Valutare le attività culturali

di Paolo Maria Mariano

Una delle tante conseguenze della crisi che si registra in questi anni – crisi fortemente influenzata da miopia dei governanti, se non (quando è il caso) da loro evidente, boriosa, incapacità, e dalla povertà etica che spesso affligge chi gestisce i processi economici – è la necessità di dare una valutazione sostanziale delle imprese culturali, utile ad indirizzare la distribuzione delle risorse indispensabili alla loro realizzazione. Tale specifica necessità è opposta alla tendenza, spesso imperante, a formulare giudizi in funzione della contiguità di interessi, della vicinanza ideologica, del quieto vivere, invece di farli derivare da valutazioni analitiche basate su di un solido bagaglio culturale che non sia solo vuota e compiacente espressione.  La discussione in merito è pertinente a ciò che si intende per cultura, un termine che spesso s’abusa per dare patenti di nobiltà ad attività che riguardano essenzialmente il mercato spiccio, l’auto-esaltazione vuota del singolo, la gestione di potere, per quanto piccolo ed insignificante esso possa essere. Un esempio emerge in Parigi-New York e ritorno, un poderoso libro tradotto in italiano dal francese e pubblicato da Adelphi nel 2011, quando, a proposito del mercato dell’arte (dalle cui dinamiche è spesso utile rifuggire, come alcuni hanno fatto e fanno, saggiamente), a pagina 138 Marc Fumaroli annota con spirito critico che “galleria del mercante e teoria del critico-filosofo assicurano ormai la differenza di valore tra il prodotto di consumo banale e lo stesso prodotto consacrato opera d’«Arte contemporanea» dal fatto d’essere esposto in una galleria che vende bene. Eliminati i criteri del gusto, del bello, del sublime, del capolavoro, dell’originale, del talento, del genio, della maestria e della poesia in qualsiasi forma si presentino.” Hannah Arendt – a cui non piaceva farsi chiamare filosofa, pur essendolo –  suggeriva che il termine cultura debba considerarsi pertinente a ciò che viene dopol’immediato bisogno materiale, quello che regola – possiamo intendere – la struttura fisiologica umana (si veda ad esempio il suo Tra passato e futuro, Garzanti, 1991).

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