Di mestiere faccio il linguista 8. Esame di maturità senza scritto? No, grazie!

Oltre che al ministro Bianchi, esplicitamente nominato, la petizione è rivolta anche a Sergio Mattarella, presidente della Repubblica, e a Mario Draghi, presidente del Consiglio dei Ministri. Pare che il ministero dell’istruzione non abbia ancora deciso se confermare la modalità emergenziale che è stata adottato nei due anni precedenti 2020 e 2021  (solo maxi orale, come ricorda la petizione) o intenda invece ripristinare l’impianto originale, con due prove scritte e un orale. Con riferimento all’esame di maturità 2022, Bianchi avrebbe affermato, più o meno: «ne discuteremo e faremo l’interesse dei ragazzi, ragioneremo sulla cosa migliore». Qualche consenso all’esame esclusivamente orale sarebbe venuto anche  dal mondo della scuola e, ovviamente, da molti genitori dei maturandi.

Il 17 novembre Massimo Gramellini ha commentato così l’iniziativa:

«In una petizione che ha già quasi raggiunto le quarantamila firme, molti studenti dell’ultimo anno delle superiori chiedono al ministro dell’Istruzione di non reintrodurre, negli esami di maturità, le prove scritte sospese dal 2020 a causa della pandemia. Hanno ragione. Al posto del ministro, mi spingerei oltre. Abolirei la parola scritta come forma di comunicazione all’interno degli edifici scolastici, sostituendola con i più pratici emoticon o con simpatici segnali sonori: fischi, grugniti, pernacchie. Riconosciamolo, il tema di italiano risulta ormai anacronistico. Grazie ai social, nessuna persona sana di mente riesce ancora a leggere più di mezza riga di uno scritto qualsiasi senza venire colta dal mal di testa e soprattutto dall’insopprimibile bisogno di dire la propria sull’argomento.

L’arcaico gesto dello scrivere – per di più a mano – non solo favorisce l’insorgenza di calli al dito medio, togliendogli l’agilità necessaria per fare gestacci e scivolare sulla tastiera del telefonino. Presenta altri antipatici effetti collaterali: organizza il pensiero, arricchisce il vocabolario e aiuta a comprendere il significato di ciò che si legge, creando un circolo vizioso di indubbia pericolosità. Si ponga dunque fine a questo insulso retaggio del passato. Anche perché, come bene illustra la petizione, “l’ulteriore stress di esami scritti remerebbe contro un fruttuoso orale”. Non sia mai. È molto meno stressante mettere i remi in barca e affogare tutti a bocca aperta».

In modo sorridente, Gramellini tocca temi decisivi. Esporre per iscritto il proprio pensiero non è un banale movimento della mano su un foglio o sulla tastiera di un computer o su un tablet. Da anni assistiamo, nell’universo studentesco, a una catastrofica riduzione, della capacità di esporre per iscritto i propri pensieri, in forma ben strutturata e ben argomentata. Per molti giovani in età scolastica (dalle elementari all’università) scrivere significa quasi esclusivamente digitare ridotti sms, farciti di abbreviazioni e di faccine. Le quali vanno bene in un messaggino, sono intollerabili se si manda una lettera formale, se si scrive un testo argomentativo o un riassunto, se si fa una domanda di lavoro, ecc. In questi casi non esiste tolleranza. I ragazzi, bravissimi a scrivere messaggini o tweet, devono essere capaci di usare una lingua diversa e appropriata se fanno un compito, se presentano un’istanza in segreteria o una domanda per un concorso. Bisogna saper esprimere per iscritto sentimenti e sensazioni anche complessi o descrivere fatti non elementari, sfruttando le potenzialità ineguagliabili della lingua ben strutturata e duttilmente argomentata.

Scrivere bene allena il cervello, non è un orpello inutile né una perdita di tempo rispetto alla rapidità e alla immediatezza della comunicazione orale. Da anni gli insegnanti della scuola primaria segnalano crescenti difficoltà dei loro allievi a scrivere, in particolare a scrivere manualmente. Non vale solo per i bambini delle elementari. La difficoltà di scrivere a mano è presente in adolescenti delle scuole secondarie e coinvolge in maniera preoccupante i giovani universitari. Spesso gli scritti manuali degli studenti medi e universitari rasentano l’indecifrabilità ed esprimono pensieri sconclusionati, resi in una forma che non rispetta gli standard minimi di coerenza e coesione. La difficoltà di scrivere in maniera adeguata ha riflessi sulla qualità dell’apprendimento e sulla capacità di coordinare il pensiero. Ci disabituiamo a usare le mani, attrezzi meravigliosi che hanno consentito al bipede uomo, insieme a un cervello raffinato, di dominare il mondo. Mani e cervello vanno insieme.

L’Esame di Stato non può prescindere dalla verifica del sicuro possesso, da parte degli studenti, della lingua scritta, e della conseguente capacità di argomentare per esporre le proprie idee. Solo il dominio della lingua scritta consente di acquisire la capacità di astrazione essenziale per la crescita di ogni singolo individuo. Con riflessi immediati nel momento in cui il giovane diplomato o laureato tenta di entrare nel mondo nel lavoro. Mario Nanni, giornalista politico e giornalista parlamentare, caporedattore della redazione centrale dell’ANSA, una volta ebbe a scrivermi: «Come esaminatore degli scritti dei giornalisti agli esami di Stato per l’abilitazione professionale, davanti ad alcuni dubbi dei commissari io suggerivo questo criterio di giudizio: alla fine dobbiamo decidere se questo candidato ha o meno la capacità di “tenere la penna in mano”». E non ricordo qui i risultati disastrosi delle prove scritte per accedere a varie professioni: avvocato, magistrato, professore, ecc.    

La questione è complicata e ha risvolti di enorme importanza. La facilitazione, da decenni imperante nella scuola, non è un bene. Non è un bene decidere di eliminare lo scritto perché  con un maxi orale i maturandi sarebbero più sereni e meno stressati. Il mondo pone sfide continue, bisognerebbe indicare alle giovani generazioni la strada per superare le difficoltà, più che offrire protezione da avversità che tali non sono. Un atteggiamento scioccamente protettivo rende i ragazzi ripiegati su sé stessi, timorosi e demotivati verso il futuro, ostili al sacrificio. Con una considerazione aggiuntiva. I pargoli dei ricchi se la caveranno, protetti e aiutati dalle famiglie benestanti. Resteranno indietro i figli dei poveri, che non riceveranno aiuti di nessun tipo.

Poveri, futuro, sacrificio, difficoltà. Un dubbio mi assale: sto usando parole desuete, che non vanno bene in una società indifferente e fintamente ottimista come la nostra?

                                         [“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 28 novembre 2021]

Questa voce è stata pubblicata in Di mestiere faccio il linguista (quinta serie) di Rosario Coluccia, Linguistica e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

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