Tra memoria e narrazione lo stesso volto dei nostri tempi

di Antonio Errico

Talvolta si dice che questo tempo non abbia più memoria, che aderisca esclusivamente al presente senza riconoscere i significati fondamentali del passato. Si dice che sia diventato ormai irreversibile il processo prodotto dalle incursioni dell’oblio, che non c’è nulla che viva oltre l’istante in cui avviene, nulla che resista, che si costituisca come modello, esperienza di riferimento. Si dice così, talvolta, forse spesso, e non si può escludere che ci sia qualcosa di vero, come non si può neppure escludere che ci sia qualcosa di falso. Probabilmente, come molte delle faccende che riguardano l’umano, è un po’ falso e un po’ vero nella stessa misura e allo stesso tempo, ma in ogni caso è sempre soggetto ad una interpretazione individuale e collettiva, che in quanto interpretazione muta in relazione alle circostanze che intervengono su di essa, che ne determinano l’orientamento, la conformazione, la consistenza.

Ma non si può neanche escludere la possibilità di una ulteriore considerazione, cioè che questo tempo abbia completamente trasformato tanto le forme della memoria quanto il rapporto che stabilisce con essa. Non si può escludere che sia mutato lo stesso concetto di passato e conseguentemente quello di memoria.

Può essere vero, può essere falso, può essere qualcosa che va al di là del vero e del falso, può essersi verificata una mutazione profondissima che ha coinvolto i concetti di memoria e di passato, dunque. Quello che però può essere accettato senza troppa difficoltà è il mutamento che si è verificato nei metodi di elaborazione, di costruzione della memoria. Soprattutto in quello che da sempre è stato il metodo se non esclusivo comunque predominante, che è la narrazione: il racconto di un’esperienza che qualcuno fa ad un altro, con qualsiasi forma, con qualsiasi linguaggio, ma in una relazione che mette insieme la fisicità di chi racconta e di chi ascolta.

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