La bellezza immanente nelle cose che durano

di Antonio Errico

Si racconta che una volta un giovane musicista sottopose a Gioacchino Rossini una composizione, chiedendo al maestro la sua valutazione illuminata. Rossini rispose che c’è del nuovo e c’è del bello, ma ciò che è nuovo non è bello, e ciò che è bello non è nuovo.

Se è vero quello che si racconta, allora si può dire che Rossini probabilmente non aveva ragione.

La bellezza non appartiene soltanto all’antico. La differenza tra bello e non bello, è determinata da altri criteri, che forse si chiamano estetica, forse armonia, coerenza –ma anche incoerenza, alle volte, contraddizione, disarmonia-, che forse si chiamano consonanza oppure, anche, dissonanza, discordanza, diversità.

Il nuovo può essere bello e può essere brutto, come può essere bello o brutto quello che non è nuovo. Non saprei dire, per esempio, se Omero sia antico o nuovo. Però se si vuole comprendere com’è che lentamente si conformano i destini e com’è che improvvisamente si deformano, che quello che accade intorno a noi è sempre accaduto intorno agli altri, è con quell’antico Omero che bisogna fare i conti. Se si vogliono capire i furori incontenibili delle battaglie, i miraggi strabilianti dei viaggi, la paura e l’attrazione dell’ignoto, la disperazione smisurata dei naufragi, se si vuole riportare la propria nostalgia in una categoria, e il proprio desiderio di ritorno in un’altra, perché una categoria  consente di comprendere la rassomiglianza che hanno le emozioni, è con l’antico Omero che bisogna fare i conti.

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