La conoscenza e la lentezza. Quella lezione di Franco Cassano

di Antonio  Errico

Ventisei anni fa, nel suo Pensiero meridiano Franco Cassano  scriveva che bisogna essere lenti, amare le soste per guardare il cammino fatto, dare i nomi agli angoli, agli alberi, ai pali della luce, portarsi dentro i propri pensieri lasciandoli affiorare a seconda della strada; fermarsi su un lungomare, su una spiaggia, su una scogliera inquinata. Andare lenti – scriveva- è rispettare il tempo, abitarlo con poche cose di grande valore, con noia e nostalgia, con desideri immensi sigillati nel cuore e pronti ad esplodere. Andare lenti vuol dire ringraziare il mondo, farsene riempire. 

Così scriveva Franco Cassano, con la consapevolezza che le nostre esistenze sono sempre e sempre più travolte dalla fretta, dalla frenesia a volte, da una esasperazione del sentimento e della percezione del tempo, da una condizione che a volte presenta i tratti di una vertigine, di una smania. Siamo assediati da informazioni, richieste, pretese, che spesso non abbiamo possibilità di selezionare, che non ci consentono di distinguere il superfluo dall’essenziale, di individuare le cause e gli effetti di quello che pensiamo, di quello che facciamo.  Accade tutto senza una riflessione, e probabilmente senza una comprensione profonda dell’accadere, dell’essere, di quello che si dice, di quello che si fa. Diamo fretta al tempo. Vogliamo che scorra più in fretta di quanto scorre.

La condizione della lentezza non ci appartiene più, si è fatta estranea alla nostra esistenza. Di conseguenza ci siamo privati della possibilità di osservazione, di riflessione. Probabilmente abbiamo rinunciato anche alla possibilità di assaporare certi istanti del nostro tempo. Alla rapidità degli accadimenti corrisponde una rapidità della loro dimenticanza. Dimentichiamo in fretta perché viviamo in fretta.  E’ come se molto di quello che accade non fosse mai accaduto, come se non avessimo mai incontrato alcuni di coloro che abbiamo incontrato. A volte siamo soltanto distratti spettatori delle storie che ci appartengono. Strizziamo i giorni, le ore, gli istanti come se fossero stracci.

Non abbiamo possibilità di fare una cosa alla volta: dobbiamo comprimere, concentrare, ammassare, agglomerare, schiacciare il nostro tempo in un qualche contenitore. Finanche quello che chiamiamo tempo libero, diventa una contrazione, l’inseguimento affannoso di una soddisfazione che spesso ci delude perché bruciata in fretta.  

Tutto quello con cui abbiamo relazione ci impone una fretta.

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