Fiabe 3. I Giganti

Però non li sapevano descrivere, perché, da tanto tempo, non c’era più nessuno che li avesse mai visti. Va da sé comunque che, essendo tanto grandi, dovevano essere per forza anche molto cattivi. E così gli abitanti della vallata non oltrepassavano mai il vecchio ponte sul ruscello.

C’era il serio pericolo di restare schiacciati sotto gli enormi piedi di quei colossi o addirittura – dio ne scampi – di essere scambiati per dei pulcini e finire infilzati allo spiedo per un rapido spuntino!

D’altra parte gli Annoicibastavillesi non mancavano di nulla.

Per consentire una comoda raccolta dei frutti, gli alberi erano tanto cortesi da ramificare verso il basso. Le spighe di grano, compite ed educate, non si permettevano mai di crescere più di una spanna e, una volta mature, piegavano gentilmente il capo per facilitare la mietitura.

Sulla base di una legge antichissima, la cui emanazione si perdeva nella notte dei tempi, si potevano allevare soltanto galline nane. Per il trasporto e il lavoro dei campi si usavano esclusivamente pony e asini di piccola taglia.

L’acqua del ruscello era limpida e fresca, anche se i valligiani non disdegnavano di annaffiare i loro pasti con abbondanti libagioni dell’ottimo vino delle loro vigne. Marmellate, ciambelle e torte erano la delizia dei bambini. Alla primavera non mancava mai di seguire l’estate e l’inverno era costantemente preceduto dall’autunno.

Insomma nella valle la vita scorreva tranquilla e serena e tutti vivevano felici e contenti.

I fanciulli crescevano gioiosamente scorazzando nei campi e nei boschetti, giocando a pallone e a nascondino. Facevano la bella vita dei ragazzi di tutti i paesi del mondo. Solo una cosa gli era vietata: oltrepassare il vecchio ponte, meglio noto come Ponte della Battaglia.

Si narrava che lì si era conclusa la cruenta guerra eroicamente sostenuta dai loro antenati contro il popolo dei Giganti. L’epico racconto di quegli antichi fatti veniva tramandato oralmente di padre in figlio da molti secoli. I più giovani avevano appreso così che anticamente gli Annoicibastavillesi erano molto più numerosi e abitavano un regno grande e fertile al di là del ponte. Solo dopo le vicissitudini della guerra contro il popolo dei Giganti, i superstiti si erano ritirati nella valle.

Come spesso accade anche da noi, nessuno sapeva indicare con esattezza quale fosse stata la causa di quel terribile conflitto. Alcuni sostenevano che la vera ragione andasse ricercata nella smodata sete di conquista del popolo dei giganti; altri invece ponevano a base della guerra il furto di un bicchierino di rame, usato dagli Annoicibastavillesi come pentolone; e non mancò addirittura – tanto sono maliziosi alcuni individui – chi attribuì il motivo della guerra agli interessi dei fabbricanti di armi.

La diatriba sul punto dura tuttora e non sembra destinata a trovare una soluzione che metta tutti d’accordo. Comunque, sta di fatto che, sempre secondo il racconto degli avi, a un certo punto, senza neanche una regolare dichiarazione di guerra, i Giganti assalirono i pacifici Annoicibastavillesi.

Lo scontro era stato terribile e le perdite incommensurabili. I Giganti, muniti di enormi clave, avevano distrutto tutte le città situate oltre il ponte, facendo strage degli abitanti. Gli Annoicibastavillesi avevano risposto con dardi avvelenati scagliati con le cerbottane, ma con scarsi risultati. Ogni colpo di clava di un gigante maciullava una dozzina di Annoicibastavillesi. Stante la scarsa gittata delle cerbottane, le sorti della guerra sembravano ormai segnate, quando il famoso Ferrantino, fabbro scultore ed orafo di Annoicibastavilla, progettò e realizzò una serie di balestre che permettevano un lancio molto più lungo.

La battaglia finale si svolse proprio nei pressi del vecchio ponte. Nonostante l’uso delle balestre e ad onta delle perdite subite, i Giganti però continuavano ad avanzare e già alcuni di loro, altissimi e feroci, lanciando terribili gridi di guerra stavano per entrare nella valle. L’esercito degli Annoicibastavillesi, o meglio ciò che ne era rimasto, si precipitava, in rotta disordinata, verso la capitale del regno.

Solo Ferrantino, con uno strano arnese tra le mani, era rimasto sul ponte ad affrontare il nemico. Ma che poteva fare da solo? Non c’era più scampo!

Ma quando Ferrantino con la nuova balestra multipla di sua invenzione scagliò ben venti frecce avvelenate in rapida successione, l’avanguardia nemica si fermò di colpo. Immediatamente Ferrantino afferrò una seconda balestra che aveva preparato ai suoi piedi e scagliò una seconda raffica di frecce. I Giganti cadevano gli uni sugli altri. Alla terza sfilza di dardi si ritirarono. La battaglia del ponte era vinta, e con essa la guerra ebbe fine.

Questo si tramandava da tanti anni nella valle degli Annoicibastavillesi. C’era però un fatto curioso. Nella valle non esistevano armi e delle famose balestre non si vedeva nemmeno l’ombra! La leggenda narrava che erano state rubate in una notte di tempesta da una strega amica dei Giganti. Tuttavia non mancò qualche ipercritico miscredente che, sulla scorta dell’assenza delle balestre, ardì mettere in discussione la verità storica della guerra contro i Giganti, giungendo fino al punto di sostenere che tutta la vicenda e persino la figura dell’eroico Ferrantino fossero soltanto un’invenzione epica. A tanto poteva giungere la diffidenza umana persino negli antichi reami di un tempo!

Comunque il racconto continuava a funzionare. Terrorizzati dalle parole raccapriccianti degli anziani, i ragazzi non andavano mai al di là del ruscello. Tuttavia le mamme, conoscendo la naturale curiosità dei giovani, non mancavano mai di rinnovare divieti e raccomandazioni.

Un giorno Scapestrello, Gambetto e Bracciolino, cacciando uccellini con le loro fionde, peraltro con ben scarsi risultati, si erano spinti fin nelle vicinanze del ponte. Ad un tratto un bel pettirosso, mortalmente ferito da una fiondata di Scapestrello, andò a cadere in una macchia di cespugli al di là del torrente.

Il piccolo cacciatore, eccitato dal successo, dimenticò le raccomandazioni materne. Attraversare il ponte e mettersi a cercare la preda fu tutt’uno. Mentre Scapestrello rovistava tra i cespugli, un terribile puma, appostato su un albero vicino, gli piombò addosso in un battibaleno. E stava già per dilaniarlo, quando una mano gigantesca lo afferrò per la coda e, dopo averlo fatto roteare più volte per aria… voom, voom, voom… lo scaraventò contro una quercia secolare.

Il leone di montagna cadde a terra con la testa sfracellata; ma anche Scapestrello, svenuto per la paura, giaceva ferito per le unghiate ricevute. Allora il gigante – che di un gigante si trattava – lo prese nelle sue enormi mani e si allontanò oltre la boscaglia.

Gambetto e Bracciolino erano rimasti immobili, impietriti dalla paura. Poi, gridando a più non posso, corsero verso il paese per raccontare l’accaduto. Ovviamente Bracciolino arrivò molto prima di Gambetto.

Figuratevi adesso lo sconcerto e il subbuglio che la notizia suscitò nei valligiani. Scapestrello ferito! rapito da un gigante! Bisognava organizzare una spedizione oltre il ruscello per salvare il povero ragazzo.

Detto fatto, l’intero paese si armò di forche, roncole, martelli e bastoni – qualche lettore più attento ricorderà che nella valle non esistevano armi – e si mosse come un sol uomo. La maggior parte del tempo fu persa per attraversare il ponte rigorosamente in fila indiana.

Cammina, cammina, cammina, finalmente giunsero in vista di una casa grande come un castello. Certamente doveva essere l’abitazione di qualche gigante e forse proprio quella del rapitore di Scapestrello.

Gli Annoicibastavillesi, memori delle eroiche gesta dei loro antenati, si disposero immediatamente su tre file ordinate a mo’ di legione, pronti a sferrare l’attacco. Ma quale non fu la loro meraviglia quando videro Scapestrello correre sorridente verso di loro con una vistosa fasciatura al braccio sinistro. A distanza, dietro di lui, si scorgevano due enormi giganti.

Il ragazzo raccontò di essere stato amorevolmente curato e rifocillato da Crusocardo, il gigante che lo aveva salvato dal puma, e da suo fratello Filocalo.

Erano questi gli ultimi discendenti di una razza di giganti buoni destinata ad estinguersi per mancanza di donne. L’ultima era stata la madre di Filocalo e Crusocardo, morta nel darli alla luce.

Capito che i giganti erano diversi da loro, ma non cattivi, i piccoli valligiani posero fine al loro isolamento. Cos’era successo? Nel popolo dei Giganti erano risultati vincitori quelli buoni? O quel popolo non era mai stato cattivo? Non se ne venne mai a capo.

Avvenne comunque che tutte le domeniche e i giorni di festa l’intera città di Annoicibastavilla prese l’abitudine di trasferirsi nella casa dei giganti, dove venivano consumati pranzi pantagruelici accompagnati da solenni bevute del vino portato dai valligiani. Dovete infatti sapere che i giganti, pur ricchi di carni, frutta, caciotte e formaggi vari, non conoscevano il vino. Impararono però ad apprezzarlo molto presto.

L’unico loro cruccio era quello di non poter ricambiare le visite a causa delle ridotte dimensioni delle case dei valligiani. Ma quel piccolo dispiacere annegava repentinamente nella gioia immensa che travolgeva Crusocardo e Filocalo quando i ragazzi andavano a giocare nel loro giardino e loro potevano colmarli di doni e di attenzioni.

Così continuarono a vivere felici e contenti per tanti e tanti anni.

È proprio vero, come sosteneva un tale di cui non ricordo più il nome, che spesso gli esseri umani si temono perché non si conoscono.

[“Il Galatino” a. LII n. 11 del 14 giugno 2019, p. 3]

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