Una conversazione tra Antonio Prete e Carla Saracino: la scrittura che attraversa la vita

Sempre annodando tutto alla scrittura, ricostruendo contesti, ambienti ed esperienze culturali ed esistenziali che non sono due cose diverse  ma una stessa cosa.

 Un’esperienza fondamentale è stata quella dell’insegnamento. Sostiene Prete che insegnando si fa esperienza dell’incontro, del dialogo, della conoscenza con i testi e con gli studenti, con i loro gesti, i silenzi, i linguaggi. Docente nelle scuole superiori  di Bolzano, di Milano, di Pavia, quello che degli anni di insegnamento liceale ricorda con più evidenza e con un certo rimpianto “è quella sorta di comunità attiva che era costituita dagli insegnanti decisi al confronto, alla ricerca di forme diverse del rapporto tra sapere e sua trasmissione, tra conoscenza e azione formativa”.   Poi, dal 1974 la cattedra di letterature comparate alla facoltà di lettere dell’università di Siena. Il confronto con i testi diventa più intenso. Lettura e scrittura si costituiscono come i luoghi nei quali cercare le motivazioni dei fatti che sono accaduti e che accadono, le spiegazioni degli eventi e delle storie. La comparazione dei testi rappresenta il metodo con il quale interpretare la natura e la cultura, le azioni degli uomini, le loro coerenze e le loro contraddizioni, la prossimità o l’incolmabile distanza  tra i loro linguaggi e le manifestazioni del vivente. Alla fine di questa conversazione, Antonio Prete annuncia l’uscita di un altro libro che si intitola “Convito delle stagioni”, nel quale  compare una poesia che dice così: “ Il libro che non scriverò mai/ ha il vento nelle sillabe, la musica/ del mare nelle vocali. Ogni frase/ custodisce con cura i nomi delle cose./ Il libro che non scriverò mai/ ha fogli d’alga, margini d’aria”. Infatti, ci sono libri che non si possono scrivere perché per scriverli servirebbero le parole impronunciabili con cui parla la natura senza parole.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” 16 aprile 2024]

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