Superare il neoliberalismo

E’ del tutto evidente che si tratta di un’impostazione teorica basata su assunzioni eroiche. I mercati finanziari non sono popolati da agenti perfettamente razionali e perfettamente informati. Sono semmai “luoghi” nei quali poche Istituzioni finanziarie internazionali, in regime oligopolistico, decidono quali e quanti titoli vendere, e quando farlo. E sono seguite da una scia di imitatori, per lo più piccoli risparmiatori, che, per così dire, attribuiscono una patente di razionalità a queste scelte. Gli esiti sono sostanzialmente due: i) contro la visione dominante, la speculazione genera instabilità e tende a produrre recessione; ii) i percettori di rendite finanziarie, oltre ad acquisire elevati e crescenti guadagni attraverso operazioni di acquisto/vendita di titoli, acquisiscono anche crescente potere politico(come peraltro gli autori evidenziano, facendo riferimento in particolare al caso italiano).

La pars construens del libro riguarda la c.d. economia fondamentale. Gli autori la definiscono “l’infrastruttura della vita quotidiana”, cioè ciò che ci si aspetterebbe come ovvio dall’attività produttiva: che questa sia orientata innanzitutto alla produzione di beni e servizi essenziali (cibo, istruzione, sanità), che sia finalizzata al benessere dei consumatori, che fornisca, come recita il titolo del volume, il nostro capitale quotidiano. Si tratta di una prospettiva condivisibile e del tutto ragionevole. E’ praticabile?

Ad avviso di chi scrive, lo è molto difficilmente, ma non per questo non vale la pena perseguirla. E’ difficilmente praticabile, almeno in un orizzonte di breve termine, per una fondamentale ragione della quale gli stessi autori sono ben consapevoli. L’attuale fase storica è caratterizzata da quella che il sociologo Luciano Gallino definì la ‘lotta di classe dall’alto’, ovvero un radicale ribaltamento dei rapporti di forza a danno del Lavoro e a beneficio del Capitale (e della rendita finanziaria). La prospettiva dell’economia fondamentale si scontra inevitabilmente con la resistenza delle nuove classi agiate a modificare l’assetto socio-economico che le rende tali. Ma, a fronte di questa constatazione, occorre riconoscere – come gli autori di questo libro invitano a fare – che non solo già esistono “pratiche sociali che … rivendicano spazi di vita economica sottratti alla dinamica della massimizzazione del profitto” (si pensi ai fenomeni di ritorno alla terra, alle reti dell’economia solidale, al commercio equo), ma anche che l’economia fondamentale è oggi parte consistente (e crescente) dei sistemi economici, radicata soprattutto in contesti locali. Vi è di più. Occorre immaginare, proporre e perseguire nuove forme di regolazione che pongano al centro quella che nel libro viene definita la “licenza sociale”: l’attività economica, pubblica e privata, deve ritenersi legittima soltanto se opera a vantaggio dell’intera società. Qualcosa di più delle “forme molecolari di autodifesa”, che di fatto già esistono.

La proposta potrebbe essere letta come irrealizzabile e utopistica. Va tuttavia riconosciuto agli autori la capacità di renderla estremamente persuasiva e di non difficile implementazione. E, più in generale, va riconosciuto agli autori il merito di aver prodotto una ricerca di ampio respiro, di impianto multidisciplinare, che può essere letta e agevolmente compresa anche da non ‘addetti ai lavori’. In fondo, l’interminabile crisi che viviamo e l’evidente insostenibilità di questo modello di sviluppo dovrebbero indurre gli analisti sociali a evitare attitudini conformiste, a esercitare il pensiero critico, a diffondere i risultati della loro elaborazione teorica anche al di fuori degli steccati della Torre d’Avorio delle Università.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di martedì 26 luglio 2016]

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