacchi, amava il suo paese oltre ogni limite. Finché ci fu il comunismo, che del totalitarismo è un modello assoluto, non pronunciò mai parola contro il governo del suo paese; ma dopo, quando al governo in Polonia tornarono le forze conservatrici e reazionarie – così lui le chiamava – pur con prudenza fu decisamente critico.

Fu un grande amico dell’Italia e affascinato dai luoghi dei grandi della nostra storia. Taurisano, dove fu per la prima volta il 23 dicembre del 1959, per lui, era una categoria filosofica, come Nola per Giordano Bruno e Stilo per Tommaso Campanella, stelle nel firmamento della cultura per aver dato i natali a così grandi uomini.

A Taurisano tornò più volte. Entrò in contatto con la famiglia di Luigi Ponzi, che sapeva custodisse reperti importanti, collezioni di giornali e libri che potevano interessarlo. Conobbe Francesco De Paola e Luigi Crudo, che negli anni sessanta del Novecento a Taurisano si occupavano di politica e di cultura. Fu a casa degli studiosi locali, non solo a Taurisano, e strinse con loro amicizia franca e sincera.

Lo conobbi personalmente a Lecce, nella Casa del Mutilato, dove la sera del 13 dicembre 1969 tenne la conferenza “Vanini e il paradosso di Empedocle”. Quello stesso giorno era apparso su “Voce del Sud” un mio articolo “La dimensione politico contemporanea di Giulio Cesare Vanini”, in cui sostenevo che l’interesse suo per Vanini era un inno alla libertà in un paese in cui di libertà non ce n’era. Mi regalò diversi opuscoli con dedica e mi disse che quanto avevo scritto gli avrebbe potuto procurare qualche guaio. Lo rividi nel 1985, in occasione del Convegno di Studi su “Giulio Cesare Vanini: dal tardo Rinascimento al libertinisme érudit”. Da allora fu tra i più assidui collaboratori di “Presenza” fino alla morte, con oltre cento titoli e con un cospicuo materiale inedito, fra lettere e articoli.

Lo introdusse a Taurisano un taurisanese, Antonio Corsano, lo storico della filosofia dell’Università di Bari. E fu anche per sua segnalazione che l’Amministrazione Comunale gli conferì la cittadinanza onoraria. A lui a Taurisano è intitolata la sala conferenze di “Casa Vanini”.

[“Presenza Taurisanese” anno XXXVII n. 5 – Maggio 2019, p. 6.]

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