Parole, parole, parole 14. Ragazzi, studiate, non arrendetevi!

di Rosario Coluccia

La scorsa settimana sul nostro giornale abbiamo parlato di un vero e proprio “declino dell’italiano” nella scuola. E dei riflessi che tale declino, da molti giudicato inarrestabile, provoca nella società. Un cittadino che si esprime maldestramente non è in grado di far valere i propri diritti. E, parallelamente, se ha difficoltà a comprendere appieno quello che legge o quello che ascolta, non riesce a farsi un’idea personale e libera del mondo che lo circonda; di fatto, ne viene compromessa la democrazia della società. Letto l’articolo su «La Gazzetta del Mezzogiorno», molti mi hanno scritto. Soprattutto docenti, mossi da interesse verso la scuola e da passione per la lingua italiana, di cui si rivendica la trasversalità e la centralità. Tutto ciò rincuora. Sono loro, i professori che giorno per giorno si misurano con le difficoltà provocate dal cattivo uso dell’italiano da parte degli studenti, nell’oralità e nella scrittura, latori di riflessioni e di proposte che dovrebbero essere ascoltati da chi ha il potere di decidere. Ecco un rapido sunto delle argomentazioni espresse da chi mi scrive.

È prioritario l’obiettivo di elevare la qualità dell’insegnamento nella scuola, a qualsiasi livello. È importante individuare le cause del problema, senza limitarsi alle lamentele verbali, che non contribuiscono alla soluzione dello stesso. Mirando a non farsi fuorviare dai proclami verbali di chi dirà che è ora di rimettere al centro l’italiano, per poi indirizzare il sistema fuori strada. Sulla base della quotidiana esperienza, molti insegnanti lamentano che l’impegno didattico risulta subordinato alla necessità di avere una ricaduta in termini meramente numerici e statistici: prevale l’obbligo di puntare sui numeri a scapito della qualità dell’insegnamento. La concorrenza impropria fra le scuole punta ad attirare il maggior numero possibile di studenti, perché senza studenti le scuole perdono classi e magari chiudono: interessano più d’ogni cosa i numeri, la qualità conta poco. Se folte schiere di studenti di un biennio superiore non distinguono un predicato da un sostantivo, il difetto non può risolversi evocando, genericamente, un cambio nella metodologia d’insegnamento. Semmai, andrà chiamato in causa il pressapochismo di una politica scolastica distratta, che non incide positivamente sulle singole realtà.

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