Di mestiere faccio il linguista 6. La lingua di plastica

di Rosario Coluccia

Nella lingua italiana esistono molte parole di plastica (altrimenti definite plastismi). Si intitola «La lingua di plastica: vezzi e malvezzi dell’italiano contemporaneo» un volume di Ornella Castellani Pollidori, che ha insegnato Storia della lingua italiana all’università di Firenze. Sono di plastica (linguisticamente) parole, espressioni, traslati che diventano man mano sempre più ricorrenti, assumendo infine la funzione di parole passe-partout buone per tutte le circostanze, in un uso meccanico, stereotipato e ripetitivo della lingua. I plastismi presentano una caratteristica preoccupante, fanno terra bruciata intorno a sé. A furia di usare sempre le stesse formule preconfezionate, si disimpara a cercare di volta in volta la soluzione adeguata a rendere in maniera efficace il nostro pensiero, in tutte le sue sfumature. Si disimpara a usare la lingua. Sfruttata poco e male, la lingua appare povera, noiosa, desolatamente gregaria.

Il meccanismo che caratterizza l’uso dei plastismi è grosso modo questo. In una trasmissione televisiva, in un giornale, in un libro, nella rete, qualcuno usa un’espressione o una parola che appare seducente, o inconsueta, o anche strana, o a volte sottolineando con enfasi la propria scelta linguistica. Se piace, se incontra il favore di chi ascolta o legge, quella scelta viene riprodotta e diffusa dai media, adattata ai contesti più diversi, ripetuta senza riflettere a qualsiasi livello di formalità e in svariati tipo di argomento. Così entra (spesso già usurata) nella lingua comune di tutti noi.

Provo a fare una lista di plastismi molto diffusi (fastidiosi, a parer mio) e invito i lettori a fare un giochino. Badino alla lingua che ascolteranno o leggeranno nei prossimi due o tre giorni (telegiornali, notiziari, trasmissioni televisive e radiofoniche, quotidiani e settimanali, rete, chat, dialoghi con parenti o amici, ecc.), verifichino quante volte appare uno dei plastismi che seguono: avranno così un’idea tangibile della diffusione inavvertita della lingua di plastica nella quotidianità.

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