Immigrazioni, crescita economica e le fallacie del nativismo

di Guglielmo Forges Davanzati

La recente vicenda della Sea Watch, nella sua drammaticità, ha acceso nuovamente i riflettori sulla questione migratoria in Italia, riproponendo un dibattito che si trascina da anni fra ‘buonisti’ – favorevoli all’accoglienza – e ‘realisti’ – contrari per (discutibili) ragioni economiche e per la tutela delle ragioni del nativismo.

Occorre chiarire che la politica dei respingimenti messa in atto da questo Governo, con maggiore accelerazione e pericolose derive razziste rispetto ai precedenti, è miope e per molti aspetti contraddittoria.

E’ miope dal momento che non tiene conto dell’inevitabilità di spostamenti di masse di popolazione dal Sud al Nord del pianeta: inevitabilità che deriva fondamentalmente da processi di crescente impoverimento delle periferie e crescente relativo arricchimento dei Paesi ricchi. Questi processi dipendono fondamentalmente dal modo in cui si sono storicamente determinati e ancora si determinano i rapporti fra centro e periferie e, in particolare, dal fatto che le imprese collocate nelle aree economicamente più forti hanno necessità di individuare mercati di sbocco delle loro merci (in eccedenza rispetto alle capacità di consumo dei residenti in quelle aree) per mantenere elevati i loro margini di profitto. Fenomeni di colonizzazione avvengono anche attraverso l’erogazione di ‘aiuti’, che tali non sono, per definizione, in quanto comportano il pagamento di interessi per chi li riceve. E che contribuiscono, contrariamente alle intenzioni (reali o dichiarate) di chi li eroga, a bloccare la crescita dei Paesi poveri: ciò a ragione del fatto che i trasferimenti monetari finiscono alle classi dirigenti di quei Paesi che, nella gran parte dei casi, li usano per consumi opulenti, imitando gli stili di vita delle classi agiate dei Paesi ricchi.   

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